Ho in casa gradita ospite la mia vecchia mamma. Un po’ di febbre, niente di drammatico. Per la mia vecchia zia di Venezia, invece, messa maluccio, non posso fare granché, a meno di non portarmela qui. Ordinari problemi di gente della mia età, con la fortuna di avere ancora qualche qualche vecchio intorno, e anche di poter pagare qualcuno che la aiuti ad aiutarli.

Sul Corriere di oggi Gianantonio Stella si occupa del taglio ai fondi per il sostegno ai disabili. L’argomento dei falsi invalidi è debole: di disabili veri ce ne sono tanti. Tutti sperimentiamo la disabilità, in qualche momento della vita, la nostra e quella di chi amiamo. C’è gente a cui tocca sperimentarla vita natural durante.

Quando si dice che le famiglie devono farsene carico, economicamente e psicologicamente, fino al burn out, vorrei che si intendesse soprattutto le donne. Intendiamoci: conosco molti uomini che si occupano dei loro cari in difficoltà. Ma la disabilità ordinaria, chiamiamola così, quella di un bambino che ha bisogno di cure per crescere, quella di un vecchio o che da solo non può farcela, è affidata alle donne, che nel lavoro della cura sono molto brave.

Ora, a tutto questo il governo non sta prestando sufficiente attenzione. Di più: taglia. Io non credo affatto a un modello in cui la gestione della disabilità sia affidata alle istituzioni: per dirne una, nel nostro paese tendiamo a ricorrere agli ospizi come extrema ratio, e questo a mio parere è un bene assoluto. Credo però a un modello in cui il tema della cura sia posto al centro delle politiche, come sta al centro delle relazioni umane. Perché senza cura tutto appassisce.

Individuando tutti gli strumenti, massimamente flessibili, che possano consentire alle famiglie -leggi: donne- di tenere insieme il tessuto degli affetti senza sacrificare del tutto le loro vite: una quota di sacrificio tocca e va accettata.

Ecco, su questo fronte non vedo proprio niente di nuovo.

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