Della vita di Imane Fadil, giovane donna marocchina di 34 anni spirata in solitudine all’ospedale Humanitas di Rozzano dopo un mese di agonia, si sa ancora meno che della sua morte.
Se cercate qualche notizia biografica su di lei, nata a Fes il 1° gennaio 1985 e morta a sud di Milano il 1° marzo 2019, troverete solo Arcore, cene eleganti, Palazzo di Giustizia, come se non ci fosse stato nulla a prescindere da questo.
Dobbiamo lavorare di immaginazione e pensarla da ragazzina davanti alla tv via satellite che capta le immagini di un paese libero, felice e pieno di opportunità così vicino, a poche ore dalla sua casa sull’altra sponda del mare Mediterraneo.
Giovanissima quindi avrebbe lasciato casa e famiglia per arrivare qui a fare la modella per poi diventare giornalista sportiva, il desiderio era questo.
Oppure no, forse questa storia non è vera, secondo un’altra versione Imane viveva in Italia da quando aveva 4 anni: c’è stata una grande sciatteria nella raccolta di informazioni, come se quella vita contasse poco o niente.
Quello che è certo, Imane ha 25 anni quando qualcuno dei cortigiani di Silvio Berlusconi (Emilio Fede, Lele Mora o Nicole Minetti: poco importa) la invita a cena ad Arcore. Lei ha bisogno di lavorare, le cose non vanno come sperava, e accetta l’invito.
A quanto dicono ci andrà 8 volte in tutto, o forse meno, ma non otterrà niente di niente, a parte forse un gettone di 2 mila euro.
Niente lavoro, niente tv, anche perché lei non offre niente. Non partecipa ai festini, rifiuta lo scambio sesso-denaro. Ma vede tutto quello che capita in quella bella villa settecentesca che negli anni Settanta Berlusconi aveva acquistato a un prezzo davvero irrisorio, e a quanto pare con un mezzo imbroglio dagli eredi Casati. Un affarone.
Imane ricorda ragazze vestite da suore, balletti, barzellette e rituali onanistici. In particolare ricorda lo sguardo di una ragazza seminuda e quattro zampe di fronte agli uomini. I loro sguardi si sono incontrati, lei in piedi e la ragazza carponi.
Imane è ipersensibile alla verità e alla giustizia. Non sopporta di essere chiamata Olgettina, non ha fatto niente, non ha avuto niente, non vuole raccontare balle e dice quello che è stato. Rifiuta una cifra enorme, 250 mila euro, che le viene offerta per chiuderle la bocca, anche se con i soldi è messa molto male e ormai quei pochi vestiti buoni li usa solo per andare in Tribunale. Promette che quello che non le lasciano dire lo racconterà in un libro.
E’ stanca, provata, si sente abbandonata da tutti. Dimagrisce e perde i capelli a ciocche per l’ingiustizia che sente di patire.
Finché un giorno, poco dopo il suo 34esimo compleanno, dopo essere stata a cena con un uomo di cui gli inquirenti conoscerebbero le generalità, Imane comincia a sentirsi poco bene.
Dal 16 gennaio il male peggiora, ha dolori lancinanti alle gambe e all’addome. In principio non vuole andare in ospedale, dice di avere paura che lì possa capitarle qualcosa. Poi il 29 gennaio la ricoverano perché sta malissimo.
Uno dei pochi amici che le sono rimasti è un uomo anziano e gentile con un forte accento milanese conosciuto nell’abbazia di Chiaravalle. Lei andava spesso all’abbazia, abitava in una cascina non lontana da lì da dove poi sarà sfrattata. Lui aveva carezzato la sua cagnolina e avevano fatto amicizia.
L’uomo dice che Imane era una brava ragazza. Una volta le aveva prestato 100 euro perché lei era veramente nei guai, una volta sola in due anni.
Va due o tre volte a trovarla in ospedale e la vede sempre più debole e piena di lividi. Nessuno capisce cosa diavolo abbia. L’ultima volta che ci va non gliela fanno vedere. E’ in isolamento, non ha più difese, basterebbe un raffreddore a ucciderla.
Non la vedrà più, né viva né morta.
In un mese tutti gli organi di Imane collassano uno dopo l’altro. Esami e controesami, ma i medici non riescono a dare un nome al suo male e a fermarlo.
A un certo punto si parla di veleno, non si sa chi ne abbia parlato per primo, se la stessa Imane o i medici.
Si teme perfino che Imane sia radioattiva. Il suo corpo viene rinchiuso in una stanza piombata dell’obitorio. Nessuno può vederla.
L’autopsia sembra un’impresa spaziale, pompieri e medici con tute protettive come per sezionare un’aliena.
Saputo della morte di Imane, Marysthelle Polanco, una delle ragazze delle cene eleganti, avrebbe detto ai giudici: “No, il polonio!”.
Il polonio è un elemento radioattivo. Con il polonio è stato ucciso Aleksandr Livtinenko, spia russa che aveva accusato agenti dell’ex-KGB di aver costruito l’ascesa di Vladimir Putin con una strategia bombarola che nel 1999 a Mosca fece 300 vittime.
Che cosa ne sa una ragazza come Marysthelle di polonio, di servizi segreti e di tutte queste storie?
Marysthelle avrebbe anche detto che qualcuno degli “utilizzatori finali” aveva minacciato le ragazze: “Basta una punturina”.
Pur non confermando alla stampa queste dichiarazioni, Marysthelle ha detto: “Può darsi che la mia versione davanti ai giudici sarà diversa rispetto a quella del processo Ruby bis, ho deciso di dire le cose come stanno, adesso mi sento una donna con dei figli e voglio dire la verità…“.
A quanto pare la voglia di dire la verità è contagiosa. Noi donne abbiamo sempre più desiderio di dire la verità sugli uomini e sul loro potere.
Ancora non si sa come sia morta Imane Fadil. Si sa solo che il suo sangue era pieno di metalli pesanti, cadmio, antimonio, cromo e molibdeno. E che i test per un gran numero di malattie sono risultati negativi.
Gli esiti dell’autopsia, attesi per aprile, arriveranno forse a fine luglio, è stata richiesta una proroga.
C’è un giovane uomo, Giulio Regeni, sulla cui morte, come è giusto, da anni si sta chiedendo verità. Su Imane si deve volere verità allo stesso modo, che sia verità sulla sua vita tanto quanto sulla sua morte.
Attaccamento alla verità e alla giustizia hanno dato senso alla vita di Imane, ci tocca raccogliere questo senso e continuare nel lavoro di dire la verità, di dire di quante falsità e menzogne e ingiustizie abbia bisogno chi esercita il dominio.
Parlando d’altro, Luisa Muraro ha scritto di recente: “Com’è difficile dire la verità quando c’entrano le donne!”. Vale anche per Imane, che non dimentichiamo.
(di questo testo è stata data lettura il 18 maggio in apertura del convegno femminista milanese La Civiltà è nelle mani delle donne)