La Procura di Genova ha aperto un’inchiesta sul caso di alcune ragazze ecuadoriane tra i 17 e 29 anni che hanno abortito assumendo Cytotec, un farmaco antiulcera.
Il farmaco, che provoca forti contrazioni uterine e può causare gravissime emorragie, è stato spacciato loro da due connazionali “guaritori”. Un altro filone di inchiesta riguarda alcune prostitute costrette dai protettori ad abortire con Cytotec. Le donne coinvolte potrebbero ricevere un avviso di garanzia per violazione della legge 194.
Le indagini della Procura sono scattate in seguito a segnalazione dell’ospedale di Lavagna: una giovane donna che in poco più di un anno si è presentata 14 volte al pronto soccorso con emorragie, subendo 4 aborti “spontanei” accertati. A quanto pare la ragazza ha assunto il farmaco come contraccettivo-abortivo. Insomma, “random”, in modo del tutto casuale, sia che fosse effettivamente incinta sia che non lo fosse.

Il Misoprostolo (commercializzato come Cytotec, Artrotec, Misodex, Misofenac) si acquista facilmente online, da farmacisti compiacenti, nei luoghi di spaccio. Esistono siti che spiegano le modalità d’uso. Il Ministero della Sanità stima intorno ai 40.000 casi le interruzioni clandestine, ma si tratta di stima in difetto: come dimostrano i casi genovesi, è in costante aumento il numero degli “aborti spontanei” e sono quasi 200 i procedimenti penali aperti per violazione della legge 194. Dei 150 mila aborti spontanei verificatisi nel 2011 almeno un terzo –secondo lo stesso Ministero per la Salute- è attribuibile al “fai da te”.

Paradossalmente, l’aborto chimico “fai da te” con Misoprostolo può costituire un’alternativa meno rischiosa di altre -aborto con uso di ferri e altri mezzi, con pericolo di perforazione uterina, o praticato da terzi senza le necessarie garanzie igienico-sanitarie- in quei Paesi in cui l’interruzione di gravidanza non è legale. E’ invece senz’altro un pericolosissimo passo indietro in Paesi, come l’Italia, in cui la legge garantisce -o dovrebbe garantire- l’Ivg gratuita e assistita. Ma a causa della massiccia obiezione di coscienza del personale medico e paramedico (una media del 70 per cento, con punte fino al 90 per cento in Campania e oltre l’80 per cento in Lazio, Molise, Sicilia, Veneto e Puglia, e interi ospedali che non garantiscono il servizio: obiezione di struttura), la legge 194 è larghissimamente inapplicata. Violazione che nel marzo scorso ci è costata una condanna del Consiglio d’Europa.

Chi può si rivolge al privato: per esempio,delle 3776 IVG effettuate nell’ASL di Bari nel 2011, il 70 per cento è stato praticato in case di cura convenzionate, 3.000.0000 di euro nelle casse del privato in cui l’obiezione è poco significativa. Per chi non può c’è il fai da te. In tutti i casi, impedire a una donna di accedere ad aborto sicuro non le impedisce di abortire, pone soltanto a rischio la sua salute. Non poter abortire in ospedale non fa diminuire il numero degli aborti.

L’obiezione di coscienza non salva i bambini, ma rischia di far morire le donne.

Non è più rinviabile un intervento del Ministero per la Salute, che risponda al Consiglio d’Europa e garantisca l’applicazione di questa legge dello Stato. Al Governo non è consentita obiezione di coscienza, fatte salve le legittime convinzioni personali dei suoi membri. La legge 194 c’è e va applicata.

Una possibile soluzione l’abbiamo già indicata, ed è prospettata da una sentenza del Tar Puglia (14/09/2010, n. 3477, sez. II) secondo la quale “è possibile predisporre per il futuro bandi finalizzati alla pubblicazione dei turni vacanti per i singoli Consultori ed Ospedali che prevedano una riserva di posti del 50 per cento per medici specialisti che non abbiano prestato obiezione di coscienza e al tempo stesso una riserva di posti del restante 50 per cento per medici specialisti obiettori”.
Opzione equa, ragionevole e praticabile che non violerebbe il diritto all’obiezione -garantito dalla Costituzione e dall’Europa- ma consentirebbe la piena applicazione della legge 194. E alle donne di non crepare di aborto.

 

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