Da una giovanissima collega e amica reggina, Josephine Condemi, ricevo e pubblico, per la serie “Visto da Sud”.

Clonare i Bronzi di Riace: sì o no?”  Questo era il tema che ci aveva assegnato la mia professoressa delle medie. Era il 2003. Rileggendolo, (ri)scopro che sia nel ’97 che, appunto, nel 2003, il “palazzo” aveva cercato di clonare i guerrieri all’insaputa della popolazione, in entrambi i casi avvertita da una “soffiata” a mezzo stampa a cui è seguita una mobilitazione trasversale, che ha fatto sì che le statue non venissero clonate.  La stessa mobilitazione trasversale che è avvenuta nel 2009, quando in occasione dei lavori di ristrutturazione del Museo di Reggio per i 150 anni dell’unità, si è impedito che i Bronzi partissero alla volta dell’ISCR costruendo un laboratorio di restauro aperto al pubblico proprio nello stesso palazzo  (quello regionale) che, per una volta, ha dato ascolto alle richieste dei cittadini. In quanto laboratorio, non si è fatto pagare il biglietto ai visitatori.

A dieci anni dal referendum cittadino che ha detto “no” alla clonazione (avvenuto appunto nel 2003), il 2 luglio il Comitato per la valorizzazione dei Bronzi di Riace e del Museo Archeologico ha inviato un comunicato per riaccendere l’attenzione sulle sorti dei guerrieri, ancora a Palazzo Campanella perché il museo, che avrebbe dovuto essere inaugurato a marzo 2011, non è stato riaperto (lievitazione costi, mancanza fondi). Dopo l’articolo di Sergio Rizzo sul “Corriere”, che ha riacceso la vicenda a livello nazionale, anche l’Unesco ci è arrivata: la situazione dei Bronzi è una vergogna per l’Italia.

Quello che però da queste parti continua a non andare giù è l’essere messi sotto accusa per un problema che è strutturale:  “Non ci servono alchimie e congetture. E qualunque confronto è improponibile. E’ vero che i Bronzi a Firenze e a Roma ebbero molta più fortuna. Ma Firenze e Roma continuano ad avere analoga fortuna e altrettanti visitatori e, forse di più, anche senza i Bronzi. Reggio Calabria no. Pur avendo i Bronzi. Chiediamoci il perché. Perché abbiamo rifiutato l’idea di mandarli in giro per il mondo? O ci servono un’autostrada degna di questo nome, treni veloci e a lunga percorrenza, voli frequenti e convenienti, adeguati collegamenti terrestri e marittimi locali e regionali?” Questo uno stralcio della lettera inviata al ministro Bray dal Comitato.

Un comitato che dall’essere “contro” (la clonazione, lo spostamento) è passato ad essere “pro” (le statue, il museo). Ma le due cose sono inscindibili: qui non vogliamo che i Bronzi si spostino perché temiamo non tornino più indietro, perché ci sembra troppo facile “prelevare” ciò che di buono c’è su un territorio e trapiantarlo altrove (l’emigrazione giovanile dal meridione ha ripreso i ritmi del dopoguerra) senza risolvere i problemi di quel territorio.

I Bronzi sembrano indistruttibili, ma sono fragilissimi. Perennemente a rischio cancro, devono stare ad un microclima artificiale adatto per evitare le corrosioni. Intervistando la sovrintendente e il restauratore, ho scoperto che quello che avrebbe dovuto essere un controllo di routine si è rivelato un intervento di emergenza: le teste dei guerrieri erano piene di terre di fusione… terre che, è stato dichiarato, avrebbero dovuto essere eliminate già nel restauro degli anni 90!

La bellezza è fragile, ha bisogno di cura e attenzione. L’Italia finora ne ha dimostrata solo a tratti. Troppo facile assumere l’attuale condizione dei Bronzi di Riace come simbolo di un paese atterrato, sdraiato, in attesa di giudizio e di redenzione (Riace Bronzes in a coma, insomma). Più difficile andare oltre, prendersi le proprie responsabilità, riunirsi in nome di un inter-est e cominciare a costruire come un paese unito. Insieme.

Non lasciamoci soli.

 

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •