Browsing Category

esperienze

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze Ottobre 31, 2014

Il Ceo di Apple è gay: e dove sta la notizia?

Tim Cook, Ceo di Apple

Tim Cook, Ceo di Apple, decide il coming out globale e rivela di essere gay,uno dei più grandi doni che Dio mi ha fatto“. E finisce in prima pagina sui giornali di tutto il mondo.

Bene, mi sono detta: dove sta la notizia? Lui dice: “se sapere che il Ceo di Apple è gay può aiutare una persona in difficoltà ad accettarsi, o essere di conforto a chi si sente solo, o di incoraggiamento a chi rivendica la propria uguaglianza, vale la pena di rinunciare per questo alla mia privacy“.

Non sono omosessuale, forse ho meno titoli per parlare di queste cose. Ma l’operazione non mi convince affatto. Mi suona così: anche se sei gay puoi diventare perfino Ceo di Apple. Insomma, la notizia perpetua lo stupore che a quanto pare dovremmo provare se un uomo a cui piacciono gli uomini o una donna a cui piacciono le donne raggiungono gli apici della carriera, guadagnano un’ottima posizione professionale, fanno splendidi business o cose del genere, confermando l’eccezionalità di questi traguardi per un non-etero.

Ve lo vedete un maschio Ceo o ministro o altro scrivere una lettera pubblica in cui rivela: a me piacciono le donne?

Il fatto è che io conosco molte persone omosessuali in ottime posizioni. Per fare un esempio “settoriale”, ho sempre pensato che le lesbiche sono politiche particolarmente brave e audaci perché non si pongono il problema di compiacere gli uomini, e ne conosco parecchie. Sono sicura che la stragrande maggioranza dei miei concittadini e delle mie concittadine, di fronte ai luminosi successi di una persona omosessuale, non commenta: “Wow, guarda dov’è arrivato/a, nonostante sia gay“. E ormai da tempo non ho molto interesse riguardo all’orientamento sessuale di chi mi sta di fronte: se uno/a sia etero o omo non è certo fra le prime domande che mi faccio, quando lo/a incontro, ritenendola una domanda fortemente condizionata e condizionante. Non penso che il coming out sia sempre e comunque la miglior cosa da fare, per sé e per gli altri. Né penso che chi fa coming out sia necessariamente più coraggioso o più risolto di chi non lo fa.

Quindi nell’uscita di Tim Cook, senz’altro animato dalle migliori intenzioni (a meno che non si tratti di un’operazione di marketing, serie: Apple è gay friendly), paradossalmente vedo il rischio di un passo indietro sul fronte dei diritti delle persone LGBT.

Ma forse sbaglio, ditemi voi.

AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, esperienze Ottobre 9, 2014

Perché ho dato il mio seme: parla un donatore

Anna ci ha raccontato la sua esperienza di ovodonatrice. Parliamo ora con Paolo, donatore di seme.

38 anni, Paolo è avvocato e vive a Catania. Sposato con una quarantenne, è in attesa della prima figlia che nascerà a novembre.

“Concepita con fecondazione assistita omologa” racconta. “Sei cicli, tre anni di tentativi, e infine mia moglie è rimasta incinta. Al centro restava una parte del mio seme congelato. Anziché distruggerlo ho pensato di donarlo“.

Anche se distruggere del seme non è come distruggere ovociti: produrne di nuovo è semplicissimo, e non richiede alcun intervento medico…

“Capisco che possa sembrare strano. Ma chi non vive queste situazioni non può comprendere fino in fondo. C’è troppa disinformazione, c’è paura, c’è l’idea che sia qualcosa di oscuro e di magico. Il 95 per cento della gente con cui parli non sa nulla di queste faccende. Il centro ci ha comunicato la possibilità di donare il seme residuo. E io mi sono detto: perché buttarlo?“.

Quindi ha deciso di donare.

“Prima della sentenza della Consulta che ha autorizzato l’eterologa in Italia mia moglie e io avevamo pensato anche a tentare un’eterologa all’estero, con donazione di ovociti. Nel nostro caso il problema era una scarsa qualità ovocitaria…”.

Forse perché la signora non era più giovanissima.

