Domenica di elezioni, una primavera angosciosamente fredda. Sul tergicristallo della mia auto trovo un bigliettino scritto in pennarello blu: “Mi hai rovinato la macchina. Abbi la cortesia di chiamarmi. Che poi oltretutto hai devastato la tua!! Complimenti!! Mirko”. Segue numero di telefono. Penso a uno scherzo, o all’acting out di un esaurito. Alle otto di sera suona il citofono. Mi affaccio alla finestra. Un ragazzotto un po’ sovrappeso e una ragazza dall’aria scarmigliata. “Sei tu la proprietaria della macchina! Ti rendi conto di quello che hai fatto?”. Lei è una furia, gli fa da coro, mi ricopre di insulti. Ci metto un po’ a realizzare. Ah sì: “Lei è quello dei bigliettini”. “Sì che sono io. Perché non hai telefonato?”. Lei continua a strillare. La domenica l’hanno passata così, un’inchiesta per scoprire chi era il fottuto proprietario della macchina assassina. “Lei vaneggia” gli dico. “Io non ho danneggiato nessuna macchina”. “Allora vado dai carabinieri” (lei: “Str.., p…”). “Ho le foto!” . Le foto?
Mi rendo conto del fatto che se fossi lì, alla loro portata, mi riempirebbero di botte. Non c’è margine per farli ragionare. Io non ho urtato nessuna macchina, ma loro hanno passato il pomeriggio a darmi la caccia, e niente gli farà cambiare idea. Chiudo la finestra. Sento gli urli dalla strada.
Potrei diventare la protagonista di un caso di cronaca: “Urta la macchina del vicino, e lui la uccide”. Infamata, oltretutto, perché io non ho urtato un bel niente. La violenza che mi ha investito mi resta dentro e non so come liberarmene. Faccio qualche respiro profondo. Tento la strada della compassione per i miei aggressori. Sono giovani, avranno fatto fatica a comprarsi quella dannata macchina. Ma io sono innocente come l’acqua.
Sembra uno di quei racconti neri di Raymond Carver. Una di quelle storie in cui il vicino ti perseguita per trent’anni solo perché un giorno, inavvertitamente, i tuoi panni hanno sgocciolato sui suoi.
Sono triste e desolata. C’è un sacco di disperazione in giro, che aspetta solo l’occasione per travasarsi. Io posso scrivere, almeno, per purificarmi. Ma loro?
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)

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