Universita': dl, mercoledi' fiducia alla Camera

Nel suo editoriale su Avvenire, la mia amica Marina Corradi invita il ministro Mariastella Gelmini, quinto mese di gravidanza, a non perdersi “le ore più belle” insieme al suo figliolino, quando nascerà. Mariastella avrebbe pensato a una soluzione eroica, alla Dati: nemmeno un giorno a casa, c’è troppo da fare. A parte il fatto che la cosa non ha portato per niente fortuna a Rachida, noi stiamo dalla parte del figliolino che vorrà la sua mamma accanto ancorché ministra, cosa della quale a lui non importa proprio nulla.

Come avevamo detto a suo tempo per Rachida, l’eroismo di Mariastella non fa bene alle altre mamme, perché autorizza i datori di lavoro a pretendere altrettanto dalle loro dipendenti (“la Mariastella sì e tu no?”). Una donna in una posizione eminente è un modello per tutte e tutti, e crea con ciò che fa dei “precedenti” simbolici. In questo ha una grande responsabilità. Ma non si tratta solo di giorni di permesso. La cosa che conta è questa messa in parentesi della maternità– e in una parentesi sempre più stretta-, l’esperienza più sconvolgentemente femminile che noi donne “maschilizzate” possiamo ancora fare. Quando diventi madre, quando senti quegli odori e sperimenti quei tempi che corrono dalla notte dei tempi, scopri e capisci tante cose importanti non solo per te e per il piccolo, ma anche per il mondo, che ne ha disperatamente bisogno. Che ha più bisogno del tuo latte che delle tue scartoffie.

Ma se posso dire la questione -a casa o subito al lavoro?- così è malposta. Non ci sono casa o ufficio, lavoratrice o madre, privato o pubblico: c’è la vita, che ognuna deve poter aggiustare a modo suo. Questa discontinuità è un’invenzione degli uomini. Nel lavoro e sulla scena pubblica le donne devono inventare altro, qualcosa di più fluido e felice. Non ho mai lavorato tanto e tanto bene come da quando sono diventata madre, mi viene da ridere se penso a me prima, maschietto in mezzo ai maschi. Io lavoro e lavoro e sono madre e moglie e figlia accudente, ed è un tutt’uno che non saprei separare. Vivo, insomma, in un continuum alla ricerca della gioia.

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