PARTE PRIMA

Alberto aveva una sciarpa. Sempre addosso, da ottobre a marzo. Bella, sul serio. Fatta ai ferri la sera davanti alla tv da sua madre professoressa. Strisce turchesi, rosa, gialle, piccoli alci blu. La sciarpa di Alberto, in poche parole. Inconfondibile, indossata su un montone biondo, e lui con i suoi capelli biondi, con i suoi occhi blu. Andiamo in un locale, una sera, al Ticinese. Cappotti, sciarpe, cappelli ammucchiati su un tavolo. Un paio d’ore dopo: la sciarpa di Alberto. No! Sparita. Fruga nel mucchio. Guarda sotto il tavolo. Noi tutti in lutto, le mani nei capelli. E lui, dolce com’è: “Cavolo. Cavolissimo. Cacchiarola. Peccato”. Noi furiosi. E lui: “Va be’. Accidenti. Uffa”. Sua madre commossa gliene confeziona prontamente un’altra. Non glielo diremo mai, ma non c’è paragone. Quel turchese che non è più turchese. E quegli alci depressi. Non è la sciarpa di Alberto. (to be continued).

PARTE SECONDA

Alberto va a Parigi. Noi andiamo a Parigi con Alberto. Per Capodanno. Un freddo allucinante. Stiamo battendo i piedi e i denti nello spiazzo davanti a Notre Dame. Credo di avere la febbre. Bel Capodanno. Ho una ventina d’anni e sono la ragazza di Alberto. Con i suoi occhi blu e la sua pseudosciarpa da Alberto. Mi sono sempre piaciuti così, del resto, biondi e con gli occhi blu. “Che gelo”. “Eh già, abbastanza” dice Alberto. E’ buio, è piovuto, è tutto lustro. Qualcuno la vede all’improvviso, un lampo rosa e turchese nella notte. “Alberto! Alberto! Là! Davanti alla chiesa!”. Un tale nero come un corvo, con la barba lunga. Brutto, da quello che vedo. Sono miope, ma la riconosco. “La tua sciarpa! Alberto!”. “Vai! Prendilo!”. Il poveraccio si vede piombare il commando addosso. Alza le braccia. Uno di noi allunga la mano: “Forza bello. La sciarpa”. Non ci prova nemmeno. Nessuna resistenza. Se la sfila dal collo. Muto. Si gratta la barba. Ancora calda del calore dell’infame, rigiriamo la vera sciarpa di Alberto intorno al collo di Alberto. Come un trofeo. Come una medaglia al valore. Alberto e la sua sciarpa. Tutto come un tempo. Quasi gli dispiace, lo so com’è fatto. Vorrebbe scusarsi con il ladrone. Si sfila la pseudosciarpa. Gli placco il braccio, prima che faccia follie. Sento che vorrebbe dargliela in cambio. La mette al collo a me, invece. Io rabbridividisco. Ricomincia a piovere. E quell’altro che se ne va, spalle cadenti, abbracciato alla sua ragazza sbigottita. Poveraccio.

Buon anno -anche quest’anno, tanti anni dopo-, all’uomo più sfigato dell’universo.

Niente politica, oggi. Solo una piccola storia che mi è venuta in mente sistemando le sciarpe nell’armadio. Magia di una notte di mezz’inverno. Gradite altre piccole storie, se ne avete, per ricambiare.

To be continued, allora…

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