L’impressione e la disperazione alla vista di interi paesi distrutti, delle case sbriciolate, della polvere e del dolore umano, che fa somigliare quei nostri bei borghi ad Aleppo e a Sirte, sono stati ampiamente superati dallo sbigottimento per la trattazione mediatica del terremoto e per l’incredibile canea sui social.

Al netto degli psicotici che hanno parlato della catastrofe come di un episodio del complotto pluto-giudaico-massonico (giuro), dei fondamentalisti religiosi che vi hanno letto una punizione divina per le coppie di fatto, e degli estremisti vegani che la vedono come una giusta nemesi contro la pancetta dell’amatriciana, il disastro è stato l’insistenza pornografica sulla sofferenza da parte degli inviati. Incredibili domande ai parenti delle vittime (“che cosa prova?”, “e ora che ha perduto tutto cosa farà?”). Perfino la messa in onda di una conversazione con riferimenti alla minzione tra una donna intrappolata e il suo soccorritore.

Per non parlare degli sciacalli politici: gente che ha diffuso notizie e appelli alla donazione sotto giganteschi loghi di partito, che ha colto l’occasione per sparare su Renzi e sul governo o addirittura per promuovere il no al referendum. Gente che a due ore dal sisma, con i morti e i feriti sotto le macerie, ha innescato la polemica sulle new town. O che ha strillato: fuori gli immigrati dagli alberghi, mettiamoci i terremotati.

In sintesi, l’orrore. Agli sciacalli posso solo consigliare un attento esame di coscienza: se è in questo modo che intendono la politica, meglio per tutti se si dedicheranno ad altro.

Ai colleghi, invece, una preghiera: è davvero difficile raccontare una catastrofe, i sentimenti sono confusi, dalle redazioni premono per avere “storie” e particolari morbosi, uno si attacca a quello che può. Ma la notizia non sta né nel terremoto, destino geologico che purtroppo periodicamente ci tocca, né nel dolore umano, che ci tocca pure quello. Le notizie da inseguire sono altre.

Per esempio: com’è che in Giappone e in California, terre non meno sismiche della nostra, le case non crollano quasi più? Vero che in California edifici del 1200, del ‘300, del ‘500, del ‘600 non ce ne sono, ma che cosa si può fare per mettere in sicurezza il nostro patrimonio edilizio, così prezioso e così fragile, e le persone che ci abitano? Norcia ha resistito, nonostante la violenza del sisma, probabilmente perché la ricostruzione dopo l’ultimo terremoto è stata appropriata: vogliamo studiare il caso? E, per contro, vogliamo evidenziare gli anti-casi, le strade che non vanno più ripercorse?

Parliamo dei fondi destinati al dissesto idrogeologico del nostro bellissimo territorio: sono sufficienti? (domanda retorica). Bastano i 234 milioni del Fondo per le emergenze nazionali che verranno stanziati straordinariamente dal governo? Si tratta, in effetti, di straordinarietà o di un’ordinarietà a cui è necessario fare fronte con altri mezzi?

Contribuiamo con le nostre inchieste a spostare risorse pubbliche dalla inutile magniloquenza e dalla corruzione correlata alle grandi opere all’unica grande opera di cui c’è bisogno: il risanamento microfisico del territorio, la messa in sicurezza antisismica, edificio per edificio, pietra per pietra. E’ questo il nostro piano Marshall, più necessario che mai, e che darebbe lavoro a decine di migliaia di persone: gli ambientalisti lo dicono da anni e anni, è il momento di passare ai fatti. Riusciamo a garantire un po’ di unità nazionale su questi obiettivi?

Dentro il dolore c’è solo dolore. In chi guarda morbosamente, solo l’umanissima ricerca di catarsi, il sollievo che non sia toccato a lui. A che cosa serve, se non a questo? E a che cosa serve assecondare e vellicare questi sentimenti, se non a fare audience?la morte è sempre un grande show-. E’ sciacallaggio pure questo.

Diamo una mano, anche noi giornalisti, ad andare avanti. Indirizziamo lo sguardo e le telecamere su quel filo di luce che ci porta oltre il dolore e la morte, sulla speranza di rinascita, sul patrimonio di solidarietà che nel nostro Paese non manca, social o non social, sul lavoro a cui siamo tutti chiamati. Inneschiamo la fiducia, pur senza rinunciare alle critiche puntuali e anche aspre, se pertinenti.

Il nostro mestiere, al suo meglio, serve a costruire e a ricostruire.

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