A quanto pare non sta capitando solo a me.

Essere accusata di transfobia, queerfobia, omofobia, moralismo (Swerf, ovvero Sex Worker Exclusive Radical Feminist, Terf, ovvero Trans Exclusive Radical Feminist, whorephobic, transphobic, anti-sex, moralistic prudes) è un’esperienza comune per molte tra noi femministe.

L’esperienza –insulti, censure, bullying: una brutalità maschile, misogina e neopatriarcale– mi tocca da quando ho cominciato a parlare e scrivere contro l’utero in affitto o Gpa, e sta toccando a tutte le mie compagne di strada, femministe eterosessuali e lesbiche. Capita lo stesso quando lotti contro la prostituzione.

Ma nel mondo anglosassone questa faccenda è consolidata e già bene a fuoco.

Le cosiddette femministe “radicali” –qui le chiameremmo pensatrici della differenza sessuale– vengono frequentemente contestate nei convegni e nelle università, censurate dai social network, escluse dal mainstream queer, fatte oggetto di bullismo.

Essere “cis-woman”, ovvero una donna la cui identità di genere è conforme al sesso di nascita –in sostanza, la stragrande maggioranza delle donne del pianeta- è motivo sufficiente per essere accusata di multiforme “phobia”. “Cis” -ovvero non “trans”- è termine spregiativo in sé, indicando la posizione regressiva di chi si sente a proprio con il sesso biologico e quindi, nel caso delle donne, accetta supinamente la condizione di oppressione fatalmente connessa all’identità femminile così come la conosciamo nel patriarcato.

Ci sarebbe solo un modo per liberarsi dalle catene: sciogliere il legame con il proprio corpo biologico. E in particolare, se posso dirla a modo mio, con il fatto di poter essere madri: perché una donna è una che può –non deve, ma può essere madre- mentre un maschio è uno che non può esserlo.

Ma nessuna tra noi femministe della differenza vuole slegarsi dal proprio corpo. Noi radichiamo il pensiero nel nostro corpo, e lo amiamo così com’è.

La bomba è recentemente esplosa con il duro contrattacco alla cultura queer da parte di Sheila Jeffreys, rinomata lesbo-femminista anglo-australiana, secondo la quale “il trasgender è un costrutto socialmente e politicamente patriarcale” quindi direttamente “connesso al potere dell’etero-patriarcato”. E la nozione di gender-identity è un prodotto del “neoliberismo americano, soluzione individualistica e consumistica che alimenta il business di Big Pharma, di cliniche e terapisti e di chirurghi estetici.”

Per esempio, mi sono spesso domandata perché molte donne hanno tanta paura di esprimere pubblicamente il loro punto di vista contrario all’utero in affitto. La femminista americana Lierre Keith dice di comprenderla a fondo, questa paura. “La mia carriera” dice “è finita. Non posso più parlare nelle università. Anche quelle poche volte che mi invitano, nel giro di un paio di settimane fanno marcia indietro. Qualcosa che ricorda il clima del maccartismo: il confronto pubblico è blindato, devi per forza seguire una certa linea”.

Idem per Julie Bindel, celebre giornalista femminista inglese fondatrice di “Justice for Women”, accusata di essere fobica (“transphobic and whorephobic”) e bigotta, ed esclusa dalla Conferenza di Nus (National Union of Students). Mentre invece pornografi e misogini sono stati bene accetti.

Girava la petizione: “Ban Julie Bindel from campus, her presence on campus for Muslim students, queer students, bi students, polyamorous students, sex working students and trans students will be an act of violence”. Graditissimo ospite invece un tipo che per anni ha prodotto pornografia e ha sostenuto siti come “ExploitedAfricans.com” “in cui” dice Bindel “vengono pornografizzate donne che arrivano dal Congo sui barconi”, costrette a subire violenza e stupri.

“Bene, mi sono detta” continua Bindel “stiamo vivendo tempi orwelliani, così come ci sono stati tempi maccartisti. Nel campus la gente mi urlava contro, niente da dire invece su questo tipo, né da parte delle cosiddette femministe, né dai sedicenti studenti pro-femminismo”.

