E meno male, dico, che per un inconveniente tecnico il post su Laura, la ventiquattrenne belga che ha chiesto e ottenuto di morire con suicidio assistito, non ha potuto ricevere commenti. Ho avuto un fronte in meno su cui combattere. Per due giorni il bombardamento sui social network è stato feroce: sono stata accusata di ignorare la sofferenza della depressione, di sperare che la ragazza si togliesse la vita da sola e dolorosamente, di ergermi a giudice della sua scelta, di non farmi i fatti miei, di non essere politicamente corretta. Qualcuno (anzi, qualcuna) ha affermato che in una formazione progressista NON (ripeto: NON) ci dovrebbe essere libertà di coscienza sui temi eticamente sensibili: insomma, quello che capita normalmente in un regime. Qualcun’altra ha ridacchiato compiaciuta (“eh eh eh”) di fronte al mio sgomento per questi attacchi, come se in tutta questa vicenda ci fosse qualcosa da ridere. Mi è stato detto di non piagnucolare e di non fare la vittima. Tanti si sono scandalizzati per la colorita espressione “merda” (e non per il fatto che una ragazza di 24 anni sta per essere accompagnata a morire da uno Stato): il mondo alla rovescia. Altri hanno inteso che io dessi della merda alla ragazza. E poi molti, davvero molti, hanno condiviso la mia pena e il mio senso di rivolta per questa vicenda.

Anche il tema dell’eutanasia per i malati psichici -questione universalmente dibattuta e controversa: chi soffre psichicamente è dotato della lucidità necessaria a decidere di essere accompagnato a morire?- per tanti non può essere nemmeno posto in discussione (e invece perfino Gramellini osa discuterne).

Mi spaventa molto il non poter dire quello di cui si è intimamente convinti secondo coscienza, anche correndo il rischio di sbagliare: questo rischio c’è sempre e bisogna correrlo sempre per amore del mondo. La muraglia del pensiero unico non è mai stata tanto alta e insormontabile.

Sotto sotto la questione è una sola: quella dei diritti individuali. “Ognuno sta solo sul cuor della terra”, con il suo bravo armamentario di diritti. L’un contro l’altro armato di diritti anche astrusi: ne inventiamo di nuovi ogni giorno. L’individuo e i suoi diritti come atomo irriducibile. Parlando con alcune amiche, ieri notavamo che perfino Judith Butler, madre dellle gender theory e dell’individuo-a che fa di se stesso-a ciò che vuole, costruendosi a prescindere dalla sua realtà biologica, a un certo punto si è arresa arrivando a dichiarare “il corpo è mio e non è mio”. Ma qui, come ho già scritto qualche giorno fa, non l’ha ascoltata più nessuno. Butler intendeva dire che quell’uno armato di diritti è solo un’astrazione. Che fin da quando veniamo al mondo siamo in due: è il due della relazione,  l’atomo irriducibile. Che qualunque cosa decidiamo di noi stessi riguarda sempre anche qualcun altro. E’ uno dei postulati fondamentali del femminismo, la centralità della relazione: questo almeno si può dire?

C’è poi uno svarione storico, sul quale è bene fare chiarezza: quella dell’individuo armato di diritti è un principio del liberalismo, non del pensiero “di sinistra”. La sinistra ha sempre cercato altre soluzioni. Oggi si tende invece a porre la lotta in difesa dei diritti dell’individuo al centro dell’appartenenza a sinistra, oltre a confondere laicità e laicismo (per quanto mi concerne, se interessa, io sono laica e non laicista).

Sarebbe bene pensarci un po’ su. Se è permesso.

Aggiornamento 13 luglio: qui un interessante punto di vista psichiatrico.

 

a tutti suggerisco la lettura di questa allarmante inchiesta del New Yorker sull’eutanasia in Belgio : se poi ci fosse un santo che ha voglia di tradurre per chi non sa l’inglese

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