“L’età ha la sua importanza, certo. Ma questa condizione si può verificare anche in donne più giovani. In ogni modo, come dicevo: poco prima che lei rimanesse incinta anche noi stavamo considerando di ricorrere a eterologa, o in alternativa di adottare. Quindi avremmo potuto avere necessità di una donazione: quel bisogno l’ho conosciuto da vicino. Ecco perché ho deciso di donare“.

Ne ha parlato con sua moglie?

“Sì. E non è stato difficile decidere. Per me è come una qualunque altra donazione in vita: come donare sangue, o midollo... Certo, ha agevolato il fatto che quel seme era già lì, disponibile. Se avessi dovuto produrre del seme a questo scopo, non so… Forse avrei donato, forse no. Non saprei dire”.

La impressiona l’idea di bambini nati dal suo seme?

“No, affatto. Sarebbe come sapere che qualcuno vive grazie a un tuo rene“.

Ha chiesto di sapere se il suo seme verrà utilizzato e se si avvieranno delle gravidanze?

“No. Non voglio sapere nulla. Ho donato, e fine. Sono assolutamente sereno”.

E se un giorno volessero sapere loro? I bambini nati dal suo seme, intendo.

Se l’anonimato non fosse garantito non avrei mai donato. Non voglio essere rintracciabile. La cosa potrebbe turbare la mia serenità familiare“.

Anche la serenità di quei bambini potrebbe essere turbata dal fatto di non poter conoscere le proprie origini biologiche.

Non è un obbligo dirgli come sono venuti al mondo“.

Però la gran parte delle linee guida consiglia la strada della verità.

“I figli sono di chi li cresce. Se qualcuno di questi bambini volesse sapere chi è il padre biologico, purtroppo non potrà saperlo. Tutto qui”.

Lei sarà a conoscenza dei ricorsi presentati da molti figli di eterologa che hanno rivendicato il diritto di sapere.

“Questo non ha ostacolato la mia decisione. Ribadisco: impossibile capire se non ci si è passati”.

Dal fatto di non riuscire ad avere figli, intende?

“Sì. Per noi era un grosso problema. Una pesante privazione. Certo, se non ci fossimo riusciti alla fine ce ne saremmo fatta una ragione…”.

Una domanda delicata: posso?

“Prego”.

Non c’è anche un piccolo sogno di onnipotenza, dietro la scelta di donare il proprio seme? La volontà inconscia di massimizzare le occasioni per i propri geni?

“Ma no, mi creda. Si tratta di semplicissimo altruismo. Nessuna esaltazione. Insisto: chi non sa sulla propria pelle non può capire”.

 

(grazie a Aidagg, Associazione dei donatori di gameti, per il contatto con Paolo)

 

 

bellezza, Corpo-anima, esperienze, personaggi Settembre 18, 2014

Mi ricordo Moana

Quello che vedete è un frame dell’ultimo film di Moana Pozzi, girato poche settimane prima della sua morte. La malattia si intuisce nel viso appena scavato, negli zigomi appuntiti.

Si riparla di lei in questi giorni per il ventennale della scomparsa. Ho conosciuto la ragazza, incontro non dimenticabile. Magnificamente ritoccata dal bisturi di un vero maestro che aveva perfezionato alcuni particolari (viso, seno) di una naturale bellezza, Moana era un sogno incarnato, una Venere luminosa avvolta in un visone color ciliegia. La voce soave, un po’ infantile e priva di inflessioni dialettali, il tono garbato della ragazza borghese, una certa frigida e malinconica cortesia. Che cosa non ha funzionato nella vita di questa donna? è stata la prima cosa che mi sono chiesta.

Dopo l’incontro a Roma, aveva insistito perché vedessi il suo show in un locale di Milano. “Ti lascio il biglietto. Devi venire”. Invito accolto senza entusiasmo: mettetevi nei miei panni, sprofondata nella poltroncina in mezzo a tanti uomini.

Era stata felice di vedermi quando nel gran finale del porno-spettacolino aveva fatto il suo abituale giro d’onore in platea. Nuda, tintinnante di bijoux, profumatissima di Trésor. Le mani, le bocche degli uomini su di lei, dentro di lei che mi stava parlando, sconnessa dal resto, da quelle mani, dal suo corpo, occhi sorridenti: “Ciao cara! Sono proprio contenta che ce l’hai fatta!”.

Per ragioni miseriosissime quella era la vita di Moana, l’aveva proprio voluta così, e nessuno -tanto meno io- poteva farci niente.

