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utero in affitto

Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini, Femminismo Febbraio 2, 2016

Utero in affitto: una Santa Alleanza tra il femminismo e la Chiesa?

Non nascondo che fa una certa impressione vedere nei cartelli del Family Day gli stessi slogan (es: “I figli non si pagano”) che stai usando nella tua battaglia contro l’utero in affitto, o Gpa.

Family Day a parte, stigmatizzato dalle parole del Papa (“nessuna condizione umana esclude dall’amore di Dio“), i giornali e i siti cattolici non fanno che valorizzare il femminismo abolizionista (o quasi), la seduta dell’Assemblea Nazionale Francese per l’Abolizione Universale della maternità surrogata, le lesbiche contro la Gpa che in qualche modo rompono il fronte con i fratelli gay, e via dicendo.

Una parte importante del femminismo, da Snoq al Pensiero della Differenza Sessuale, sta dalla stessa parte della Chiesa in questa battaglia di civiltà che più civiltà di così non si può: è in gioco il fondamentale umano della relazione madre-figlio/a.

Al bell’incontro della scorsa settimana alla Libreria delle Donne, una ha detto: “E’ la Chiesa che sta dalla nostra parte”. Si può anche mettere in questo modo, e io personalmente sono soddisfatta da questa impostazione. Ma tante sentono la fatica di questa Santa Alleanza, fatica che le rende dubbiose ed esitanti.

Provo a dire questo: che tante volte la Chiesa o parti importanti della Chiesa sono state e sono a tutt’oggi dalla parte delle donne, più di quanto il laicismo mainstream (ho detto laicismo, non laicità) consenta di riconoscere. Se ci limitiamo a osservare le cose da un punto di vista eurocentrico (o West-centrico) ci sfuggirà l’importanza di questa vicinanza alle donne, soprattutto in quei Paesi dove spesso la Chiesa è l’unico argine alla violenza e allo sfruttamento.

E infine: se guardassimo le cose sub specie aeternitatis e non sub specie societatis, saremmo in grado di ridimensionare i punti di conflitto tra il femminismo e la Chiesa, che certamente non mancano, per dare valore a questa vicinanza in una battaglia che ha a che vedere con il destino dell’umanità, e lo dico senza retorica.

Certo non mi accontento di chi dice: se la Chiesa sta da quella parte, allora io per forza sto dall’altra. Né di chi obietta: esistono i preti pedofili, la Chiesa non può parlare.

Di sicuro non è questo il modo di porre la questione.

Intanto a Parigi è stata lanciata la Carta per l’Abolizione universale dell’Utero in affitto.

bambini, diritti, Donne e Uomini, Femminismo, questione maschile Gennaio 21, 2016

Figli per soli uomini (etero)

Steven Harris, single etero newyorkese, con il figlio Ben, nato da utero in affitto

Martedì 26 gennaio alle 18 alla Libreria delle Donne di Milano (via Pietro Calvi) discuterò di utero in affitto o Gpa con Luisa Muraro e Daniela Danna.

In preparazione, vorrei considerare un fenomeno rimasto in ombra ma che, in particolare negli Stati Uniti, ha una consistenza crescente: uomini single eterosessuali che si fanno “produrre” un figlio tutto per sé. Quando si parla di utero in affitto di norma si pensa a coppie etero con problemi di infertilità e a singoli o coppie gay. C’è invece anche la possibilità che a comprare un ovocita e ad affittare l’utero sia un maschio etero che non ha una compagna, o che non intende condividere con una donna l’esperienza della genitorialità.

Steven Harris, avvocato newyorkese 57enne, è il genitore esclusivo di Ben, 5 anni, nato da una madre surrogata. Intervistato da Abc News, Harris ha spiegato di aver cercato una moglie per vent’anni, ma di non aver mai incontrato la donna giusta. Ciononostante voleva una famiglia. Desiderava avere dei figli ma non aveva nessuna con cui farli, e 15 anni fa è precipitato in una profonda tristezza. “Sentivo” dice “ che stavo perdendo qualcosa. Così ha deciso di diventare padre “in proprio” tramite surrogacy, usando il proprio seme e l’ovocita di una donatrice.

