Dopo voleva uccidersi, buttandosi in un torrente. Poi ci ha ripensato, ed è andata alla polizia, malconcia, piena di lividi, graffi e morsi a denunciare i suoi stupratori, sette ragazzi perbene, tutti più o meno della sua età, poco più di vent’anni. E perché voleva uccidersi? Semplice: per completare il lavoro dei suoi aggressori.

Si sbaglia a pensare che uno stupro sia un fatto di sesso, e tanto meno di desiderio: un maschio -sette, in questo caso- accecato dalla passione. In uno stupro non c’è desiderio né passione, ma solo violenza. Uno stupro, ha detto qualcuno, è un atto pseudosessuale, in cui si usa il sesso per dire e fare altro.

Quello che conta in uno stupro è annichilire il desiderio della vittima, fare fuori il suo essere desiderante, ridurla all’impotenza, e quindi ucciderla simbolicamente. E non è raro che alla morte simbolica- quella da cui la vittima dovrà saper resuscitare elaborando il “lutto” delle violenze subite- segua una morte reale.

Dopo voleva uccidersi, la ragazza fiorentina stuprata, e invece non l’ha fatto, grazie a Dio. La domanda che conta non è: perché voleva uccidersi? (per completare il lavoro, come abbiamo detto), ma piuttosto: perchè volevano ucciderla?

Perché sette ragazzi possono avere bisogno di uccidere una donna per sentirsi vivi e potenti? Perché non ce lo spiegano loro? Perché non ci aiutano a capire, gli uomini di buona volontà?

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