Ho riportato quel brano dalle “Confessioni” -in cui mi sono imbattuta per puro caso- per la semplice ragione che, pur essendo passato dal tempo di quei fatti oltre un millennio e mezzo, vi si racconta qualcosa che ci è molto familiare. La freschezza di quella narrazione non è solo nel limpido stile di Agostino, ma anche nella sostanza dei fatti: uomini traditori, irascibili e violenti, donne pazienti o riottose ma comunque costrette a subire, una dinamica tra i sessi a cui il tempo ha apportato solo modesti correttivi.

Perché è vero, oggi il tradimento è “consentito” anche alle donne,  e il marito violento può essere denunciato e lasciato. Ma resta il mistero, per me insondabile, del dominio come spina dorsale dell’essere uomo, questa ira funesta raccontata come naturale e nell’ordine delle cose, questo subire femminile come condizione ineliminabile, e Agostino che narra senza un solo cenno di disapprovazione o di sconcerto, da uomo del suo tempo. Ma prima di quel tempo c’era pure stato Gesù, molto tenero con le donne, pronto a perdonare la peccatrice, a fermare le pietre sull’adultera, e ad amare e rispettare sua madre. Oggi che il patriarcato è crollato, questa tentazione di dominio resta ancora viva nel fondo del cuore di molti uomini, che sembrano non sapere che cosa sia essere uomo se e quando non lo possono esercitare. Perché, mi chiedo, questa intima e radicata necessità? Era su questo che mi aspettavo il contributo degli uomini che hanno scritto.

Quanto invece alla forza, alla pazienza e alla capacità di mediazione della madre di Agostino, non posso che apprezzarla e ammirarla e prenderla a modello: non che accettasse e subisse, intendo, quanto piuttosto il fatto che, date le condizioni dei rapporti tra i sessi, sapesse comunque trovare intelligentemente la via migliore per minimizzare il danno, per sè e per tutti. Talento femminile che oggi scarseggia, e di cui avremmo tutti, come di tante altre qualità femminili, un grande bisogno.

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