Storia simile quella del bostoniano Peter Gordon, che prima di ricorrere all’utero in affitto ha provato ad adottare ma, come racconta, “ho contattato 5 diverse agenzie per l’adozione, e ogni volta mi è stato detto che in quanto single la mia domanda non sarebbe stata considerata, o sarebbe finita in coda alle graduatorie”. Anche Harris ha tentato invano con l’adozione.

Stephanie Scott, direttora di Simple Surrogacy in Dallas, ha procurato la madre surrogata a Gordon: la 24enne Sara Eaton. Scott dice tra i suoi clienti aumenta la quota degli uomini etero e single: “Negli ultimi 5 anni è diventata la norma”.

Quando Harris ha annunciato la sua intenzione di ricorrere all’utero in affitto, sua madre è inorridita. “Stevie” le ha detto “Questa è la cosa peggiore che mi sia mai capitata”. Almeno finché non Harris non le ha fatto vedere il bambino, Ben, che oggi ha 5 anni. Harris lo cresce da solo, con l’aiuto di una baby sitter.

Gordon ha avuto invece 2 gemelli. Ha pagato “spese mediche” alla madre surrogata per un ammontare di 85-90 mila dollari.

Entrambi i padri sono consapevoli del fatto che dovranno dare una spiegazione ai figli riguardo alla loro situazione familiare. Harris dice che Ben ha già cominciato a fargli domande su sua madre. “Io gli spiego: ci sono vari tipi di famiglie: con 2 padri, con 2 madri, con una madre e un padre, e anche con solo il padre. Per ora la spiegazione gli basta”: Ma sia Gordon sia Harris sperano ardentemente di trovare una moglie. Gordon dice di volere ardentemente una di quelle famiglie che passeggiano nel parco, lui con un bambino per ogni mano e la moglie che spinge il passeggino. “Chi non lo vorrebbe? Per me sarebbe l’ideale”. Ma per una moglie c’è tempo. Olivia e Noah, i due gemelli, hanno solo 6 mesi, e il papà single non potrebbe essere più felice. “Ho finalmente quello che desideravo da molti anni. E’ un vero miracolo”.

Il fenomeno degli etero padri single, vera partenogenesi maschile, ha quanto meno un merito: quello di sgomberare il campo dalla questione dell’orientamento sessuale degli uomini che ricorrono a madri surrogate. E sgonfia la possibile accusa di omofobia nei riguardi di quel femminismo che lotta contro l’utero in affitto.

In questione non è l’essere gay o etero. In questione è l’essere uomini che fanno scomparire la madre. E quale legame ha questa scomparsa con le radici del patriarcato.

 

bambini, Corpo-anima, diritti Dicembre 23, 2015

Tutti pazzi per i diritti: anche quello a non nascere se non si è perfetti

Tra i diritti mostruosamente proliferanti, includete anche questo: il diritto a non nascere se non sano. La Cassazione lo ha dichiarato inesistente, ma non è detto che la cosa sia definitiva, e il tentativo tocca un punto sensibilissimo.

La vicenda: una donna di Lucca mette al mondo una bambina down. La trisomia non era stata diagnosticata nel corso degli esami prenatali. La donna sostiene che se avesse saputo dell’anomalia cromosomica avrebbe interrotto la gravidanza. Chiede perciò un doppio risarcimento alla Asl: per il suo proprio danno, e per il danno alla nascitura, che in quanto malata avrebbe avuto il “diritto” a non nascere. La Cassazione respinge questa seconda istanza, non riconoscendo un “diritto alla non-vita”. In particolare per il fatto che di questo supposto diritto “si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta (quasi un corollario estremo del cosiddetto diritto alla felicità)”.

La vicenda è straziante, e non è semplice parlarne. Ma mi impressiona molto non solo per il suo suono eugenetico, ma come esempio estremo del dirittismo mainstream. Attribuiamo diritti a tutti e a tutto. Spesso dimenticando che a ogni diritto corrisponde un dovere. Quando si dice per esempio, a difesa dell’utero in affitto, che esiste un diritto a diventare genitori, di default si attribuisce alle donne il dovere di confezionare bambini. Quando affermo che un individuo ha il diritto a non nascere se non sano, dico anche che qualcuno avrà il dovere di impedire quella nascita.

Uno dei più fantasiosi ed estremi diritti di cui ho sentito parlare –da Chiara Lalli, una di cui si apprezzano dichiarazioni tipo: la figura genitoriale non può essere ridotta alla madre” – è quello che vado a spiegarvi.

