Delle tante cose che si possono dire sulla gran vittoria di Donald Trump –alla rinfusa: l’irrilevanza dei sondaggi e del sistema dei media, l’inefficacia degli endorsement dello star system liberal, la ridicolaggine di chi continua a credere che le donne votino le donne tout court, la mazzata a quella che il supporter di Trump Clint Eastwood ha definito “pussy generation” e alle perversioni del politicamente corretto, l’orgoglio imperiale americano contro il global, l’ambiguo rapporto con la finanza internazionale e con Wall Street, che come abbiamo poi visto non si sono affatti lasciati deprimere dalla sconfitta di Hillary- ecco, di tutte queste cose a me preme dirne soprattutto una.

Quella che viene sonoramente e ripetutamente sconfitta, in America e in tutte le democrazie occidentali, è anche una politica che continua a portare al mercato dirittini e dirittucoli a costo zero e possibilmente redditizi per qualcuno, per compensare l’incapacità di disegnare un presente e un orizzonte in cui siano garantiti diritti non irrilevanti come quelli alla dignità e al pane.

Tanto per dire: il diritto di quel meccanico 52enne, 23 anni di matrimonio e padre di sette figli, che si è improvvisamente sentito di essere una bambina di 6 anni, si è infilato un bel vestitino con i pizzi, è stato adottato da una affettuosa famiglia e passa le sue giornate a colorare album: Non posso negare di essere stato sposato e non posso negare di avere dei figli, ma ora sono andato oltre e sono tornato a essere una bambina» (lo vedete nella foto sopra).

Bello, bellissimo. Tutti a sostenere il sacrosanto diritto di tutti a fare tutto, dove si vuole e quando si vuole. Io per esempio mi sono sempre sentita un mezzo labrador, nutrirmi a Ciappi non mi basta più, ho tutto il diritto a farmi innestare una coda a spese del Servizio Sanitario Nazionale.

Ma se tu sei, appunto, un ferramenta del Wyoming che sta per chiudere bottega e il tuo diritto a campare la famiglia non interessa a nessuno; se tu, magari sbagliando –in fondo sei solo un ferramenta del Wyoming, mica uno dello showbitz o un intellettuale di Harvard- metti in relazione la tua miseria con tutte quelle bullshit , se tu pensi che è a causa di tutte quelle fottute stronzate che non si pensa ai guai seri della gente, non bastassero i dannati messicani che passano il confine… Be’, se tu pensi tutto questo, che provi a fare saltare il banco -vale in America come per i ferramenta di quasi ovunque- non è così strano.

Purtroppo l’occasione per farlo saltare ha avuto i capelli a pannocchia di Donald Trump, il mercato della politica non offriva altro, di sinistra nemmeno l’ombra, e quella poca tutta presa con il piccolo punto dei dirittini. E non è neanche strano se dalla travolgente vittoria del pannocchione trarrai conclusioni immediate tipo: il messicano dovrebbe averla capita, fate che ne incontri uno e gli rinfresco la lezione. O anche: mia cara ragazza, adesso tu te ne starai a casa a farmi i pancake perché io mi faccio un mazzo così tutto il giorno, abbiamo finito di giocare. E’ la prima roba che vedremo, temo. La corda è stata tirata fino allo stremo.

C’entra la vittoria di Trump con il sì e il no al referendum sulla riforma costituzionale? C’entra eccome, a mio parere. Mi riservo e non milito in uno dei due fronti, esercitando il mio diritto –questo sì- a valutare responsabilmente fino all’ultimo, tenendo conto del maggior numero di elementi in campo, e non si può dire che la vittoria epocale di Trump e la fine del modello liberal non siano un elemento significativo.

Mi piace la riforma costituzionale? No. Ma anche se so questa riforma è molto brutta, indubitabile che è in gioco altro. Se vincerà il sì, Renzi andrà rapidamente all’incasso, cercando di approfittare elettoralmente del suo successo e del disastro romano dei 5Stelle per provare a fermare la loro corsa, e non è detto che ci riesca. Se vincerà il no, Renzi dovrà rivedere gli equilibri del partito nazione a favore del centrodestra, che nella compagine peserà molto di più. E il corpo a corpo elettorale tra il partito nazione e i 5Stelle, a meno di disastri autentici –l’incapacità di Virginia Raggi non sufficit- vedrà probabilmente prevalere i secondi, e avremo un presidente del Consiglio tipo Di Maio, uno che alla domanda: ma lei preferisce Hillary o Trump ha risposto che non voleva interferire con il voto degli americani. Perché lo spirito del tempo è questo, a cui diamo grossolanamente il nome di populismo.

Ecco lo scenario a oggi, al netto di assestamenti degli equilibri nella destra: partito nazione, partito nazione ancora più di destra o 5Stelle. Altro non si vede. Sinistra scomparsa dai radar, nella speranza che scompaia proprio del tutto per dare ad altri la possibilità di ripensarla. Se dovesse interessare a qualcun/o, il mio sì o il mio no –o la mia astensione- terranno conto di questo, e si definiranno solo all’ultimo, in modo da poter disporre del maggior numero di elementi di valutazione. Proprio perché la prendo molto seriamente.

Mi dice un’amica: ma no, quella di cui parli tu è solo la contingenza politica, insignificante rispetto al fatto che qui si va modificare la Carta fondativa. Vero. Ma a me questa non pare una qualunque contingenza politica. Il voto americano, a cui seguiranno nel 2017 le presidenziali francesi e le elezioni federali tedesche –anche lì hanno i loro bei cavoli con le destre populiste- e quindi il nostro voto, ci parla di un passaggio storicamente non meno rilevante della Carta Costituzionale.

Per questo non milito. Scruto, mi danno, e prego.

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