Prima cosa da dire sulla manifestazione del 26 novembre: è sconcertante che un corteo di decine di migliaia di donne sia stato sostanzialmente ignorato dai media mainstream. La data, io credo –a una settimana dal voto – e il timore che il corteo esprimesse umori referendari potrebbe aver sconsigliato le dirette tv, che pure si mettono in piedi per molto meno. Ma ignorare un evento tanto grande equivale a una vera cancellazione simbolica delle donne e del tema della violenza maschile, cosa che nessun “Amore criminale” o altre kermesse potranno riparare.

Seguire mediaticamente la manifestazione era importante anche per permettere a tutte di capire gli issue che muovono quello che qualcuna ha definito “nuovo femminismo”, se davvero ci sono temi nuovi, oltre a quello della violenza, come le giovani donne intendono il fatto di essere femministe e così via.

Quello che mi pare di avere capito da reportage privati e da quel poco che è uscito, è che la presenza del neutro e dell’indifferenziazione sessuale, per capirci l’apporto pseudo-queer alla manifestazione–sottolineo pseudo: la vera cultura queer è una cosa seria–  è stato notevolmente inferiore al grande rumore prodotto in fase di preparazione. E che gli uomini ci sono stati, ma non così tanti. E quindi che l’opportunità del separatismo è ancora tutta da esplorare.

Native paritarie e convinte di esserlo, molte ragazze non sentono il bisogno di staccarsi dai loro amici e compagni maschi nemmeno in questa circostanza, o nei collettivi femministi delle scuole e delle università, dei centri sociali e via dicendo. La scelta separatista è molto minoritaria, è ritenuta un vecchio arnese, fobica e subissata di fischi. Tra le madri e i fratelli, le figlie scelgono i fratelli.

Poi sento parlare alla radio una responsabile della Casa delle Donne Maltrattate di Milano: dice di certe ragazze che le hanno raccontato di essere andate a sbattere nel sessismo inaspettato dei loro compagni di strada e di lotta, anche di quei maschi femministi di cui loro si fidavano. Posso immaginare di che cosa si tratta, ci siamo passate tutte: lapsus rivelatori nel linguaggio, l’irrefrenabile impulso al dirigismo paternalistico, la tendenza maschile a mettersi al centro in qualunque circostanza. O anche cose peggiori di queste.

Prima o poi almeno una parte di queste ragazze sentirà il bisogno di luoghi separati e di quel tra donne che ora non pare loro necessario. Per sperimentare quella Ginergy, come magnificamente la chiama Mary Daly, che consentirà loro di trarre forza e di radicarsi nella propria differenza femminile. Non si deve stare sempre e solo tra donne, ma è necessario esserci state per sottrarsi alla seduzione normativa dei modi maschili. Per inventare liberamente modi propri. Per ridere insieme tra donne, quel ridere che sempre secondo Daly incrina la pseudorealtà costruita dall’uomo. Per incontrare finalmente il proprio “selvaggio”, incontro che segnerà tutta l’esistenza successiva e darà forza nelle relazioni con gli uomini in qualunque ambito, come l’ha data a noi che a queste ragazze abbiamo garantito una discreta eredità, oggi sotto contrattacco.

I boss del club dei bulli sono terrorizzati dalla nostra energia femminile (ginergia)” scrive Luciana Percovich citando ancora Mary Daly “I bulli non capiscono questo selvaggio potere femminile ma hanno la capacità dei codardi di fiutare il pericolo e passare istintivamente al contrattacco. Questa astuzia codarda li incita a usare qualunque mezzo per frustrare le femmine forti”.

Una forma relativamente nuova di questa astuzia è la negazione della differenza, la proposta del neutro politico paritario, il femminismo per tutti, la lotta alla violenza per tutti. Ma questa astuzia maschile pesca nello stesso terreno in cui si radica la logica del dominio. Anche quando non si presenta come violenza brutale, e anzi si manifesta come amicizia, vicinanza, blandizie, la logica del dominio non è del tutto abbandonata, e si fa viva -come dicevano le ragazze sopra- nella forma soft di un sessimo sottile e inaspettato, negli incidenti del linguaggio, nel paternalismo dirigistico, nelle pretese narcistiche, nell’incapacità di accettare posizioni marginali o di coda, che sono vissute come un vero agguato alla struttura centripeta dell’identità maschile e provocano una vera rivolta.

A tutte le ragazze che non intendono liquidare con un’alzata di spalle la questione del separatismo politico femminile, che intendono capire che cosa è stato e soprattutto che cosa potrebbe ancora essere, consiglio vivamente la lettura meglio se collettiva di un compendio molto utile, l’antologia di Luciana Percovich “Verso il luogo delle origini – Un percorso di ricerca del sé femminile/ 1982-2014” (appena uscito per Castelvecchi).

Per avventurarsi nel viaggio decisivo con una buona guida.

 

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