Negando l’accesso all’utero in affitto, si correrebbe il rischio di negare al potenziale nascituro il diritto a nascere, quindi gli si impedirebbe di esistere, danneggiandolo. Qui il diritto viene attribuito non a una persona, ma a un individuo potenziale, che ancora non esiste. Detto in altri termini, se si negasse la maternità surrogata si negherebbe a quell’ipotesi di individuo il diritto a passare dalla potenza all’atto, dall’idea di esistenza all’esistenza effettiva, perché se non nascesse così non nascerebbe del tutto. 

Spiace dovervi augurare buon Natale nel bel mezzo di questa guerriglia di individui l’un contro l’altro armati (di diritti).

Penso a quel bambinello portatore di Luce.

 

 

 

bambini, diritti, Donne e Uomini Dicembre 8, 2015

9 domande e 9 risposte sull’utero in affitto

Girano un bel po’ di stupidaggini sulla questione utero in affitto, che pur con ritardo è clamorosamente esplosa anche nel nostro Paese (qui, come saprete, ce ne occupiamo da anni).

Sarebbe tutto molto semplice: come Eduardo fa dire a Filumena Marturano, “i figli non si pagano”. Ma in questi tempi di dirittismo esasperato, le cose tendono a complicarsi.

Proviamo quindi a tornare in tema, affrontando le questioni che ricorrono con maggiore frequenza.

1. Tutti abbiamo diritto alla “genitorialità”

E’ un diritto inesistente, privo di fondamento, figlio di una cultura dirittistica e adolescenziale che non distingue tra desideri e, appunto, diritti, e fonda un diritto per ogni desiderio. Sarebbe come affermare il diritto ad avere un marito o una moglie: il mio diritto, semmai, è che nessuno mi impedisca di legarmi liberamente a qualcuno/a, ma non posso certo pretendere che mi venga garantito un legame affettivo. Così per i figli: ho diritto a metterli al mondo, se intendo farlo –e conseguentemente ho il dovere di occuparmene responsabilmente, una volta che l’ho fatto-, ho diritto a che nessuno mi impedisca di diventare madre o padre minacciando per esempio di licenziarmi, come avviene correntemente alle giovani precarie (diritto per il quale si battono in pochi). Ho diritto a cure mediche ragionevoli, se la mia salute riproduttiva le richiede. Ma non posso chiedere che lo Stato mi garantisca di essere padre o madre a ogni costo e in qualunque condizione, fino a consentire un vero e proprio mercato dei figli. L’unica titolare di diritti è la creatura: diritti a cui le convenzioni internazionali riconoscono assoluta superiorità, e che nei discorsi sull’utero in affitto e più in generale sulla fecondazione assistita vengono invece tenuti spesso come terzi e ultimi.

2. Del mio corpo faccio quello che voglio

Per la nostra legge il corpo è indisponibile: non posso, cioè, farne sempre quello che mi pare, né tanto meno oggetto di mercato. L’unica eccezione è un uso solidale. Posso cioè donare sangue, midollo, o anche un rene a un consanguineo, ma non posso metterli in vendita o comprarli. Nessuno di noi ha perciò diritto di mettere in vendita parti del proprio corpo. E’ una limitazione alla propria libertà? Sì, lo è.

 3. E’ come per le donazioni d’organo

Sì e no. Anche nel caso dell’utero in affitto la legge ammette, ad alcune precise condizioni, la pratica solidale: i nostri tribunali hanno già ammesso casi di “utero solidale” dopo aver vagliato attentamente le situazioni, aver accertato l’esistenza di una relazione affettiva tra la donatrice e i riceventi, e aver escluso ogni passaggio di denaro. Ma l’analogia si ferma qui: perché se la donazione d’organo è un fatto tra due, il donatore e il ricevente, nel caso dell’utero c’è un terzo, il nascituro, le cui ragioni vanno tenute per prime.