L’unico vero sentimento che avevo colto in quella giovane signora bene educata e self-controlled, era stato un moto di terrore -gli occhi spalancati, la bocca piegata da un’amarezza abissale- quando durante l’intervista mi aveva confessato la sua paura di invecchiare: “Non riesco nemmeno a pensarci, non ce la faccio, è spaventoso, intollerabile”.

Il problema non si è posto. Oggi Moana avrebbe 53 anni.

 

 

economics, esperienze, italia, lavoro, Politica Settembre 16, 2014

Tutti vogliono “il nero”

“Le serve fattura?”: la domanda ormai è di prammatica. Idraulici, falegnami, avvocati e bar che non ti danno scontrini. La cosa è fatta con la disinvoltura della normalità: se proprio proprio me la chiedi… Alla terza volta che vai da un parrucchiere magicamente lo scontrino sparisce. Lavoro? possiamo metterci d’accordo? “La mia commercialista” mi spiega una “mi dice che a questo punto è meglio non denunciare nulla” (si farà pagare per il consiglio? ed emetterà regolare fattura?).

“Nero” inteso non solo in senso strettamente fiscale, non solo come lavoro nero, ma come condizione esistenziale. Vivere in nero, tenersi fuori, lontani da uno Stato nemico da cui ci si può solo difendere, arraffando gli 80 euro e tutto ciò che può essere arraffato, cercando -chi può- di “stare liquidi”, piccola rivolta individualista senza rimettere in circolo nulla, senza scommettere su nulla, con la stessa lungimiranza di chi in tempo di guerra faceva la cambusa, cumulando zucchero e, potendo, caffé.

“Il Paese non è ripartito” ha ammesso qualche giorno fa il premier Renzi. I numeri Ocse della decrescita infelice confermano. Nessuna tensione, nessuna aspettativa, nessuna intenzione di ricostruire: una tartaruga che si ritira nel guscio, con un movimento regressivo.

Altro che autunno caldo. Un autunno freddo, raggelante, esangue. Il momento più difficile, mi pare, di questa lunghissima crisi. “Ogni idea di sollecitazione alla ripresa” scrive Giuseppe De Rita sul Corriere di oggi “viene accolta con indifferenza”. Un individualismo del tirare a campare, vai avanti tu che a me scappa da ridere.

Molto difficile capire che cosa potrebbe mobilitare le energie. E quale potrebbe essere l’obiettivo capace di avviare una rigenerazione collettiva.

Aggiornamento mercoledì 15 ottobre ore 19.15: più o meno intendevo dire questo:

DATI ISTAT. FARA, PRESIDENTE EURISPES: PEZZI ECONOMIA REAGISCONO A CRISI “IMMERGENDOSI”

“I dati Istat diffusi oggi fotografano una situazione di grande crisi e di profondo disagio delle famiglie italiane – lo dichiara il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – L’Italia è in stagnazione e il Pil non aumenta da ormai tre anni, ovvero dal secondo trimestre del 2011. Tuttavia, i dati, di per sé oggettivi, non rappresentano la vera realtà del Paese, fatta purtroppo anche di fenomeni che non si prestano, perché nascosti, alla contabilizzazione. Secondo l’Eurispes, infatti, pezzi sempre più consistenti dell’economia hanno reagito alla crisi e alle difficoltà “immergendosi” e alimentando quel sommerso che l’Istituto valuta in circa 540 miliardi l’anno, ovvero una cifra corrispondente al 35% del Pil. Si tratta di una “immersione da sopravvivenza” – conclude Fara – dell’apnea, di una “economia anfibia”, che potrà essere recuperata solo attraverso chiari segnali sul fronte della riduzione della pressione fiscale e di profondo cambiamento delle politiche del lavoro”.

 

cinema, Corpo-anima, esperienze Settembre 2, 2014

Venezia: Elio Germano, l’attore favoloso

Senza Elio Germano questo film non si sarebbe potuto fare”: così Mario Martone, regista di “Il giovane favoloso”, pellicola su Giacomo Leopardi applaudita ieri alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il favoloso Germano sa restituirci lo spirito universale e ribelle, la carne, l’odore, la sensualità di quel ragazzo marchigiano deforme e pieno di talenti, spazzandone via fino dalle prime scene l’immagine scolastica e addomesticata. Un bambino felice che via via si piega per non doversi spezzare, costretto da un padre amorosamente tirannico a un’esistenza claustrale che somiglia troppo poco alla vita. Squattrinato, quasi-drop out, un uomo in rivolta fino alla fine, perfino contro il suo stesso slancio rivoluzionario e utopico costantemente messo al vaglio alla luce fredda di uno scetticismo titanico, applicato a ogni esperienza.

