Tante e tanti ci stanno ancora pensando. Questo voto, dicono, “è molto pesante”, ed è vero. Anch’io ci ho pensato a lungo, tenendomi fuori con cura dalla mischia delle tifoserie contrapposte. E alla fine, davvero in extremis, ho deciso di votare sì.

La spinta definitiva mi è arrivata dal professor Pace, costituzionalista alla guida del comitato per il no, il quale preannuncia che se vincesse il sì e «se il voto all’estero risultasse determinante», lui inoltrerebbe ricorso (se invece vincesse il no, tutto ok).

Ha contribuito anche un altro grande vecchio, Valentino Parlato, secondo il quale “Renzi è capace, è un leader. Ma non mi è mai piaciuto. Perciò voterò No”. Avevo pensato, fino a quel momento, che a tenersi sul merito della riforma fosse a malapena il 10 per cento della platea elettorale: un conto molto ottimista, a quanto pare, se anche il voto di un iper-politico come Parlato sarà un no al governo, tenendo la riforma sullo sfondo.

La partita che si sta giocando, quindi, è questa: Renzi sì o Renzi no. Le sue scellerate dichiarazioni di inizio campagna (“se vince il no vado a casa”) non bastano a spiegare il cambiamento sostanziale del merito del voto. Fin dal principio, e perfino da parte di persone molto beneinformate sul merito del referendum, “Renzi fa schifo” è stato l’argomento prioritario.

Quindi smettiamo di raccontarci balle: il 4 dicembre il Paese si dividerà tra fiducia o sfiducia al governo Renzi.

Questa riforma mi convince poco, anche se non ho mai creduto a derive apocalittiche. Sarei stata in principio per un tiepido no. Ma il quesito è cambiato a tutti gli effetti, e io non intendo esprimere un no al governo.

Ho ben chiaro chi sia Matteo Renzi: un democristiano moderno, intelligente, astuto e guascone, piuttosto provinciale nelle sue visioni, dotato di un’energia formidabile e di un encomiabile coraggio, ultimo esemplare di una razza politica che non ha eguali nella sua generazione.

Sapevo chi fosse fin dalle primarie, e non l’ho sostenuto. Non l’ho sostenuto per il tempo di quel breve e fortuito giro in direzione nazionale Pd -da cui mi sono poi dimessa-, trovo che con il suo jobs act e l’abolizione dell’art.18 abbia procurato danni cospicui ai lavoratori –il no punitivo di sinistra sarà soprattutto per questo e per la tremenda “buona scuola”- e che sia il momento di un piano di interventi correttivi per limitare gli abusi. Trovo Renzi intermittente nelle politiche economiche, molto debole sul welfare, oggi questione decisiva, insufficiente nella riforma della giustizia, che è in uno stato catastrofico, così come sul tema fiscale e sul Sud. Ho invece molto apprezzato il suo piglio nelle relazioni internazionali, con l’Europa in particolare, e sul tema della migrazione. E poi, finalmente, le unioni civili (bocciatissima invece la ministra Lorenzin). Un’amica mi ricorda il divorzio breve e l’abolizione delle dimissioni in bianco, un’ingiustizia feroce per le giovani donne. Ci sarebbe tanto altro, ma mi limito a questo.

Non penso affatto che il governo Renzi non abbia alternative: le alternative esistono sempre. Ma se l’alternativa, in caso di vittoria del no, sarà un governo tecnico, come piacerebbe a The Economist, che ci traghettasse fino al 2018 e alla pressoché certa vittoria dei 5 Stelle; o se l’alternativa sarà un partito-nazione ancora più di destra, con i berlusconidi che si preparano a far pesare il proprio sostegno; se l’alternativa saranno elezioni anticipate al 2017 con ottime probabilità di vittoria degli inefficienti -vedi Roma- 5Stelle di Grillo, ancora esultante per la vittoria di Donald Trump, o peggio di una destra à la Salvini; in breve, se anche noi fossimo travolti dall’effetto domino che da Trump passando per Brexit potrebbe veder vincere i populismi in Francia, in Austria e in Germania… be’, queste alternative preferisco non considerarle, e spero che di qui al 2018 ci sia il tempo per costruire un argine efficace alla deriva, con un governo stabile, confidando nel fatto che Matteo Renzi impari a dialogare e ad ascoltare, cosa forse non impossibile, e che l’Italicum venga modificato.

L’alternativa di sinistra non esiste. Non è mai stata inesistente come oggi. C’è un no di sinistra molto forte e molti amici –persone ottime, so che le deluderò e mi dispiace- che militano nei comitati. Ma oggi manca totalmente una sinistra politica in grado di capitalizzare il risultato: per dirla in breve, nell’eventuale procedura fallimentare del governo Renzi, ciò che resta di una sinistra polverizzata sarebbe ultimo nella fila dei creditori. Anche il no di sinistra verrebbe pertanto incassato dai populismi e dalla destra che, come la Storia dovrebbe averci insegnato, viaggiano sempre insieme.

C’è un’obiezione che molti mi oppongono: ma qui si va a toccare la Carta fondativa, si interviene sulle mura portanti della nostra Repubblica. Io rispondo che le conseguenze politiche immediate e future di questo voto, in un momento così drammatico e tumultuoso per le nostre democrazie, non sarebbero storicamente meno importanti.  

Per questo voterò sì. E anche per un’altra ragione.

Sono pressoché certa che anche in caso di vittoria del No a Milano le cose andrebbero diversamente. Giro molto per l’Italia e sono perfettamente consapevole del fatto che Milano costituisce una specie di Repubblica indipendente che dal 2011 sta sperimentando un ciclo virtuoso guidato da un’alleanza di centrosinistra. It works, e perfino l’opposizione qui ha le unghie spuntate. Il populismo non attacca, la destra è in difficoltà, e a me piacerebbe che le cose funzionassero in questo modo anche nel resto del Paese, più lontani possibile dal disastro di Roma. Proprio me lo auguro con tutto il cuore. E non mi auguro affatto, viceversa, che questo ottimo modello possa essere travolto dai populismi, un po’ come Londra da Brexit.

Confido che ciò sia possibile. Vedo manovre interessanti, per esempio una mobilitazione di sindaci ed ex-sindaci piddini e arancioni –tutti schierati per il sì- per ricostruire una sinistra efficiente e solidale. Confido che molte donne possano prendere parte a questo processo con la loro autorità e sapienza –probabilmente l’unico vero argine al populismo: ma qui il discorso si farebbe lungo e complesso, tocca rimandarlo ad altra occasione-.

Solo con la vittoria del sì potrebbero aprirsi questi scenari. Ed è per questo che voterò sì, e vi invito a fare altrettanto.

 

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