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Alessandra Kustermann

Donne e Uomini, Politica Novembre 15, 2012

Cinquanta sfumature di Pd

Sarò strana io, ma non riesco a capacitarmi del fatto che un partito al 30 per cento com’è il Pd dalle mie parti, e oggi non è poco, abbia un’autostima così bassa.

Il nostro Pd si fa da tempo malmenare dal Sindaco, che non è del Pd, e ora si fa frustare da Umberto Ambrosoli, che non è del Pd neppure lui e tiene a ribadirlo in ogni occasione: “non ho tessere di partito” eccetera, come se avere una tessera di partito fosse necessariamente uno stigma (non ce l’ho nemmeno io, cosa che tuttavia non ostento come un merito).

Non c’è niente di male nel fare parte di un partito, o nel fatto di sostenerlo, o semplicemente di votarlo: sono cose che succedono in tutto l’Occidente democratico, al momento non si è congegnato niente di meglio (non mi si dica la “società civile” perché non ho proprio idea di chi o che cosa sia). Non c’è niente di cui vergognarsi neanche nel fatto di dirigerlo, un partito, se lo si fa con coscienza, passione, onestà, buona volontà, nella prospettiva del bene comune e con la necessaria intelligenza politica.

E invece il nostro Pd, dopo aver grattato per molte settimane alla porta di Ambrosoli per supplicarlo di accettare le sue profferte, si sottopone con masochistico godimento alle condizioni che lui pone per concedersi: primarie-non-primarie, e poi stargli ben bene alla larga, patto civico, che poi nessuno sa bene che cosa sia (come detto qui più volte, l’abuso dei termini “civico” e “civile” mi dà l’orticaria, come tutte le cose di cui non comprendo il significato).

Insomma, il nostro Pd è un po’ slave. Gli piace prenderle, farsi ammanettare, ed essere umiliato. Meglio: slave è il suo gruppo dirigente. Perché invece iscritti/ ed elettori/e sono in buona parte portatori di un notevole orgoglio di partito, sperano di vincere -cosa stranissima- e potrebbero incavolarsi fino al punto da rispedire a casa Ambrosoli, patto civico e compagnia cantante (di cui, tra l’altro, a poche settimane dal voto, non circola l’ombra di un programmino: ma son dettagli).

Il rischio di uno sberlone, sicché, a neanche due anni dallo schiaffo delle primarie per il sindaco di Milano, si fa di ora in ora più concreto. Senza contare Bobo Maroni che giganteggia all’orizzonte.

Colpisce in questo immane casino (sorry), la schiena dritta di Alessandra Kustermann, che non arretra di un millimetro, non vuole nemmeno sentire parlare di primarie-burla, ha annunciato la sua candidatura senza troppi se-e-ma, ha cominciato a parlare della Lombardia che ha in mente.

Ennesima dimostrazione che il coraggio è delle donne.

Donne e Uomini, esperienze, Politica Novembre 7, 2012

Il coraggio politico delle donne

A quanto pare le donne sono state decisive per la vittoria di Barack Obama. E a quanto pare il tema dell’aborto è stato dirimente: il 39 per cento delle donne americane lo indicava come il tema numero uno, seguito (19 per cento) dal lavoro.

Lesson number one: imparare che insieme siamo una forza enorme, e non sottovalutare i temi biopolitici. La delibera di sapore pro-life che istituisce il camposanto “per i prodotti abortivi e per i prodotti del concepimento”, tenuta accuratamente chiusa in un cassetto, potrebbe costare cara al sindaco Renzi, candidato alle primarie del centrosinistra.

L’altra cosa che voglio dire è che serve un notevole coraggio al una donna per candidarsi in un posto ad alto tasso di responsabilità politica. C’è sempre il senso di uno strappo, di una forzatura contro un ambiente sfavorevole. L’altra sera, in una splendida e affollatissima serata milanese (centinaia di partecipanti, tra cui il sindaco Pisapia, la vicesindaca Maria Grazia Guida, Giulia Maria Crespi, Giorgio Galli, Francesca Zajzick, Carmen Leccardi, Bianca Beccalli, Lorella Zanardo, Marisa Guarneri, Adele Teodoro, Alessandra Kustermann e moltissime/i e altre/i) Laura Puppato, anche lei candidata alle primarie nazionali del centrosinistra, ha raccontato come il suo partito, il Pd, abbia perso nel 2010 una grande occasione non candidandola alla presidenza della Regione Veneto. Lei avrebbe vinto, mentre il candidato indicato ha perso, consegnando la vittoria alla Lega. Stavolta non ha aspettato nessuno, ha deciso e si è lanciata. Lo stesso ha fatto ieri Alessandra Kustermann: stanca di “aspettare Godot” ha rotto gli indugi, ufficializzando la sua candidatura alla presidenza della regione Lombardia, che, ha detto “è malata e va curata”.