Del film, dei suoi interpreti, della sua formidabile sceneggiatura, realizzata quasi interamente con citazioni letterali del poeta, trovate qui un ampio resoconto. Intendevo solo rendere il senso di quello che per me è stato un incontro: con Giacomo in carne e ossa, come non l’avevo mai conosciuto, e con Elio Germano che supera se stesso, nella sua passione e nel suo rigore.

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, esperienze Luglio 10, 2014

Una pazzesca voglia di ridere (onore agli idraulici milanesi)

Alla mia amica Nadia non l’ho ancora detto, ma con lei, grande eccentrica, e un altro paio di amiche intendo presto eseguire l’osceno brano milanese (I Gufi) “Se gh’an de di’” e poi piazzarlo su Youtube. O anche no, solo a uso privato, pubblico scelto di una decina di persone.

Penso a come e quanto ridevano mio padre e mia madre, adolescenti sotto le bombe (mia nonna ci è pure rimasta, l’amato cugino Benedetto disperso in mare, e via e via): hanno cominciato a ridere il 25 aprile del 45 e sono andati avanti, loro e i loro amici, per una buona ventina-venticinquina d’anni.

Qua se non ricominciamo a ridere, dopo questa guerra economica che ha fatto morti e feriti, be’, amiche e amici, non ci libereremo più, le energie non si rimetteranno mai in moto.

E non mi riferisco a quelle risate stitiche da satira politica: le televendite di Renzi, la tappaggine di Brunetta, la plastica di Santanché, roba da sorrisi amari che finisce per rialimentare la depressione. Parlo di quell’assurdo, di quel surreale, di quella divina sofisticata e stralunata stupidera di cui per esempio noi milanesi, vessati da ritmi produttivi insostenibili, siamo sempre stati maestri con il nostro cabaret (oggi divorato dalla politica). Parlo della grassa risata romanesca, dei denti stretti liguri, della follia napoletana, del puparismo palermitano.

Parlo del fou rire, di quella risata irrefrenabile che smuove i sedimenti dello spirito, purifica le sinapsi, scioglie i blocchi, risana i chakra, riattiva le energie, scaccia apotropaicamente le paure. Tutta roba che oltretutto, se proprio uno tiene al punto, infastidisce più il potere di qualunque imitazione di Gasparri -che peraltro sembra un’imitazione già di suo-.

Onore a questi valorosi idraulici che beffardamente finiti sott’acqua causa esondazione del Seveso, prima di mettersi a spalare il fango, da milanesi perfetti hanno celebrato il momento con un fantastico balletto.

Godetevelo!

esperienze Aprile 17, 2014

A metà strada tra Lampedusa e la costa libica

Buongiorno a tutt* dal bel mezzo del Mediterraneo.

Appena sbarcata da un elicottero che ha effettuato una ricognizione nell’area di mare intorno alla nave San Giorgio, più o meno a metà strada tra Lampedusa e la costa libica.

Ma prima di parlare delle operazioni di giornata, vorrei dire questo.

Facciamo tutti romanticamente il tifo per le operazioni di “pirateria” di Greenpeace contro le baleniere. Festeggiamo ogni volta che un animale viene salvato. E’ davvero strano che non si vada almeno altrettanto orgogliosi per una missione italiana che in 6 mesi esatti (Mare Nostrum è attiva dal 18 ottobre 2013) è riuscita a trarre in salvo 27 mila esseri umani, il 10 per cento donne, un altro 10 per cento minori, anche piccoli di pochi mesi.  

Il che almeno potenzialmente può significare 27 mila morti in meno, e il nostro mare Mediterraneo che resta culla di vita e di civiltà e non  si trasforma in una fossa comune.

La prima cosa, quindi, sarebbe che il governo italiano andasse al tavolo Ue a chiedere un’espressione di riconoscimento e gratitudine per questa missione straordinariamente efficiente ed efficace, tutta generosamente italiana (uomini e donne, mezzi e risorse economiche).

