Spieghiamolo bene perché forse non è chiaro a tutti.

Stepchild Adoption vuole dire questo: che se uno/a ha un figlio che non è anche figlio del suo/a partner, il/la partner può adottarlo. Questo in Italia è già consentito alle coppie sposate. Non possono farlo invece le coppie omosessuali, a cui non è consentito sposarsi.

Il ddl Cirinnà propone di allargare alle coppie omosessuali la Stepchild Adoption, mentre conferma che non potranno adottare un bambino che non sia già figlio di uno dei due (questo lo capisco poco, ma va be’).

E’ il punto nevralgico della proposta in discussione, su cui assistiamo a un continuo stop-and-go.

In concreto: Mario e Luigi sono una coppia che sta crescendo il figlio che Mario ha messo al mondo grazie a ovodonazione e maternità surrogata (o, che ha avuto da una precedente relazione eterosessuale, o che ha adottato con una ex-partner). Il bambino quindi ha un legame affettivo sia con il padre biologico sia con il suo partner, legame che la legge oggi non riconosce e non tutela. Se la coppia si separasse o se Mario morisse, il rapporto tra Luigi e il bambino non sarebbe tutelato in alcun modo. La Stepchild Adoption intenderebbe anzitutto tutelare il diritto del bambino alla continuità affettiva, e quindi il diritto a continuare a essere cresciuto da Luigi. Sarebbe una grande crudeltà strapparlo ai suoi affetti, e questo è evidente a tutti.

In Italia i bambini in questa situazione sarebbero almeno 100 mila: una platea cospicua.

Tra gli argomenti degli oppositori, il fatto che la Stepchild Adoption costituirebbe un passo importante in direzione della liceità dell’utero in affitto, pratica che nel nostro Paese resta vietata (mettiamo qui tra parentesi la questione dei bambini nati da donazione di seme maschile, che si declina diversamente).

Sull’utero in affitto mi sono già espressa più volte: che i committenti siano etero o omosessuali, salvo rarissime eccezioni si tratta di una pratica di sfruttamento di donne povere che conducono una gravidanza –e vendono i propri ovociti -unicamente per ragioni di bisogno economico. Soprattutto si tratta di una violazione del diritto del bambino a mantenere un legame con chi l’ha partorito, diritto che la prima generazione di nati da fecondazione assistita ha rivendicato a gran voce.

E’ vero, come sostengono gli oppositori della Stepchild Adoption, che ammetterla significherebbe “sdoganare” ovodonazione e utero in affitto, e quindi normalizzare sfruttamento delle donne e taglio del legame tra il bambino e la/le madre/i?

Probabilmente sì, trattandosi della rimozione di un ostacolo. Non è vero però il contrario: cioè che bocciare la Stepchild Adoption arginerebbe queste pratiche, il ricorso alle quali è sempre più ampio, che la legge consenta o non consenta.

Ma un fatto è certo: impedire la Stepchild Adoption danneggerebbe affettivamente, psicologicamente e non solo i bambini che stanno crescendo in queste famiglie.

Quindi, come vedete, il dilemma è reale.

 

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