Il capitolo 5 della legge delega sul lavoro -lo leggete integralmente in coda al post- riguarda in particolare le donne. Si parla, correttamente, di indennità di maternità universale, di misure di incentivazione del lavoro femminile -come il tax credit-, di flessibilità d’orario e di telelavoro, di conciliazione e di congedi parentali anche per i padri.

Per esempio, al punto d: “incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro”.

L’adozione di misure di flessibilità worker-friendly in realtà non costuirebbe solo un vantaggio per i lavoratori e le lavoratrici: secondo la School of Management del Politecnico di Milano, la diffusione di modelli di lavoro agile o smart Working può portare alle imprese un beneficio di ben 37 miliardi l’anno tra riduzione dei costi di gestione e aumento di produttività, oltre a 4 miliardi di riduzione per trasporti e pranzi fuori (e alla riduzione di 1.5 milioni di tonnellate di inquinanti come il CO2 ogni anno).

Ma il punto è un altro: sembra resistere, in questa impostazione, l’idea di un welfare saldamente basato sulla famiglia -leggi: donna-  intesa come il principale erogatore di servizi -lavoro di cura- destinati ai suoi membri. Famiglia (donna) a cui lo Stato offre il suo supporto.

Una cosa un po’ anni Cinquanta.

Questo modello familista-mediterraneo, diffuso in Spagna, Portogallo, Grecia e Italia, Stati che delegano moltissimo alle donne, non fa crescere occupazione femminile né natalità (le due cose, come dovremmo ormai avere imparato, vanno di pari passo). Si crea cioè una paralisi di sistema. Sarebbe interessante ragionare su quanto questi modelli di welfare contribuiscono al rischio default in quei Paesi.

Si dovrebbe passare dall’impostazione familista (il più lo fa la donna, lo Stato dà una mano) a un modello di welfare inteso come servizi alla persona, sulla base delle sue effettive necessità. Non si tratta, cioè, di “dare una mano alla mamma” -che se possibile sta a casa a occuparsi di tutti-, si tratta di considerare le necessità di un cittadino-a contribuente (che ha fatto un bambino, o è invecchiato, o non è autosufficiente) e di corrispondervi, tenendo conto del suo reddito.

Questa impostazione, che richiede un vero e proprio salto culturale, è alla base del modello di welfare francese, definito dall’Ue come l’eccellenza a cui fare riferimento. Gli effetti sono virtuosi: liberazione di energie femminili, crescita di occupazione femminile e corrispettivamente di natalità, esternalizzazione e creazione di un indotto di servizi, che con l’uscita dal nero (il nostro sistema di colf-badantato, per chiamarlo così, è per almeno la metà sommerso) comporterebbe anche un maggiore introito fiscale per lo Stato, e via dicendo.

Se si deve riformare, proviamo a farlo davvero, “cambiando verso” innanzitutto nelle nostre teste.

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Art. 5.

(Delega al Governo in materia di maternità e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro)

1. Allo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto, per i profili di rispettiva competenza, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) ricognizione delle categorie di lavoratrici beneficiarie dell’indennità di maternità, nella prospettiva di estendere, eventualmente anche in modo graduale, tale prestazione a tutte le categorie di donne lavoratrici;

b) garanzia, per le lavoratrici madri parasubordinate, del diritto alla prestazione assistenziale anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro;

c) introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile, per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito complessivo della donna lavoratrice, e armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico;

d) incentivazione di accordi collettivi volti a favorire la flessibilità dell’orario lavorativo e dell’impiego di premi di produttività, al fine di favorire la conciliazione tra l’esercizio delle responsabilità genitoriali e dell’assistenza alle persone non autosufficienti e l’attività lavorativa, anche attraverso il ricorso al telelavoro;

e) favorire l’integrazione dell’offerta di servizi per l’infanzia forniti dalle aziende nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, anche mediante la promozione dell’utilizzo ottimale di tali servizi da parte dei lavoratori e dei cittadini residenti nel territorio in cui sono attivi;

f) ricognizione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, ai fini di poterne valutare la revisione per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi, favorendo le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;

g) estensione dei principi di cui al presente comma, in quanto compatibili e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, con riferimento al riconoscimento della possibilità di fruizione dei congedi parentali in modo frazionato e alle misure organizzative finalizzate al rafforzamento degli strumenti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

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