Lesson numer two: anche se hai il partito dalla tua, anche se l’ostilità che ti circonda non è poi assoluta, devi essere tu a forzare i tempi ed entrare “a gamba tesa”. E quelle che lo fanno danno ampia dimostrazione di coraggio preliminare.

E poi c’è una lesson number three: il primo scoglio è poter nominare il tuo desiderio di assumere una responsabilità politica. Autorizzarlo, rompendo un tabù interiore fortissimo. Quasi sempre questo avviene nella relazione con un’altra donna che fa da specchio e “autorizza”, che svolge un ruolo maieutico e fa venire al mondo il desiderio, in un complesso legame che ristabilisce il filo spezzato della genealogia femminile.

Nel caso di Laura Puppato, l’ha raccontato lei stessa, l’altra è stata la mia collega Concita De Gregorio. Nel caso di Kustermann non so. Glielo chiederò. Ma sono quasi sicura che anche lei ne ha avuta una.

 

 

Politica Ottobre 17, 2012

Regione Lombardia: fattore Maroni

Se votassi il centrodestra -e non nascondiamoci: non lo voto- sarei entusiasta della candidatura di Bobo Maroni alla presidenza di Regione Lombardia. Avrebbero già dovuto candidarlo come sindaco per non perdere Milano: l’avevo suggerito, a suo tempo, ai miei pochi buoni amici di quella parte politica.

Maroni ha le carte in regola se non per vincere, impresa piuttosto disperata, quanto meno per minimizzare il prezzo che il suo schieramento dovrà pagare. Caduto sulla ‘ndrangheta, il centrodestra potrebbe almeno in parte rialzarsi affidandosi a un ex-ministro degli Interni che nella lotta alla criminalità organizzata ha ottenuto qualche risultato. E che saprebbe riaccendere l’orgoglio della Lega, bestia ferita ma ancora vigorosa (conosco la mia terra e la mia gente). Insomma, non l’en plein, ma un argine sicuro contro la disfatta.

Più debole la candidatura dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, stimato dai moderati, un po’ troppo milanese per infiammare la riscossa. Ma anche lui non da sottovalutare.

A quanto pare il centrodestra sta valutando di organizzare primarie di coalizione (Maroni dice sì, certo di vincere). Ragione in più per non evitare quelle del centrosinistra: io sarei per un primarie day il 25 novembre, politiche e regionali in un colpo solo. Non credo che convenga saltare questo passaggio: i lombardi -noi lombardi- hanno molta voglia di scegliersi il presidente.

Vediamo i nomi che girano: Umberto Ambrosoli, avvocato penalista e giovane uomo degnissimo, riservato figlio dell’eroe borghese Giorgio Ambrosoli, più anti-Formigoni di lui non sembrerebbe esserci. Ma lui oppone -il che lo rende ulteriormente degno- la sua inesperienza della macchina amministrativa e del sistema Lombardia: già rifiutò la candidatura a sindaco. Non sembrerebbero schermaglie. Vedremo. Bruno Tabacci: candidatura debolissima. Già un trentennio fa vicepresidente di Regione Lombardia e oggi assessore al Bilancio nella giunta Pisapia, Tabacci è percepito come “vecchia politica”. Difficile che possa interpretare il grande desiderio di rinnovamento. Alessandra Kustermann: fantastica medica, primaria alla clinica Mangiagalli, esperta del sistema sanitario, grande e antico lavoro a fianco delle donne, in particolare sul tema della violenza. Potrebbe catalizzare l’attenzione dell’elettorato femminile. Anche lei, come Ambrosoli, favorita dalla provenienza dalla cosiddetta “società civile”, ma penalizzata da una notorietà prevalentemente cittadina, e il tempo per farsi conoscere è poco. Un buon piazzamento in eventuali primarie la indicherebbe come possibile -e auspicabile- assessora alla Sanità, posizione chiave in Lombardia. Maurizio Martina, segretario del Pd lombardo: una candidatura troppo interna e di “apparato”. Fuori dal Pd, Martina è poco conosciuto, e il “fuori Pd” oggi elettoralmente pesa molto. E infine -almeno a oggi- il consigliere regionale Pippo Civati, coetaneo di Ambrosoli, percepito dall’opinione pubblica come “rottamatore buono”, un pezzo di strada condivisa con Renzi prima di un definitivo divorzio, capace di muoversi con disinvoltura sul territorio mediatico virtuale -è piuttosto noto alla platea televisiva nazionale-, ma anche suole consumate in un intensissimo lavoro sul territorio reale: la Lombardia, e non solo quella, la conosce palmo a palmo. E i lombardi conoscono lui. Praticamente come Maroni.

