Tanti anni fa, subito dopo l’11 settembre, mi sono infilata un burqa afghano di rayon blu e sono andata in giro per le strade di Milano. Per vedere di nascosto l’effetto che fa: a me, e tutti gli altri. L’effetto fu pessimo: un’esperienza terribile, non poter respirare, non riuscire a vedere, non sentirmi più io, essere presa a male parole nel mio quartiere da gente che ritenevo buona e caritatevole. Un incubo. L’unico ricordo gentile, alcune vecchie signore che mi invitarono a levarmi quel coso di dosso: “Qui sei in Italia, non può obbligarti nessuno”.
Tutto sommato ci siamo abituati: non ai burqa afghani, ma qualche niqab nelle nostre città si vede: quel velo integrale total black, una fessura che scopre gli occhi, appena più pietosa dell’accecante reticella del burqa. Io ne ho visti per strada, al supermercato. Doppia umanissima inquietudine: per il destino della donna che sta lì sotto, per la paura che oltre alla donna ci sia qualche etto di esplosivo.
La delibera del governatore della Lombardia Roberto Maroni, che vieta l’accesso a caschi e volti coperti negli ospedali e negli uffici regionali, non parla esplicitamente di velo integrale, ma dice in premessa che «le tradizioni o i costumi religiosi (…) non possono rappresentare giustificati motivi di eccezione (…) rispetto alle esigenze di sicurezza». Esiste già una legge nazionale a disporre in questo senso: la delibera Maroni ne chiede in sostanza un’applicazione più severa, cogliendo l’occasione post-parigina per fare un po’ di propaganda. Che a mio parere va a segno: la disposizione di sicuro non spiacerà alla maggioranza dei cittadini, anche se il numero dei niqab in giro è molto esiguo.
In Francia da 5 anni è in vigore la legge “interdisant la dissimulation du visage dans l’espace public”. Il divieto vale anche strada, sui mezzi pubblici, nei centri commerciali, con una multa di 30mila euro e il carcere per chi obbliga la donna a velarsi integralmente. In 5 anni le donne fermate sono state poco più di un migliaio (i musulmani in Francia sono più di 5 milioni) e vivono quasi tutte a Parigi e dintorni. La legge non è servita a impedire l’orribile strage del 13 novembre, e anzi ha risvegliato una sorta di orgoglio del niqab: ci sono donne che hanno deciso di indossarlo in segno di protesta contro il divieto, radicalizzandosi.
La delibera Maroni interferisce anche con il diritto alla salute, per quanto limitato a un numero davvero esiguo di casi: donne che, non potendo presentarsi velate in ospedale, potrebbero decidere di rinunciare alle cure tout court. Non si rischia di peggiorarne la condizione, già evidentemente penosa? Un anno fa a Padova un gruppo di profughi uomini rifiutò di essere visitato da personale sanitario femminile, e l’Asl decise di richiamare medici maschi in pensione. La resistenza a rinunciare ai propri costumi può essere davvero molto forte.
E’ davvero opportuna, questa delibera? Non c’è il rischio che i danni siano maggiori dei benefici?