 4. Non si può impedire a una donna di offrire il proprio utero

Se una donna si offre di condurre una gestazione per altri in cambio di denaro –quindi per ragioni di bisogno economico suo o, peggio, di terzi sfruttatori che decidono per lei- è necessario opporsi con ogni mezzo a questa pratica. Se l’offerta è solidale, è necessario verificare a fondo l’effettiva necessità a cui la sua offerta corrisponde, e la gratuità e autenticità di questa solidarietà, che comporta l’esistenza di una relazione e il suo mantenimento nel tempo con i “committenti” e con il nascituro. Questo limita la libertà della donna? Sì, la limita. Il limite consiste precisamente nel fatto che la sua decisione darà vita a un terzo, che va tenuto per primo, e va in ogni modo tutelato. Inoltre la “portatrice” deve essere libera di revocare in ogni momento il suo consenso, anche dopo la nascita del bambino, per tenere la creatura presso di sé.

5. Se c’è libertà di prostituirsi, ci dev’essere libertà di offrire l’utero

I piani sono molto diversi, e per la ragione che dicevamo sopra: perché qui non si tratta di un agreement tra due (è vero, troppo spesso anche nella prostituzione non c’è affatto libertà, ma qui non approfondiamo il tema) ma di un accordo finalizzato alla messa al mondo di un terzo, il bambino, che al momento dell’accordo non ha voce in capitolo, e che non può essere pensato come prodotto, ma è a tutti gli effetti il protagonista muto della vicenda.

6. Molte donne si offrono gratis

Si tratta di un numero infinitesimo e non significativo di casi. Anche in quei Paesi, come il Canada, in cui alle donne viene riconosciuta un’indennità comprensiva del rimborso delle spese mediche sostenute, si tratta in realtà di una transazione economica -in Canada si adotta la medesima prassi per rimborsare chi si offre per la sperimentazione di un farmaco-. Si tratta in realtà di un compenso a tutti gli effetti, destinato a donne che nella quasi totalità dei casi si offrono per necessità economiche.

 7. La portatrice non ha legami biologici con il bambino

La “semplice” portatrice non ha legami genetici con il bambino, ma ha importanti legami epigenetici, che influenzano il fenotipo (ovvero la morfologia, lo sviluppo, le proprietà biochimiche e fisiologiche comprensive del comportamento etc.) senza modificare il genotipo.  In parole semplici, durante la gestazione tra lei e il feto avvengono scambi biochimici decisivi per lo sviluppo del bambino, scambi che continuano nella fase perinatale e che fanno di quel bambino quello che sarà. La madre portatrice non è un semplice incubatore, come nella visione aristotelica fondativa del patriarcato, che postula la naturale inferiorità del genere femminile: nella riproduzione, secondo Aristotele, il maschio è attivo, è il vero genitore che dà forma alla materia inerte femminile, la donna è invece “passiva” in quanto  “è quella che genera in se stessa e dalla quale si forma il generato che stava nel genitore” (il maschio). Chi pensa alle portatrici come semplici contenitori che alla fine della gestazione consegnano docilmente il prodotto ai committenti, si allinea alla violenza di questo pensiero patriarcale.

8. Chi si oppone all’utero in affitto è omofobo

Non è affatto così, visto che la pratica riguarda nella stragrande maggioranza dei casi coppie o singoli eterosessuali. Inoltre il più del femminismo mobilitato contro l’utero in affitto sostiene attivamente i diritti delle coppie omosessuali, ed è a favore dell’adozione anche per loro (me compresa). E’ pur vero che se solo una minoranza di chi ricorre all’utero in affitto è omosessuale, la quasi totalità dei maschi omosessuali che progettano un figlio geneticamente proprio deve ricorrere a una donna, che “concede” il proprio utero in solidarietà o molto più frequentemente a pagamento, cedendo la creatura e interrompendo ogni relazione con lei. Si commette inoltre un grave errore quando sul fronte della genitorialità, secondo una logica paritaria fuoriviante, si fa un tutt’uno tra gay e lesbiche, invocando “uguali diritti”. Una lesbica è una donna sulla cui scelta di diventare madre non può esserci parola pubblica: è lei che  decide, che sia sola o abbia una compagna, esattamente come una donna eterosessuale –con l’unica differenza di non concepire, di norma, via rapporto sessuale-. Nel caso di un maschio, invece, che sia gay o un eterosessuale deciso a concepire fuori da una relazione con una donna, la parola pubblica è decisiva, perché il suo desiderio necessita di almeno tre livelli di mediazione: dev’esserci un mercato dove acquistare ovociti e “affittare” uteri (o molto più di rado averli in dono); dev’esserci una medicina che ti assista, dal momento del prelievo (doloroso) degli ovociti, all’impianto dell’embrione, alla gestazione; dev’esserci un quadro normativo che ti permetta di condurre in porto l’operazione. Non vi è, quindi, alcuna “uguaglianza di diritti” su questo fronte fra gay e lesbiche, perché la differenza sessuale esiste a prescindere dall’orientamento sessuale. Questo è triste e doloroso per i gay che vogliono un figlio geneticamente proprio? Immagino di sì, ma non ci si può fare molto. Esiste pur sempre l’opzione di fare quel figlio con una donna che lo desideri, e che sarebbe sua madre (senza costringerla a scomparire).