Il mainstream queer-politics è questo: l’individuo-a può tutto, anzi deve potere tutto, il corpo e il sesso con cui nasci sono solo accessori irrilevanti, il e la cis- sono solo gente che non ha ancora capito e preferibilmente deve tacere, il femminismo è di tutti, ma soprattutto dei maschi che se lo sono finalmente preso e ne hanno fatto un dispositivo a proprio uso e consumo, la riproduzione è produzione, pornografia e sex-work sono empowering. Shakerate tutto e ne uscirà una misoginia furiosa, la faccia orribile e metamorfica e invidiosa di un trans-patriarcato in punto di morte.

Riconoscetelo, sotto queste sembianze accattivanti per la loro apparenza di libertà.

Questo mainstream è maschile. E’ un congegno pensato e agito da uomini, con la collaborazione attiva di molte donne. Negare l’esistenza del corpo conviene soprattutto ai maschi.

Perfino Judith Butler, maestra della cosiddetta “performatività di genere”, si è trovata costretta -evidentemente dopo aver visto quello che aveva scatenato- ad ammettere l’esistenza di “un residuo materiale incontrovertibile”. In sostanza, il “vecchio” corpo.

Il corpo under attack da parte della queer-politics è il corpo femminile.

Per lungo tempo le lotte delle donne si sono affiancate alle lotte per i diritti di quelle che venivano chiamate “minoranze sessuali”. Molte di noi –io personalmente, tantissimo- si sono spese perché la vita di questi e fratelli e di queste sorelle fosse buona e giusta.

Questo tempo, a quanto pare, è finito. Questa alleanza si è rotta.

Molti di quei nostri amici, di quei fratelli e di quelle sorelle oggi ci si rivoltano contro, ci attaccano e attaccano la differenza sessuale. Per noi questo è doloroso, ma si deve prenderne atto e non si deve avere paura degli insulti, delle discriminazioni, delle censure e del bullismo. Dobbiamo continuare per la nostra strada.

Come dice la giovane femminista lesbica irlandese Magdalen Berns –il suo blog si chiama Stop trans-chauvinism-, messa lei stessa al bando all’università di Edimburgo, non si deve avere paura di parlare e di agire il proprio femminismo: “Puoi essere preoccupata di perdere il tuo lavoro o i tuoi amici, ma i tuoi diritti sono la cosa più importante”.

Questa queer-politics è degli uomini. Questi uomini sono solo neo-patriarchi.

In un mio libro del 2007, “La Scomparsa delle Donne”, scrivevo –una vera premonizione, a quanto pare- che “il cyborg… è più maschio che femmina. L’approdo di tanto girovagare tra corpi e identità… ciò che si stacca dal corpo diventa quasi sempre maschio… A prima vista potrebbe sembrare che queste faccende –corpi, nomadismi, cyborg- siano cose astruse, da queer rabbiosi che si vendicano costituendosi in nuova norma non meno opprimente. E invece ci siamo dentro tutti”.

Tante, troppe giovani donne oggi hanno paura di essere dileggiate ed emarginate dai loro amici maschi, e camminano nella traccia decisa da loro. Hanno paura di essere accusate di antimodernità, “sono terrorizzate” dice Julie Bindel “di essere cacciate dai loro gruppi di amici e dalle loro compagnie”.

Si deve essere più coraggiose, sorelle. Le femministe devono saper mostrare a queste ragazze quanto avranno da guadagnare in libertà, legandosi alla propria differenza.

p.s.: aggiorno con una notizia che avevo omesso. Perfino a Germaine Greer, tra le più importanti femministe al mondo, autrice di “L’Eunuco Femmina”, tocca il trattamento che descrivevo sopra. Accusata di essere omofobica e transfobica, in particolare a causa delle sue posizioni contrarie all’utero in affitto, le si impedisce di prendere la parola in convegni e nelle università.

Il bavaglio tocca anche a lei. 

aggiornamento del 29 ottobre: scopro solo oggi che sta nascendo una vera e propria pubblicistica femminista contro il queer-politics. Questo saggio, “Female Erasure: What You Need To Know About Gender Politics. War On Woman, the Female Sex and Human Rights” è uscito solo pochi giorni fa.

Nel 2007 io ho pubblicato per Mondadori il saggio intitolato “La scomparsa delle donne”. Incredibile assonanza.

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