Le donne, in sostanza, non ci sono state. E visto come sono andate a finire le cose, parlo della scissione del Pd, forse è meglio così. Che la sconfitta -una sconfitta per tutti, e soprattutto un rischio grave per il Paese- se la intestino solo quei maschi che, corna contro corna e nari fumiganti, si sono battuti per controllo del territorio, con punte devastanti di insensatezza: in particolare, ma parlo in soggettiva, la pretesa che il segretario alfa Matteo Renzi non soltanto si dimettesse, ma si smaterializzasse del tutto, rinunciando a competere alle primarie e dileguandosi dalla scena politica (è il senso della richiesta di Epifani, in nome della minoranza: se ti candidi tu noi non abbiamo chances di vincere).
Le donne non conteranno nulla nemmeno nella fase construens della nuova sinistra, o rivoluzione socialista, o come diavolo si chiamerà: trattative per le alleanze e per le leadership, per le liste, per le candidature. Per i posti. Solo alla fine i maschi si guarderanno in faccia e obtorto collo, in nome di una obbligatoria “parità di genere”, saranno costretti a tirare fuori qualche coniglia dai cappelli, scegliendo preferibilmente le più allineate, le più ubbidienti, le più fedeli, le più telegeniche, le meno rompicoglioni. Al solito.
Questa latitanza delle donne, una cosa da partito saudita, come non si vedeva da tempo-con poche eccezioni: come la sottosegretaria Teresa Bellanova, applaudita all’assemblea di ieri, vedi foto sopra, e la vicepresidente Sandra Zampa, che si è resa promotrice di un appello all’unità firmato da varie parlamentari- è un fatto clamoroso che merita di essere letto in tutta la sua ambivalenza.
Intanto si sa: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, e non c’è spazio per nessun altro, se non di contorno. Più ci si avvicina a fare la Storia, e meno le donne contano. Il partito rivela la sua natura irriducibile di spazio di contesa maschile, non c’è più tempo per le manfrine e per gli imbellettamenti. Fuori tutte perché qui ci si mena, resta libera giusto la parte maternamente retorica delle paciere, per quelle poche che hanno il coraggio di mettersi in mezzo. I media ti ignorano. E quando intervieni la sala rumoreggia e gli streaming tv ne approfittano per la pubblicità: tanto, a meno di eccezioni, come si diranno in regia, questa qui “non conta un ca..o”.
Consapevoli delle dinamiche, le più si tengono indietro e giustamente non vanno allo sbaraglio, a meno di investitura diretta da parte del leader di riferimento. La gran parte si allinea e si tiene lontana dalla linea di combattimento, limitandosi comprimariamente a esprimere auspici sottovoce, a suggerire, eventualmente a lenire le ferite.
Ma questo tenersi indietro è anche affermativo e dice appunto che appena dietro il trompe l’oeil dell’emancipazione e della partecipazione paritaria, la democrazia rappresentativa è nata come spazio degli uomini e resta tale, e lo si vede particolarmente bene quando il conflitto si fa aspro. E anzi, che si tratta proprio di una conventio per evitare la guerra, finché ci si riesce, e dalle logiche di guerra è profondamente informata. E quando questo imprinting originario si rivela, le donne percepiscono il loro essere letteralmente corpi estranei, corpi tenuti fuori dall’agone. Anzi, corpi per tenere fuori i quali la fratria democratica delle origini si è costituita.
Ma questo vuole dire anche che quel “fuori” femminile esiste e resiste, uno spazio e uno sguardo in cerca del suo linguaggio, dei suoi strumenti e delle sue istituzioni per regolare e governare la vita in comune. E che continuare a volere tenere fuori questo sguardo e questo linguaggio -o non potere fare diversamente, per come è strutturata la democrazia rappresentativa- costituisce una delle ragioni principali, se non la prima, della crisi insanabile e pericolosissima dei partiti di cui ieri abbiamo visto una rappresentazione plastica, magniloquente ed esemplare.
Qui il rischio c’è per tutte e tutti. Anche per quegli uomini di buona volontà che riconoscono la sapienza delle donne nel privato, e la vorrebbero vedere agire anche nella vita pubblica.
aggiornamento: qui un appello all’unità del Pd sottoscritto da deputate, senatrici, militanti