Dunque l’altra sera mi è presa un’incazzatura che non ho ancora smaltito. Vedo la coda di “Piazzapulita”, in collegamento con la tragedia dell’Ilva di Taranto. Si parla di cure oncologiche e di bambini che si ammalano appena nati. Come contrappunto grottesco, un reportage sulla prima della Scala, le solite signore ingioiellate come alberi di Natale, alcune delle quali dicono di aver votato sì -altre in verità anche di aver votato no-.
Effettacci a basso costo: ecco la sofferenza del Paese reale, ed ecco i fottuti renziani milanesi in smoking, con tanto di risotto e tartufi post-prima alla Società del Giardino.
E’ un po’ che tira questa brutta aria su Milano. Sono mesi che cerco di convincere un’amica umbra che qui le cose funzionano, pur con tutti i limiti e le perfettibilità, e ogni volta la prende come un dispetto. Milano funziona. Funzionano i mezzi pubblici, funzionano i servizi, funziona più che decentemente la sanità -come sanno tutti quelli che devono emigrare per essere curati, a me è capitato numerose volte di ospitare parenti e amici in cerca di terapie adeguate-, funziona meravigliosamente l’accoglienza di profughi e migranti, e ne arrivano tanti, ma davvero tanti: l’hub di prima accoglienza è a cento metri da casa mia, e quasi non ci si accorge di quello che sta capitando. L’occupazione femminile ha raggiunto e superato gli obiettivi di Lisbona. Sono arrivati 50 mila ragazze e ragazzi da tutta Italia per studiare e lavorare, si inseriscono, si trovano bene e si divertono, e fanno divertire la città che gode della loro energia. Funziona la scuola: abbiamo ottimi istituti e alcuni primati universitari. Funziona la cultura, con un’offerta amplissima e variegata. Le notti sono sempre festose, fiumane di gente per le strade e in metrò. Si vive, si lavora, ci si dà una mano: siamo anche la capitale del volontariato, l’emarginazione sociale è contenuta al minimo.
It works, sta funzionando.
Certo, non mancano i problemi, che esistono in tutte le situazioni umane: il precariato c’è anche qui, così come il degrado di certe periferie -priorità dell’agenda di giunta, a ore verrà annunciato il piano-. Comunque, lo dico per chi non conosce Milano, niente a che vedere con le banlieu parigine e le varie Tor romane.
Il ciclo virtuoso è cominciato nel 2011, abbiamo spinto tutte e tutti fortissimamente perché il cambiamento si realizzasse. Non dimenticherò mai la festa di quelle giornate di temporali e caldo torrido. E continuiamo tutte e tutti a spingere, ciascuno dalla propria legittima posizione sociale, professionale e politica, per mantenere i buoni standard raggiunti e ove possibile per elevarli. E tutto questo ha a che fare anche con un buon governo di centrosinistra che soddisfa la gran parte delle cittadine e dei cittadini. Il ritratto plastico della città è nella manifestazione spontanea dei cittadini e delle cittadine che nel maggio 2015, con spugne e ramazze, hanno ripulito strade e muri devastati dal corteo NoExpo. Ma forse conta ancora di più, a testimonianza dell’impegno di ciascuno per il bene di tutti, il nostro record in fatto di raccolta differenziata dei rifiuti. Vuole dire che ciascuno di noi si dà da fare per la città, senza delegare più del necessario.
Alcune e alcuni di noi, me compresa, alle ultime elezioni in ottima fede hanno provato a lavorare per un’alternativa, credendo che potesse esserci un meglio. Abbiamo invece toccato con mano il fatto che questo meglio non esiste, semmai abbiamo intravisto il peggio, e ci siamo risolutamente e convintamente attaccati al buono che c’è.
Mi sarebbe piaciuto che Corrado Formigli, oltre al volgare contrappunto dei lamé e delle brioche del 51 per cento in piazza Scala, avesse mostrato che anche a Milano, come a Taranto e in molte altre realtà, esistono i problemi: la differenza è che qui qualche soluzione è stata trovata, e forse guardando a Milano si potrebbero trovare discrete soluzioni anche per il resto del Paese. Forse un governo nazionale di centrosinistra sarebbe quel bene di cui avremmo bisogno.
E invece no, no e no. Plausibilissimo da parte di 5Stelle e Lega, che legittimamente giocano la loro partita. Meno comprensibile da parte della sinistra che da questo no -tolta la soddisfazione di vedere Renzi giocare alla playstation a Pontassieve- rischia di portare a casa poco o niente, quando non addirittura il peggio (basta con la balla del voto sul merito della riforma, che tutti rilevano al massimo intorno a un 10-15 per cento).
Mai stata una devota di San Giuliano Pisapia, ma ricordo le code dei pellegrini che andavano a baciargli la pantofola a Palazzo Marino, ricordo Nichi Vendola che dal palco del trionfo strillava come se fossimo a Terlizzi -e nell’imbarazzo generale- “Abbiamo espugnato Milano!“. E ora assisto stupefatta alla lapidazione di Pisapia: perché anche lui è Milano, quella della prima della Scala e dei borghesi che affamano la gente, deve “tornare a fare l’avvocato“, dice Loredana De Petris, Carneade di cui non vi è traccia politica di qualche rilevanza; “Le persone come Pisapia sono i nemici più formidabili di chi spera di riportare la politica a un minimo decente di attinenza alla realtà“, scrive Pippo Civati, omettendo il fatto che con la realtà Pisapia il coraggio di misurarcisi almeno l’ha avuto, come chiunque faccia il sindaco, e i risultati sono stati più che apprezzabili.
Il pulviscolo dell’irrilevanza politica -da Vendola a Fassina, sempre più vicino ai 5Stelle- si rivolta, temendo più che altro per i destini personali.
Non so se personalmente voterei per il Campo Progressista voluto da Pisapia e da altri sindaci arancioni, ma so per certo che di quel campo c’è bisogno, e non mi scandalizza affatto che la prospettiva sia quella, sul modello milanese, di un’alleanza con il Pd. Perché quel modello sta funzionando, potrebbe funzionare per il resto del Paese, ed è quello che consiglio e auguro a tutti i miei compaesani, da mezza terrona disperata per il Sud quale sono.
Prospettive migliori al momento non ne intravedo. Dei 5 Stelle, che non a caso a Milano non esistono nonostante il quartier generale fosse qui, oggi non mi fido per almeno 3 ragioni: la manifesta incapacità a governare inflitta ai romani e ai livornesi; l’assoluta mancanza di garanzie democratiche interne, e quindi anche esterne; la pericolosa contiguità con i Farage e l’entusiasmo per Trump.
Si assedia Milano con un pessimo lavoro giornalistico solo per sparare contro il centrosinistra. Io intendo muovermi, per quel poco o nulla che sono e che conto, in direzione uguale e contraria.