L’altro giorno sono stata avvicinata da “due padri” arcobaleno che con molta cordialità mi hanno invitata a cena per conoscere la loro bambina e la loro situazione.
Augurando ogni bene alla bambina, ho declinato cortesemente dicendo che mi interessano i dibattiti pubblici e non le relazioni private. E che conosco già situazioni come la loro: è proprio da questa conoscenza che -ormai molti molti anni fa- mi sono messa a studiare la questione per arrivare al mio fermo no-Gpa.
Mi ha colpito un fatto: a questi due uomini ho chiesto come mai la soluzione francese, svedese, spagnola -la trascrizione all’anagrafe del solo padre biologico e l’adozione per il partner- a loro non vada bene, e vogliano invece il riconoscimento di una bigenitorialità tout court, senza che sia dichiarato chi è il padre biologico (le trascrizioni funzionano così).
“In fondo” ho detto loro “anche Nichi Vendola ha scelto la strada dell’adozione”.
“Ma non l’ha scelta!” mi hanno risposto. “E’ che allora non si poteva fare diversamente“.
Quindi è ormai dato per certo che ormai si può “fare diversamente“, ovvero che la battaglia sulle trascrizioni è ormai vinta.
E quindi che l’utero in affitto -reato pressoché universale, vietato in tutto il mondo tranne che in 18-19 Paesi, classificato dall’Europa tra le più gravi violazioni dei diritti umani, dalla nostra Corte Costituzionale come “offesa intollerabile alla dignità della donna“, “elevato grado di disvalore” che “mina nel profondo le relazioni umane“, e così via- è di fatto accettato e legalizzato. Anche se l’imminente sentenza della Cassazione a sezioni unite potrebbe dichiarare queste trascrizioni contrarie all’ordine pubblico: sarebbe bene che le anagrafi attendessero ancora qualche giorno, prima di trascrivere.
Mi domando: possono ancora qualcosa le sentenze di fronte a questa legalizzazione di fatto, in cui valgono solo quelle che la sanciscono?
Ma contro l’ipotesi alla francese, svedese, spagnola etc, ovvero la trascrizione del solo padre biologico e l’adozione da parte del partner, i “2 padri” oppongono anche un altro ragionamento: con quel tipo di adozione (detta “in casi particolari”), poi i nonni non sono legalmente nonni, gli zii non sono legalmente zii, e via dicendo.
Quindi, ricapitoliamo: tu fai qualcosa che la legge ti proibisce di fare, pienamente consapevole di questo divieto.
Tu paghi due donne in stato di necessità perché ti vendano l’una i suoi ovociti e l’altra il grembo, parcellizzando la riproduzione come si fa con un ordinario processo produttivo.
Tu danneggi la loro salute sottoponendo entrambe a pericolose stimolazioni ovariche, con rischi a breve e -tumori-a lungo termine.
Per la ovofornitrice vi è anche il rischio connesso all’anestesia generale per il prelievo, oltre a quello di sterilità a causa degli esiti cicatriziali dei prelievi di ovociti.
Per la gestante i rischi biologici derivano anche dall’ospitare nel suo grembo embrioni a lei geneticamente del tutto estranei, rischi che vanno dall’aborto alla gestosi al parto prematuro alle emorragie all’ipertensione permanente e via dicendo. Oltre al rischio, previsto dai contratti, di dover abortire, che le piaccia o meno, nel caso attecchisca più di un embrione e i committenti non vogliano più di un figlio. A proposito di chi si riempie la bocca di “autodeterminazione”: qui si compra proprio la rinuncia all’autodeterminazione.
Per il bambino, oltre alla ferita consapevolmente prodotta distaccandolo dalla madre che lo ha appena partorito, e al dramma di dover fare i conti per tutta la vita con gli esiti di questa spericolata operazione, il rischio oncologico connesso alle tecniche di fecondazione assistita: l’ultimo studio -cinese, non di Città del Vaticano: se cliccate sulle parole ultimo studio potete leggerlo- pubblicato proprio il 13 dicembre, “mostra che i bambini concepiti con trattamenti per la fertilità corrono un rischio significativamente più alto (rispetto ai bambini concepiti naturalmente, ndr) di sviluppare cancro“, e declina il rischio per le varie tipologie di tumori.
Su un piatto della bilancia, dunque, il tuo desiderio di diventare padre senza madri tra le scatole -e già su questo ci sarebbe molto da dire-, sull’altro piatto tutta questa roba che ho detto, che per te evidentemente non conta nulla.
Una sorprendente irresponsabilità etica.
Anzi, diciamolo meglio: l‘indifferenza assoluta di fronte al fatto di fare tanto male pur di soddisfare un tuo desiderio e una tua fantasia di omofecondità.
Ma ancora non ti basta: perché pretendi anche che gli zii siano legalmente zii, e i nonni legalmente nonni, se no le feste di Natale non ti vengono bene e magari prima o poi si creano questioni ereditarie, ti tocca andare da un notaio e chissà quali altre noie.
La cancellazione di ogni problema, la rimozione di ogni ostacolo, nemmeno il più piccolo “no” che possa complicarti la vita. Benché la vita, per tutti, comporti il fatto di dover dribblare molti ostacoli, di dover fare i conti con molte indisponibilità e con molti limiti, e anzi l’esperienza del limite e dell’indisponibile sia l’esperienza umana per eccellenza.
Agli aspiranti padri surrogati rivolgo un invito: di provare a fuoruscire dal loro onnipotentismo egoistico e adolescenziale, prima di decidere di partire per la California o per il Canada.
Di pensare al danno che faranno a quelle donne e alle fatiche che si troveranno ad affrontare quei bambini, che a loro piaccia o meno.
Di diventare adulti e umani, prima di voler diventare padri.
Di meditare su quella che per me è la figura genitoriale assoluta: la madre di Re Salomone, che rinuncia a essere madre pur di salvare il figlio.
Qui ci troviamo nella fattispecie opposta: pur di potersi dire padri -finalmente omologati agli etero!- chi se ne frega degli altri, figlio compreso. Al diavolo tutto il resto!