Sulla straziante vicenda di Corigliano Calabro, Fabiana Luzzi, 15 anni, accoltellata e bruciata viva da un femminicida di 17, leggo sulla Stampa.it un resoconto esemplare.
“…. Il ragazzo, che ha indicato ai militari in luogo della tragedia, ha spiegato d’essere andato a prendere Fabiana all’uscita di scuola col suo scooter venerdì mattina poco dopo le 13.30, per chiarire l’ennesima lite legata a gelosie da adolescenti. Lei non voleva salire, ma alla fine s’è convinta di fronte alle sue insistenze. Un gesto di buon cuore che le è costato la vita. Si sarebbero poi appartati in località Chiubbica di Corigliano, cominciando a discutere. Ma presto il dialogo si sarebbe acceso, coi due che si sarebbero rinfacciati delle piccole infedeltà. Il presunto omicida ha raccontato che Fabiana lo avrebbe offeso, accendendo la sua rabbia sfogata (1). Dopo averla colpita con un coltello, sarebbe poi salito sullo scooter, ormai in stato confusionale (2), lasciandola tra l’erba alta e i rovi della campagna alla periferia della cittadina. In questo frangente un’amica di Fabiana l’avrebbe incontrato e lui, forse per crearsi un alibi (3) le avrebbe chiesto se avesse visto la quindicenne. Ma la compagna le ha risposto osservando che era andata via da scuola assieme a lui. Ormai completamente incapace di muoversi con raziocinio, il giovane, almeno così hanno ricostruito gli inquirenti, avrebbe deciso di tornare in contrada Chiubbica per chiudere definitivamente il dramma con un epilogo agghiacciante. Così, per strada, si sarebbe fermato a prendere un po’ di benzina. (4) Quando s’è trovato nuovamente di fronte a Fabiana, la ragazzina era agonizzante ma ancora viva“.
1. “Fabiana lo avrebbe offeso, accendendo la sua rabbia sfogata”. Insomma, a un certo punto lei lo ha provocato, accendendo la sua “rabbia sfogata”. Non era lei, ragazza “di buon cuore” ad essere stata provocata, costretta a un appuntamento che non avrebbe voluto. La rabbia semmai era di lui, che aveva dovuto lottare di fronte all’iniziale rifiuto della ragazza. E in quanto tale subito “sfogata”, come una scarica irresistibile e immediata. Rabbia e sfogo fanno un tutt’uno.
2. Dopo averla colpita con un coltello, sarebbe poi salito sullo scooter, ormai in stato confusionale: quindi il femminicida, dopo lo “sfogo” (una ventina di coltellate, che richiedono un certo tempo e una certa lotta), rimonta sconvolto in moto e si allontana, lasciandola ad agonizzare tra i rovi.
3. Un’amica di Fabiana l’avrebbe incontrato e lui, forse per crearsi un alibi, le avrebbe chiesto se avesse visto la quindicenne. Insomma: il femminicida è sconvolto, ma non al punto tale di non tentare immediatamente di precostituirsi un alibi, il che comporta un certo grado di lucidità, anche se la ragazza che “ama” (mi scuso per il termine) sta morendo in un prato. Incontra un’amica di Fabiana e controllando perfettamente le sue emozioni le chiede notizie di lei, elaborando all’impronta un piano e mettendolo in atto subito.
4. Ormai completamente incapace di muoversi con raziocinio, il femminicida va in cerca di benzina. Vediamo: il femminicida pensa che la ragazza sta morendo nel prato dove l’ha colpita con venti coltellate, anzi probabilmente è già morta. Dopo aver fatto finta con l’amica di non sapere dove fosse Fabiana, pensa a far sparire il suo corpo, e la cosa più logica da fare è bruciarlo. E il modo più semplice per bruciarlo è cospargerlo di benzina e dargli fuoco. Quindi è con il massimo del raziocinio che, si suppone, va a cercare una tanica, quindi si avvia dal benzinaio, la riempie, paga, rimette in moto lo scooter, torna nel campo dove immagina di trovare Fabiana morta. Peccato che lei è ancora viva, e che lotta con le poche forze che le sono rimaste per evitare la fine che fa in tempo a intuire. Ma lui ha deciso che Fabiana deve essere morta, e procede lucidamente e senza alcun moto di pietà nel mettere in atto il suo disegno orribile.
Il testo giornalistico -non firmato- che ho analizzato è esemplare perché rivela un pensiero inconscio diffuso e molto attivo: l’idea che quando una donna viene ammazzata da un uomo, una spiegazione logica deve sempre esserci (per esempio, una provocazione, a innescare la miccia del discontrollo maschile, presentato come un dato di natura, e in quanto tale immodificabile); e che quando un uomo uccide una donna, compie il suo gesto preda di un’estasi demoniaca, di una confusione malefica, il famoso “raptus”, un impossessamento diabolico che, a quanto pare, può durare anche un’oretta o due, e ammette comunque pause raziocinanti durante le quali il “rapito” può preconfezionare un abbozzo di alibi, e procurarsi tutto quello che serve per portare a termine l’impresa delittuosa, salvo tornare preda del “raptus” alla vista della vittima ancora agonizzante.
C’è insomma una volontà inconscia di giustificazione e quasi di perdono del femminicida che non si verifica in nessun altro caso di brutale omicidio. In ultima analisi, l’attribuzione alla donna di una colpa atavica: quella, forse, di imprigionare l’uomo nel desiderio, di attentare al suo ordine rammentandogli la sua dipendenza e la sua bisognosità. Il rischio di essere chiamate a pagare questa colpa è sempre molto alto.
Un altro testo esemplare lo trovate analizzato qui.
p.s. preciso che in entrambi i casi si tratta di analisi di testi, non di profili dell’assassino, per realizzare i quali non ho titoli.