Mi pare che la scelta vada fatta anche in funzione del competitor che ci si troverà davanti. 

Io la mia l’avrei fatta. Sperando che mi sia consentito esprimerla.

 

Corpo-anima, TEMPI MODERNI Aprile 24, 2010

RISCHIO PREZZEMOLO

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“Senti: ho un problema”: e indichi il basso ventre. Lo spacciatore capisce al volo: “Torna domani sera”. “Quanto?”. “Cinquanta”. Al momento della consegna ti spiega come fare: “Se vedi troppo sangue vai in ospedale. Di’ che sei caduta”.  Il misoprostolo, una prostaglandina, è il principio attivo di un diffuso antiulcera. Inserito in vagina procura aborto. Se non riesci a fartelo dare senza ricetta in farmacia, a Milano lo trovi alla stazione, dove si compra il fumo e altro, sotto il metrò, in certi negozietti cinesi. E’ la “Ru486” da strada. L’aborto chimico in ospedale funziona in modo simile: primo step, mifepristone, secondo step prostaglandina. Qui del primo step fai a meno. Passi direttamente alla fase espulsiva. Ci sono siti, come Womenonwaves e Nice-a-beauty, che tra un’informazione sulla lipo e una pubblicità alle faccette dentali ti spiegano come devi fare ad abortire, in tutte le lingue del mondo.  Se in strada non ti va, puoi comprare online. Il kit lo trovi in molte “farmacie” virtuali, con foto di staff medici rassicuranti e sorridenti. Prezzi variabili, dai 70 ai 200 euro (agli ospedali viene sui 40). Pagamento con carta di credito, confezione discreta che ti arriva entro due settimane. In vendita anche preparati taroccati: non abortisci ma ti scassi il fegato. “E’ la magistratura che deve intervenire” dice Eugenia Roccella, sottosegretario alla Sanità: “Stiamo valutando la possibilità di un esposto”.  Sta di fatto che all’Istat risulta un inspiegabile surplus di 14 mila aborti spontanei. Target dello spaccio, straniere irregolari, ma probabilmente anche molte ragazzine: di tutti gli aborti in ospedale, solo il 2-3 per cento riguarda minorenni, contro il 15 per cento europeo. I conti non tornano. Quante fanno da sé? Esistono anche mammane chimiche: a Padova è stata scoperta una “clinica” clandestina fornita di un migliaio di pillole.  Perché oggi una ragazza dovrebbe rischiare e pagare, visto che la Ru486 si trova in ospedale? Semplice: “In ospedale sei costretta al ricovero” spiega Alessandra Kustermann, che dirige il Pronto soccorso ostetrico ginecologico della Mangiagalli. “Se una minorenne vuole abortire senza dirlo in famiglia si fa autorizzare dal giudice tutelare. Ma l’aborto chirurgico è in day hospital, la sera sei a casa, mentre con la Ru486 resti minimo 3 giorni: così dispone la legge italiana (Emilia a parte). Un’adulta può firmare per uscire, una ragazzina no. Ci vorrebbe di nuovo il giudice”. C’è anche che tante ragazze confondono Ru486 e pillola del giorno dopo: confusione catastrofica. Diverso il meccanismo d’azione, diversi soprattutto gli effetti.  La Ru486 si presta molto a un uso in proprio (e improprio). La tentazione fai-da-te è molto forte. Ma se c’è una cosa certa, è che non può essere autogestita. L’assistenza medica è indispensabile. Perfino in Cina, dove è in atto una feroce campagna di controllo delle nascite e la salute delle donne non è mai stata fra le priorità, il farmaco è stato ritirato dalle farmacie dopo dieci anni di vendita libera. Oggi si usa solo in ospedale: qualcosa di tremendo deve essere capitato.  