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Leggo sbigottita (ma solo fino a un certo punto: ho conosciuto personalmente, e a mie spese, la spregiudicatezza di Vittorio Feltri) che sul Giornale di ieri, rispondendo a una lettrice, il direttore scrive: «Non mi sarei occupato di Dino Boffo, giornalista prestigioso e apprezzato, se non mi fosse stata consegnata da un informatore attendibile e direi insospettabile, la fotocopia del casellario giudiziario che recava la condanna del direttore».  Insieme «c’era un secondo documento (una nota) che riassumeva le motivazioni della condanna». Feltri precisa che «la ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali». «Da quelle carte, Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali – prosegue Feltri -, tantomeno si parla di omosessuale attenzionato. Questa è la verità. Oggi Boffo sarebbe ancora al vertice di Avvenire. Inoltre Boffo ha saputo aspettare, nonostante tutto quello che è stato detto e scritto, tenendo un atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione». (i corsivi sono miei, ndr).

Mi domando se Vittorio Feltri non dovrebbe fornire prova concreta di tanta ammirazione, e in forza di queste stesse sobrietà e dignità che oggi dice di ammirare, rassegnare a sua volta le dimissioni dalla direzione del Giornale. Io lo farei. Tanti altri colleghi lo farebbero. Perciò chiedo scusa io, a Dino Boffo e a voi tutti, mi spargo la cenere sul capo, e vi prego di credermi: i giornalisti di buona volontà, intendendo con ciò appassionamente impegnati per la verità e il bene comune, sono tanti, tantissimi, e spesso silenziati, o “confinati” dove non possono fare danni. E accolgo senz’altro l’appello del cardinale Angelo Bagnasco a “un’esame di coscienza“.

Leggo anche il comunicato del comitato di redazione di Avvenire: “Vittorio Feltri lo ha ammesso ieri: la ricostruzione dei fatti sulla vicenda che ha portato alle dimissioni di Dino Boffo dalla direzione di Avvenire, “non corrisponde al contenuto degli atti processuali”. Un buon giornalista avrebbe verificato la notizia prima di pubblicarla. Le sue ammissioni rendono ancor più evidente la necessità di una seria riflessione sulla professione giornalistica, sulla responsabilità dell’informazione, a tutela del lettore e di chi, questo mestiere, cerca ancora di onorarlo con onestà intellettuale e umano rispetto”. Mentre il caro amico Marco Tarquinio, oggi direttore del giornale della Cei, sottolinea che le tardive scuse di Feltri non riparano il male che è stato fatto a Boffo e all’idea di giornalismo corretto.

Fin troppo moderati, mi pare.

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