Detto in altri termini, possiamo rivendicare di insegnare al mondo il lavoro dell’umanità, della solidarietà, dell’accoglienza e della cura: non si tratta certo un insegnamento da poco, ed è un prodotto italiano dop.

La seconda cosa che il nostro governo dovrebbe fare è chiedere con la massima urgenza la partecipazione dell’Europa al corridoio umanitario: partecipazione che, secondo l’opinione dell’Ammiraglio Mario Culcasi, che dirige Mare Nostrum, potrebbe esprimersi in un contributo economico: “Il dispositivo” dice l’Ammiraglio “è ben bilanciato, i mezzi che abbiamo impegnati ci bastano. Il problema è garantire la continuità dell’operazione, che costa 9 milioni al mese tutti a carico della Marina Militare Italiana che ha cancellato ogni altra attività. Servono fondi per il carburante, per la manutenzione dei mezzi, e via dicendo”.

(nei prossimi giorni potrete leggere tutta l’intervista con Culcasi).

Tornando alla ricognizione in elicottero abilmente pilotato da Matteo, simpatico giovane “montanaro” di Courmayeur, oggi niente barchini o barconi in circolazione. Il tempo è ancora perturbato. Dai porti libici e anche da quelli egiziani nessuno si è avventurato in mare.

Il mare di notte fa davvero paura: se decidi di affrontare quella paura e di ammassarti su un barcone malandato per percorrere centinaia di miglia nella più totale oscurità, vuole senz’altro dire che c’è una paura ben peggiore da cui stai scappando.

Il momento del salvataggio è molto delicato: devi avvicinarti con cautela al barcone alla deriva, mandare avanti barche con il mediatore linguistico per evitare che i migranti si agitino e il natante si rovesci. La prima cosa da far capire è che i soccorritori sono italiani: la parola “Italia” la capiscono tutti ed è sinonimo di salvezza. Poi arriva la Gis, che può caricare anche 200 persone alla volta, o i gommoni.

Dicono dall’infermeria che spesso anche l’età dei migranti è difficile da capire: ragazze di 20 anni che hanno già partorito più volte e ne dimostrano il doppio, volti segnati da vite che non possiamo nemmeno immaginare.

Nelle prossime ore la nave San Giorgio si dirigerà verso il porto di Augusta per effettuare una sosta tecnica di una giornata, salvo improvvisi cambiamenti di programma. Non è detto che il maltempo non dia una breve tregua, e che i barconi non ricomincino a salpare.

 

diritti, esperienze Aprile 16, 2014

Mi permettete di chiamarla Love Boat?

La San Giorgio sarebbe tutt’altro. E’ una nave anfibia che ha una trentina d’anni e ha partecipato a missioni internazionali tra cui quelle in Somalia e in Kosovo. Il comandante Aldo Dolfini me la fa visitare con orgoglio: il ponte-volo con gli elicotteri, l’elevatore, il ponte-garage sotterraneo con i gommoni e la Gis, la chiatta con cui si recuperano i migranti alla deriva. Anche duecento per volta. Poi, una volta a bordo, un primo controllo sanitario: “Gli infettivi” dice “si vedono a vista”. L’ospedale sta lì sotto, i “reparti” divisi da tendoni di plastica. Aleggia ancora l’odore di disinfettante e di umanità stipata e stremata.

La chiamo Love Boat perché qui tutti i ragionamenti politici o ideologici sui flussi migratori, sull’opportunità o meno della Missione Mare Nostrum -che da ottobre, dopo la grande tragedia di Lampedusa, insieme ad altre unità della Marina Militare Italiana pattuglia il tratto di mare tra le coste libiche e quelle siciliane-, tutte le riflessioni sul fatto che la recente abolizione del reato di immigrazione clandestina possa avere incoraggiato la partenza dei barconi, tutto questo perde istantaneamente senso di fronte alla logica essenziale e infallibile dell’amore: ti trovi di fronte un essere umano in difficoltà, un uomo, una donna o un bambino che ha freddo, ha fame e rischia di affogare. E lo salvi. Fai tutto quello puoi per salvarlo, e stop. Ti levi i vestiti di dosso perché i suoi sono zuppi, ti togli il pane di bocca perché lui è affamato. E’ una legge antica, cosmologica. E non può essere violata.

