Leggo ieri su Repubblica che le famiglie gay italiane -con bambini- sono in aumento. Per le coppie lesbiche è più facile, i maschi invece devono andare a procurarsi i bambini lontano, dove certe pratiche sono legali. Qualche goccia del proprio seme, una donatrice di ovuli, una madre portatrice -che a volte coincidono- e il bambino, una volta venuto al mondo si potrà portare via con sé.

Come ho già detto qui, su questo argomento non ho certezze, e se tutto questo non fosse tecnicamente possibile, d’istinto mi sentirei più tranquilla. Ma invece lo è, molta gente lo fa, è una realtà che conosco personalmente, e saranno sempre di più quelli e quelle che lo fanno. Quindi si deve guardare la realtà, da qualunque parte vada, che ci piaccia o meno, prenderne atto e provare a porre alcuni punti fermi.

Il primo, dal mio punto di vista irrinunciabile, è il superiore interesse del bambino. Non so se corrisponda al suo interesse essere messo al mondo con queste tecniche, e su questo sospendo il giudizio. Ma una volta che è nato, il suo interesse va posto assolutamente al centro. Occorre quindi che la sua famiglia “particolare” e la comunità si facciano carico del suo essere al mondo, ponendo in atto tutte le forme di accoglienza possibili, che vanno dalla più elementare non-discriminazione a un’attenta riflessione sulle problematiche psicologiche che un bambino nato in questo modo si troverà ad affrontare, prima tra le quali il non sapere da quale madre o da quale padre è nato. Ogni essere umano ha diritto a essere informato sulle sue origini, questo è il secondo punto fermo, e questa informazione in nessun caso le-gli può essere negata. Io credo che si dovrebbe garantire al bambino il mantenimento di qualche forma di relazione con chi l’ha generato, ma come si sa donatore e madre surrogata pretendono quasi sempre di restare anonimi. E questo è un problema.

Terzo punto fermo, dal mio punto di vista, è questo: non vi è simmetria tra due uomini che procreano (con l’assistenza di una o più madri surrogate) e due donne che lo fanno (con l’aiuto di un padre donatore), semplicemente perché non vi è simmetria tra il padre e la madre. L’assenza di una madre fin dai primissimi giorni di vita apre ben altre problematiche rispetto all’assenza di un padre: è con lei che il neonato si sente tutt’uno, e da lei che dovrà gradatamente staccarsi per individuarsi. Detto malamente, la creatura è della madre, come per la stragrande maggioranza delle specie viventi. Di qui faccio discendere la seguente “eresia”: che la filiazione da parte di una coppia lesbica è meno problematica della filiazione da parte di una coppia di omosessuali maschi, e quindi che le due situazioni non possono essere valutate nello stesso modo.

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