Non sono una notista politica, per carità. Oltretutto il ragionamento che vorrei fare è piuttosto complicato. Io ci provo.
Politicamente andiamo sempre più a destra. Vedremo alle urne: ma il populismo berlusconiano, che in Abruzzo è andato a mille, in termini di voti dovrebbe dare buoni risultati. Ma per quanto siamo e andiamo a destra, cose di destra nella vita quotidiana mi pare di vederne poche. La maggioranza dei cittadini mostra di aderire, diciamo così, a valori “di sinistra”.
La famiglia tradizionale, per esempio, è sempre più alle strette; i matrimoni diminuiscono, le convivenze, etero e gay, aumentano; cresce il numero dei figli nati fuori dal matrimonio: nelle città settentrionali siamo a livelli nordeuropei. Il programma di emancipazione femminile è completato, le donne lavorano e guadagnano, danno grande importanza alla loro libertà; il pater familias non esiste più. Non c’è legge che riesca a sbarrare l’accesso alla fecondazione assistita: un’ora di aereo e sei in Spagna, per un utero surrogato c’è la Gran Bretagna o la California. La libertà sessuale è obbligatoria, per quanto spesso infelice; di Dio ci importa ben poco, della patria forse anche meno. In compenso nell’individuo, con tutto il suo sofisticato armamentario di diritti, investiamo moltissimo. Gli spagnoli hanno Zapatero, noi no: ma alle differenze politiche non corrispondono differenze negli stili di vita. Con un governo o con l’altro, la semina del Sessantotto continua a dare frutti, nel bene e nel male.
Che cosa ci dice questo strabismo tra vita e politica? Tanto per cominciare, conferma che la distanza tra l’una e l’altra è incolmabile. Si può votare in un modo e vivere in un altro: lo stesso capo del governo di centrodestra (anche se ogni tanto dice che lui di destra non lo è) è un uomo divorziato, e sua moglie ha raccontato il dolore di un aborto terapeutico. E poi ci dice l’insignificanza delle categorie di destra-sinistra, sulla cui usura ci si trova spesso d’accordo, salvo poi aggrapparcisi come naufraghi. Ci dice che per organizzare la polis qualcosa di radicalmente nuovo chiede di essere inventato. E che, così com’è, forse perfino l’idea di polis non ci serve più. E cos’altro ci dice, secondo voi?
(pubblicato su Io donna-Corriere della sera il 23 maggio 2009)