Pippo Civati ieri a Roma alla presentazione di E’ Possibile

Sostiene Pippo Civati che finché è restato a soffrire nel Pd gli hanno dato, per così dire, dell’ipodotato. Ora che è sceso dal carro del cosiddetto vincitore tanti gli dicono che ha “due palle così” a essere uscito, con quell’elegante espressione che racconta il coraggio come esclusiva virile e ne colloca il ricettacolo in area genitale.

Restando in tema antropologico, o andrologico, per natura e cultura Civati incarna perfettamente la tipologia dell’anti-leader. Ama la politica e ne vuole essere protagonista ma sfugge al ruolo del capataz, proprio lo angoscia. E’ l’uomo solo al non-comando, si offre come snodo, hub, ripetitore multiporta che attiva la rete.

Nel mio ultimo libro (Un gioco da ragazze, 2011) scrivevo questo:

In rete il capo è meno capo e il potere si depotenzia. Nello spazio che lui lascia sgombro si rafforzano le relazioni, tessuto connettivo di un nuovo civismo… Non stai facendo rete se pretendi di conservare un vertice su cui startene appollaiato…

La rete è la piramide gerarchica che si affloscia e si appiattisce… Leader e gerarchie non servono più a far funzionare le organizzazioni. Semmai sono il problema delle organizzazioni… Il nuovo modello è quello della rete che pulsa, co-crea, redistribuisce e fa fluire, velocizzando i processi e moltiplicando le opportunità… In rete il potere si mostra per quello che è: un trattenimento, un abuso, un ingorgo, qualcosa di «antipatico», ovvero di non condiviso, un blocco dell’energia che fa ammalare il corpo sociale e anche i corpi individuali”.

Aggiungo che la rete c’è già, non c’è bisogno di crearla dal nulla o di ricrearla bonficando un tessuto abbandonato o marcito.

Nei caotici e visionari anni Settanta della mia adolescenza, quando tutto si è manifestato in embrione e in rivoluzioni simboliche, avevo strambi amici che facevano la maglia come forma di militanza, o che scrivevano libri con titoli tipo “L’antimaschio” (Stefano Manish Segre che ora vive a Maui, hi brother). Ricordo un altro amico, Alex Langer –stra-citato ieri, alla prima convention di Possibile, soggetto politico lanciato da Civati– il cui straordinario carisma profetico non attingeva da esuberanze inguinali o da appollaiamenti in cima a piramidi.

Per dire di Possibile, vorrebbe essere questo: una efficace messa in comunicazione e condivisione di quello che come dicevamo c’è già, ovvero la politica vivente nei contesti, le associazioni di cittadine e cittadine su questioni reali, le buone pratiche già operative, le soluzioni pensate globalmente e agite localmente, il lavoro condiviso sui beni comuni (vedi la premio Nobel Elinor Ostrom). Per arrivare a farne proposta di governo.

Qualcosa che, per una volta, non rappresenti le istanze dei bureau delle banche e della finanza più o meno tossica, come di norma i partiti chiamati oggi semplicemente ad amministrare decisioni prese altrove, ma un’idea del politico come “mediatore che ascolta la voce del suo popolo, scorge le vie praticabili e sa mediare, avanzando in vista del bene comune. E in questo mediare si logora, muore: il mediatore perde sempre; perde per far vincere il popolo(Papa Francesco, “Pastorale Sociale”). E per Alex Langer non è stata solo metafora.

Dato che in molti, non solo Francesco, ne parliamo e ne scriviamo da tanto tempo, prima o poi ci si doveva arrivare. Potrebbe essere questa la volta buona. Potrebbe essere Possibile.

Per il resto si può dire che ieri, sotto il sole cocente del solstizio a Roma e con il buon auspicio della congiunzione Luna-Venere-Giove (che splendore!) si sono viste più di duemila belle e chiare facce di donne (tantissime) e uomini competenti e di buona volontà, legati tra loro da un filo di fiducia e di felicità.

 

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