La storia la sapete, vero? Di quelle due donne che si presentano da re Salomone contendendosi un bambino: ognuna aveva partorito un figlio ed entrambe dormivano nella stessa casa. Uno dei due bambini muore, e sua madre prende il figlio dell’altra. Salomone ordina che il bambino venga tagliato a metà per darne una parte a ciascuna. La falsa madre accetta la soluzione -invidiosamente, mi viene da dire, pur che anche l’altra perda il figlio-. Ma la vera madre lo supplica di fermarsi e di dare il bimbo all’altra donna, pur di salvarlo. Salomone capisce che la vera madre è lei.
Salvare il bambino, metterlo davanti a tutto: è questo a fare una madre, e anche un padre. Il padre del bimbo portato via a forza dalla polizia usa proprio queste parole: “L’ho salvato”. L’ha salvato, a suo dire, da una madre che lo metteva contro di lui, e che lo stava facendo ammalare di Pas, o Sindrome di alienazione genitoriale, disturbo inventato da uno psichiatra americano, Richard Gardner, e mai riconosciuto dalla scienza. “Ora è sereno”, aggiunge il padre. Difficile credere che possa esserlo, tolto alla madre e ospitato in comunità, e dopo quello che gli è capitato, un trauma che può fare ammalare davvero.
Può essere che quella madre abbia sbagliato, che non abbia agevolato i rapporti tra il piccolo Leonardo e suo padre, che addirittura li abbia ostacolati e impediti. Se così è stato, l’errore è grave. Severissimo, certo, è il recente disposto della Corte di Appello di Venezia, che toglie il bambino alla madre. Inaccettabile il comportamento delle Forze dell’Ordine, che ha trascinato via quel bimbo contro la sua volontà, o meglio, come se non avesse volontà, come se i suoi sentimenti, il suo divincolarsi, la sua sofferenza non avessero alcun significato e contassero molto meno di quelli della madre, del padre e della volontà dei giudici. Una sofferenza tanto grande che con la sua forza d’urto ci ha raggiunto tutti, per via mediatica.
Ma anche quel padre, di fronte alla spada che si stava abbattendo sul ragazzo, forse non avrebbe dovuto comportarsi come la finta madre, che così si rivolge al Re “Non sia né mio né tuo: dividetelo in due!”. Forse come la vera madre avrebbe dovuto sentire “le sue viscere commosse per suo figlio” e percepire l’inessenzialità del suo diritto e forse della sua volontà di vendetta di fronte alla sofferenza di colui che dovrebbe essere il suo primo oggetto d’amore. Se davvero quel padre crede che sia il bene di quel figlio essere tolto a sua madre -ed è sempre difficile crederlo- forse questo allontanamento si sarebbe dovuto realizzare con tutta la cura, la pazienza, la delicatezza necessarie, un piccolo sorso di sofferenza ogni giorno, senza ricorrere alla brutalità di una lama che recide in un solo colpo, lasciando intatta e non elaborata un’enorme mole di dolore.