“They can, noi no”, mi scrive una lettrice. Un primo, immediato, paradossale effetto Obama è stato quello di farci sentire dannatamente in trappola. Mi dice un’amica: “Meglio un monolocale nel Bronx che qui, con tutte le mie comodità”. E la lettrice di prima: “… ieri non riuscivo a provare gioia, a condividere l’entusiasmo e la speranza. Non sono una persona cinica, ma quella fiducia piena di aspettativa era ed è lontana da me. Lontana dalla cassa integrazione dei colleghi decisa da uomini che si sentono di sinistra, ma hanno il cuore a destra, dalla scuola di mia figlia che non so come sarà, in una nazione dove il Presidente del Consiglio riesce ad essere all’altezza del più sgradevole folklore italico, piuttosto che esprimere una progettualità nell’interesse comune. L’opposizione latita e sembra non credere più al suo ruolo mentre, anche volendo, non riesco a trovare nessuno strumento non dico per combattere, ma almeno per protestare”.

Mi fa venire in mente quel fronte politico trasversale, di destra e di sinistra, che sta per glassare la Liguria con un’unica enorme colata di cemento: alberghi, porticcioli, villette a schiera, tutti d’accordo per il business colossale -ne parleremo presto- e sembra non ci sia modo di fermarli. Anche se non rappresentano più in alcun modo l’interesse pubblico, non c’è modo di levarseli di torno, qui rubasperanza. Un “tappo” che ci soffoca, e ci impedisce di sognare. “We would have a dream”, ci piacerebbe avere un sogno. Ma non ci riusciamo.

E invece sì, che ci riusciamo. C’è ancora un po’ da tribolare, ma guai ad attardarsi nella frustrazione, che è un sentimento terribile. Prendiamo quel po’ di bene che c’è nella nostra vita -c’è sempre, da qualche parte, di sicuro- e attacchiamoci saldamente, come alla zattera che ci porterà fuori di qui. Il sogno collettivo di cui disponiamo, oggi, è il desiderio che tutti abbiamo di poter sognare. E allora pratichiamolo, da subito! Facciamolo vivere in tutti i modi, da oggi. Siamo sognanti. Spalanchiamo gli orizzonti del possibile: “We can, too”.

Sentite la mia maestra, la mia piccola amica Etty Hillesum, che sulla rete del parco pubblico di Amsterdam legge per la prima volta l’avviso “proibito agli ebrei”. Ed ecco come si sposta velocemente dalla frustrazione e dalla rabbia: “Restano sempre parecchi posti in cui vivere nella gioia!”.

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