Caro Ivan Scalfarotto,
qualcun* provi a darmi dell’omofobica, e l* querelo.
Ho amici e amiche gay, e pure trans, e voglio per tutte e tutti una vita più semplice e più giusta. Parto così, mettendo le mani avanti, perché vorrei porti qualche questione sul tema della legge contro l’omo e transfobia. Ed è già sintomatico che io parta così, giustificandomi a priori, perché non ho ben capito se secondo la nuova legge io sarei, almeno in linea teorica, perseguibile per quello che intendo dire, e per la storia che intendo raccontarti.
Un mio amico gay, qualche tempo fa, ha “comprato” un ovocita da una donna, l’ha fatto fecondare con il suo seme, quindi impiantare nell’utero di una seconda donna (“spezzando” quindi la madre in due: ovodonatrice e portatrice). Il tutto il un Paese che consente queste pratiche. Impianto andato a buon fine, gravidanza giunta a termine -bambino in braccio, come si dice- bambino tolto alla/e madre/i (anzi: madre/i tolta/e al bambino) e portato in Italia, dove il piccolo ha trovato i suoi surrogati materni in una serie di tate che vanno e vengono.
Caro Ivan, io avevo pregato il mio amico di non farlo, lui l’ha fatto, il nostro rapporto è andato in pezzi. Gli avevo detto: dal fatto che tu ami sessualmente gli uomini non deriva che quel bambino non debba avere una madre. Sono ancora convinta di quello che gli avevo detto. E quello che gli avevo detto, in sintesi, è questo: un uomo, di qualunque oreintamento sessuale, etero o gay, non ha il diritto di portare via un bambino alla madre, di recidere quel legame (anche se la madre è d’accordo: ma il bambino no).
Non sto parlando di genitorialità gay: sto parlando di uomini che si fanno fare bambini dalle donne e glieli portano via (non è il caso, come ti sarà chiaro, di una lesbica che mette al mondo un bambino, perché lì il legame è preservato, tra le due pratiche non c’è simmetria). Qui c’è misoginia, qui c’è odio per le donne. Qui c’è questione maschile.
Naturalmente quello che dico è opinabile, ma io ci credo fermamente, così come credo fermamente nell’esistenza di una differenza sessuale. Confortata dal fatto che perfino chi, come Judith Butler, maestra della “performatività di genere”, ha teorizzato al massimo livello il fatto che il corpo con cui si nasce conta poco o niente, e invece quello che conta è il genere a cui si sceglie di appartenere, è tornata sui suoi passi, dovendo ammettere l’esistenza “di un residuo materiale incontrovertibile“. Cioè il corpo sessuato.
Ora, la mia domanda è questa: potrò ancora sostenere questo mio pensiero -l’intangibilità del legame madre-figlio e l’esistenza della differenza sessuale- che non sta dentro nel mainstream “tutto è lecito” senza essere sospettata o addirittura incriminata per omofobia?
Lo dico perché ogni volta che una legge, con la mannaia sommaria della logica dei “diritti”, interviene “salomonicamente” a tagliare la carne viva della vita e dei suoi fondamentali, il risultato è sempre molto scadente.
Con affetto M.