9. La stepchild adoption non c’entra con l’utero in affitto

Purtroppo c’entra, e qui si apre un notevole dilemma. La stepchild adoption (ovvero l’adozione del figlio del proprio partner) è molto importante per tutti quei bambini che vivono nelle cosiddette famiglie arcobaleno, perché si tratterebbe del riconoscimento dell’affettività che lega questi bambini al partner del genitore biologico, garantendo la continuità di relazione. E’ vero anche, tuttavia, che poter adottare i figli del partner costituirebbe una remora in meno alla scelta di concepire un bambino con utero in affitto. Si tratta, quindi, di bilanciare l’interesse dei già nati, per i quali si aspira giustamente alla continuità affettiva, con quello di ulteriore nascituri, moltiplicando il numero di quelli che subirebbero la violenza di essere tolti alla madre. Trovare un equilibrio è difficile. Una strada –forse- potrebbe essere quella di un riconoscimento “tombale” per i bambini già nati, subordinando la concessione di stepchild adoption per i nascituri alla presenza di una madre.

Un’osservazione, per finire: quando si evidenziano i limiti “naturali” (ovvero fondati nella biologia dei corpi) che impediscono a molti desideri di tradursi automaticamente in diritti, molte e molti reagiscono con stizza, come bambini a cui sia negato di avere tutto ciò che vogliono e che di “no” (o magari di doveri che bilancino i diritti) non vogliono sentir parlare. Ma spesso si tratta di desideri indotti da un mercato che non si dà limiti di profitto, il cui obiettivo non è certo farci crescere in umanità, e che di consumatori-bambini ha sempre più bisogno.

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Aggiornamento 18 dicembre: seguendo il dibattito, a tratti furente ma certamente interessante, evidenzierei due temi che ne sono usciti e che mi sembrano decisivi: 

1) affermare un diritto significa ipotizzare un corrispettivo dovere: se, quindi, si pone un diritto alla genitorialità, chi è titolare del dovere corrispondente? se ho diritto ad avere un figlio, chi ha il dovere di darmelo? una donna, al momento non c’è alternativa. quindi toccherebbe alle donne farsi carico di questo dovere. e perché mai?

2) si glissa sul tema della gratuità della Gpa. probabilmente sarebbe più facile trovare una composizione se si ammettesse che l’utero non può essere affittato, ma deve essere effettivamente donato. e il dono, per definizione, non ammette alcuno scambio di denaro. perché non si conviene sulla gratuità? perché si sa benissimo che nessuna donna (salvo rarissime eccezioni solidali) si presterebbe a una Gpa, se non in cambio di denaro. quindi è meglio glissare.

 

 

 

 

 

 

 

bambini, Corpo-anima, Donne e Uomini, salute Novembre 24, 2015

Professor Veronesi: davvero lei pensa che affittare l’utero possa essere una buona occasione per una donna?

In un passaggio del suo ultimo libro autobiografico, “Confessioni di un anticonformista”, scritto a due mani con Annalisa Chirico per Marsilio, il professor Umberto Veronesi parla di utero in affitto:

In questo blog trovate molti dibattutissimi post che considerano la questione in tutta la sua complessità.

Qui mi fermo a questo: possibile che a un uomo che ha dedicato alle donne la gran parte della sua importante vita professionale, che le conosce così bene, che ha visto da vicino la loro sofferenza -ricordo, per esempio, quando in una nostra conversazione stigmatizzò duramente la vigliaccheria dei mariti che fuggivano di fronte a una diagnosi di cancro per la compagna-, sia scappata una dichiarazione del genere?