Il dibattito ideologico –tra uomini- non ha favorito la corretta informazione. Ma qui è questione di salute, non di scambi politici. I fogli del consenso alla Mangiagalli di Milano spiegano che dopo avere assunto in successione i due farmaci ti prendono crampi che in 3 casi su 10 richiedono un antidolorifico –di tipo oppiaceo: quelli normali avrebbero un effetto anti-prostaglandinico-. Mal di testa (20-30 per cento), nausea (40-60 per cento), vomito e diarrea. In 7 casi su 1000 le perdite diventano emorragie da trattare con raschiamento, in 2 casi su 1000 addirittura con trasfusioni. C’è il rischio –raro- di setticemia da Clostridium sordellii e Clostridium perfrigens (da un caso su 1000 a uno su 10.000). Si muore dieci volte di più che per aborto chirurgico: 1 caso su 100.000 contro 1 su un milione.  A me, se posso dire, è andata in questo modo: l’attesa; il senso gelido di qualcosa che si spegneva; poi il sangue, le contrazioni feroci; l’espulsione e il “prodotto” da raccogliere per mostrarlo al medico. Una settimana di pena. Chiedo scusa, ma quando va bene un aborto chimico va così. Non Ru486, nel mio caso, ma methotrexate: l’unico sistema per interrompere una gravidanza ectopica che di sicuro ci avrebbe uccisi in due. Ma almeno psicologicamente il decorso è lo stesso. Con l’aggravio del senso di colpa, quando non è terapeutico e hai “scelto”.  Comunque la si veda, è una cosa per spiriti forti. Il ginecologo Pier Giorgio Crosignani ha parlato di “invasività psicologica”. La German Society of Gynecology and Obstetrics, di “considerevole violenza psicologica”. Inclusa la possibilità di riconoscere l’embrione espulso, come capita a buona parte delle donne.  Una nuova libertà? Per i medici -7 obiettori su 10- senza dubbio. “Temo che promuovano l’aborto chimico” dice Eugenia Roccella “per scaricarsi il problema dalle spalle”.  Alessandra Kustermann si è sempre battuta per l’introduzione della Ru486, ma è convinta che resterà una scelta di poche: come in Germania (2-3 per cento), negli Usa, in Olanda, ampiamente sotto il 10 per cento. Si supera invece il 30 in Francia, in Svezia, in Gran Bretagna (dove si fa fino alla nona settimana). “Ci sono paesi” dice “dove l’aborto chirurgico non ti viene nemmeno proposto, se sei entro la nona settimana. Ma da noi il limite per l’aborto chimico è la settima. Hai pochissimo tempo per decidere e organizzarti”. E aggiunge: “Resto per la libera scelta. Ma i mass media non aiutano, con questa favola dell’aborto facile. A mia figlia consiglierei l’aborto chirurgico: pochi minuti in anestesia o in sedazione ed è finita”. Anche in Francia, dove siamo quasi al 50 per cento di aborti chimici, ti avvisano: se abiti a più di un’ora di macchina da un ospedale, se vivi sola, se sei un tipo ansioso, lascia perdere la Ru386.  Se poi credi di poter fare da te, corri dei rischi supplementari. Quello di non valutare le controindicazioni, per cominciare: insufficienza surrenalica, assunzione di anticoagulanti, terapia cortisonica prolungata, allergie, ipertensione e altro. Di fare male i conti e utilizzare i farmaci ben oltre la settima o nona settimana: puoi anche espellere un feto vivo, e perfino il disinvolto sito Nice-a-beauty avverte che l’esperienza non è piacevole. Di sottovalutare sintomi come una febbre o un’emorragia cospicua. Di assumerla in caso di gravidanza extrauterina, accertabile solo con esami ecografici: pericolo assoluto.  Perché la Ru486 non diventi il nuovo prezzemolo, è necessaria una riflessione supplementare. Almeno per le ragazze, bisogna che ci pensiamo ancora un po’.

da Io donna-Corriere della Sera del 24 aprile 2010