Il comandante fa fatica a raccontare di quel bimbo eritreo che mentre veniva finalmente sbarcato ad Augusta agitava la manina per salutare tutti, con il suo giocattolo nell’altra mano. La commozione gli stringe ancora la gola. La gratitudine ti viene espressa battendo la mano sul cuore, o stringendoti forte la mano. “Non sono capace di raccontare” dice “l’espressione che gli si dipinge sul volto quando abbassiamo la rampa per sbarcarli, e la luce del sole inonda il ponte sotterraneo dove sono stipati. Si illuminano anche loro, perché capiscono che il peggio è passato. Il viaggio non è finito, ma le tappe più terribili sono alle spalle”. Alcuni, mi spiega, in viaggio da anni, sono passati da un mercante di uomini all’altro. La scorsa settimana Mare Nostrum ha portato in salvo 6769 migranti nel giro di tre giorni, gente imbarcata in Libia e in Egitto. Le buone condizioni del mare hanno favorito le partenze.

Mi affaccio da “poppetta”, dove vanno i marinai a fumarsi una sigaretta. Stiamo navigando nella zona di pattugliamento, 70 miglia a sud di Lampedusa e 90 miglia a nord delle coste libiche. Un branco di delfini affianca la nave e si esibisce nei suoi balzi festosi. Il mare è un po’ mosso, forza 2, e tira vento. Ci vorrà almeno un paio di giorni perché il tempo possa rimettersi al bello: difficile che prima di allora salpino altri barconi. Ma mai dire mai. L’equipe medica si allena nell’oscurità del ponte-garage –non so come facciano, con l’odore che c’è lì sotto… -: corsa, aerobica, addominali e stretching per tenersi in forma. Una nuova emergenza potrebbe capitare da un momento all’altro, e allora non ci sarà più giorno né notte, finché la situazione non sarà sotto controllo.

Partono in qualunque condizione: una donna è stata recuperata al nono mese di gravidanza, per fortuna tutto bene. Partono anche se non sanno nuotare: solo i siriani talvolta hanno il salvagente, tutti gli altri no. I l prezzo che pagano ai loro sfruttatori e agli scafisti, 3-5 mila euro o anche di più, non comprende questa dotazione.

AMARE GLI ALTRI, esperienze, questione maschile Marzo 14, 2014

Caso Mussolini: pietà l’è proprio morta

Per aver scritto sulla mia pagina Facebook: “Ad Alessandra Mussolini è capitata una cosa tremenda. Non si può non solidarizzare con lei” (mi riferisco evidentemente alla vicenda del marito indagato per la vicenda delle baby-prostitute dei Parioli), sono stata duramente rampognata.

La cosa più gentile che mi hanno risposto è “cazzi suoi“, e poi “è la legge del karma“, “Io non solidarizzo certo con chi ha urlato meglio fascista che frocio, con chi ha giustificato e votato un presidente del consiglio che andava a letto con una minorenne”, ” Un po’ di purgatorio (3000 anni?) se lo merita tutto”, “Che goduria ce la togliamo dagli schermi”, “Andasse a farsi ricostruire dal chirurgo plastico”, ” la Mussolini invocava la castrazione chimica per i pedofili... La applicherebbe oggi anche al marito?”, ” La mentalità di suo marito è la stessa grazie alla quale lei ha firmato un DDL che vorrebbe normalizzare la prostituzione senza dire una parola sui clienti che con la loro domanda sostengono un mercato per il quale vengono schiavizzate migliaia a migliaia di donne e bambine (milioni nel mondo)”.

E così via. Oltre all’ovvio: si deve solidarizzare con le ragazzine, non con lei (come se le due solidarietà fossero in alternativa). E al non-ovvio: praticamente neanche una parola su quel marito che ha fatto tanto male a una ragazzina di 15 anni, e anche, dall’altro lato, alla sua famiglia e ai suoi figli.

Chi mi conosce può intuire la mia vivissima antipatia politica per Alessandra Mussolini. Ma questo non mi impedisce un sentimento di umana compassione. Ti capita una cosa del genere e la tua vita deflagra. E’ un attimo, e non sai più chi sia l’uomo con cui hai condiviso la vita. Sei ridotta in poltiglia, ma devi mantenere la lucidità necessaria per parare il colpo ai figli. Non siamo nel prosaico del tradimento, che pure fa male: qui è l’apocalisse.

Mi avventuro anche a fare un pensiero sul quell’inspiegabile -per me- che è la sessualità maschile. Che un uomo possa desiderare una fanciulla forse arrivo a capirlo. Che invece quel desiderio arrivi ad agirlo, pagando le prestazioni sessuali di una quasi-bambina, sapendo di commettere, prima ancora che un reato, un gesto umanamente violentissimo nei confronti di quella creatura, rischiando oltretutto di buttare all’aria la propria vita, quella della propria famiglia e dei propri figli, oltre a quella della ragazzina… be’, questo no. Questo non lo so proprio comprendere. L’incontrollabilità di quell’impulso mi sfugge. Mai provato nulla del genere nella mia vita. E grazie al cielo.

Qui sono tutti vittime (le ragazzine, la moglie, i figli, le rispettive famiglie) di una sessualità maschile fuori controllo.

Tornando a lei (sui SN viene fatta a pezzi, le si chiede che si dimetta da parlamentare, si sghignazza, le si augurano le peggio cose): in effetti sì, quello che le è capitato si potrebbe anche leggere come una nemesi, come “legge del Karma”. Come una tragica e beffarda messa alla prova. Il che non toglie nulla alla mia umana compassione. Io la provo. E se è una nemesi, forse la provo anche di più.

Quando una persona cade, e cade così male, (in questo caso, quando cade perché gli è caduto addosso il marito a peso morto) io non festeggio, nemmeno se è un nemico. Non riesco a prendermi una soddisfazione: è troppo amara per il mio stomaco. Provo compassione per suo nonno, quando vedo le immagini del suo corpo appeso a un distributore a cento metri da casa mia. Figuriamoci per lei.

Non intendo privarmi del sentimento risanante della compassione.

 

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Febbraio 14, 2014

Quanto pesa il fattore umano

Ancora sotto shock. Stanotte ho dormito poco o niente.

Mai stata fan del governo Letta, le speranze si erano affievolite nel giro di poche settimane: un governo che passerà alla storia per la sua triste inconcludenza: 10 mesi a parlare di Imu, e poi le slot machine, il salva-Roma, Imu-Bankitalia, le cornucopie-omnibus.

Ma la giustizia sommaria, quella ghigliottina tirata su e calata nel giro di tre giorni, il semi-impeachment di Napolitano per fargli capire come stavano le cose, il premier Letta che ieri, nei corridoi della “prima” al Nazareno, veniva chiamato la “giraffa Marius”, la sua patetica resistenza, la sua liquidazione nel peggior linguaggio dei cda (“ringraziamo per il suo contributo”), altro che staffetta. E la fretta di tutti, rivelatrice della fatica che si fa a tradire… Il fattore umano, insomma, che non è cosa da poco, e rischia di pesare sul futuro governo come una macchia originaria, come un pessimo auspicio, tipo i corvi che volano quando nasce un bambino o certe immagini allegoriche delle antiche narrazioni.

Di tutto il resto si è detto tante volte: il Paese agonico, la non procrastinabilità delle riforme istituzionali ed economiche, la lontananza ormai abissale tra gli elettori e i loro rappresentanti, ma soprattutto la voto-fobia, novità molto preoccupante: le consultazioni democratiche che ormai sono diventate “una sciocchezza” (Napolitano”) o “il modo per far vincere Grillo” e per “fare il male del Paese” (sentito ieri in direzione).Che si tiri avanti senza votare fino al 2018, come annunciato da Matteo Renzi, è altamente improbabile, ma soprattutto inaccettabile.

Ma il fattore umano non è meno decisivo: potrà davvero fare bene chi è capace, machiavellicamente, di esercitare con mano tanto ferma il “male necessario”? Quante volte ancora ci toccherà vedere in azione la ghigliottina? Quali segni lascerà questa brutta giornata nei geni del Pd? Davvero non c’era altro modo –c’è sempre stato, perché stavolta no?- per rendere più efficace l’azione politica? Perché il giovane leader, di cui ieri abbiamo visto il volto feroce, non ha avuto fiducia in se stesso? Avrebbe saputo condurre una magnifica campagna elettorale, quella “vera”, avrebbe avuto tutte le possibilità per convincere e vincere e governare con la forza insostituibile del consenso.

E se di se stesso non si è fidato lui, possiamo fidarci noi?