Una donna povera che offre il proprio utero a pagamento “su base consensuale” è con ogni evidenza un ossimoro.

Come si può parlare di consenso in presenza di una disparità tanto grande tra i contraenti -una donna povera e una donna, un uomo o una coppia ricchi-? Di che genere di libertà si tratterebbe? Prevengo l’obiezione: qualunque contratto di lavoro si basa su questa disparità. Ma si può in questo caso, come nel caso della prostituzione, parlare di ordinario “lavoro”? (qui, anzi, si va molto oltre la prostituzione, perché c’è un “terzo”, il bambino oggetto di mercato, che come più volte abbiamo detto dovrebbe essere tenuto come primo).

Quanto poi alla “montagna di soldi” generata dal business della “gestazione per altri” (come nel lessico “corretto” che dietro l’eufemismo nasconde la sostanza della faccenda), si dovrebbe sapere che in molti casi alla donna ne arriva una minima parte, quando non niente del tutto. Nei paesi terzi le donne vengono messe sul mercato dai mariti, dai fratelli o da altri papponi, come si farebbe con una bestia fattrice. Un sacco di soldi li prendono le cliniche e i legali. C’è poi l’indotto turistico: viaggi organizzati, alberghi, ristoranti.

Ammesso che alla donna resti in tasca qualche soldo, Veronesi immagina che possano essere destinati ad “aiutare i figli a pagarsi gli studi”, in una logica di abnegazione assoluta.

Davvero il professore pensa questo? O le sue parole sono state male interpretate? O si è lasciato anche lui, l’anticonformista, sedurre dal conformismo del mainstream, volendo dimostrarsi “moderno”?

Come può essere che un uomo capace di considerare perfino la sofferenza animale, al punto di scegliere il vegetarianesimo, non veda il dolore che si può generare facendo mercato di una relazione tanto intima, matrice dell’umano?

Aggiornamento domenica 29 novembre: qui un’interessante puntata di Terra! dedicata in gran parte alla questione. Parlo anch’io, a partire dal minuto 46

bambini, Corpo-anima, Donne e Uomini, questione maschile, salute Novembre 2, 2015

Agacinski, Muraro e altre: il femminismo contro l’utero in affitto, nuova prostituzione

La filosofa femminista francese Sylviane Agacinski

Per l’Abolizione universale dell’utero in affitto: il Parlamento francese dedicherà la giornata del prossimo 2 febbraio a un convegno contro la maternità surrogata promosso da Sylviane Agacinski, voce storica del femminismo francese, fondatrice del Collegio internazionale di filosofia con Jacques Derrida, docente all’Ecole des hautes études en sciences sociales,  impegnata da anni nella lotta contro la maternità surrogata con la sua associazione Corp (Collettivo per il rispetto della persona) e autrice del saggio “Corps en miettes” («Corpi sbriciolati», Flammarion).

Con il coraggio del libero pensiero, Agacinski non si fatta fermare dalla paura di essere giudicata omofobica e antiprogressista, impegnandosi una battaglia contro l’orribile sfruttamento delle donne povere del mondo e il mercato della maternità. Una buona notizia per me e per quelle poche che nel femminismo italiano si sono impegnate su questo fronte.

In una lunga intervista ad Avvenire, Sylviane smonta l’ideologia del “diritto a un figlio” e chiede all’Europa di continuare a vietare questa pratica.   

 “Non abbiamo a che fare con gesti individuali motivati dall’altruismo, ma con un mercato procreativo globalizzato nel quale i ventri sono affittati. È stupefacente, e contrario ai diritti della persona e al rispetto del suo corpo, il fatto che si osi trattare una donna come un mezzo di produzione di bambini. Per di più, l’uso delle donne come madri surrogate poggia su relazioni economiche sempre diseguali: i clienti, che appartengono alle classi sociali più agiate e ai Paesi più ricchi, comprano i servizi delle popolazioni più povere su un mercato neo-colonialista. Inoltre, ordinare un bambino e saldarne il prezzo alla nascita significa trattarlo come un prodotto fabbricato e non come una persona umana. Ma si tratta giuridicamente di una persona e non di una cosa (…) Fare della maternità un servizio remunerato è una maniera di comprare il corpo di donne disoccupate che presenta molte analogie con la prostituzione (…)

La Francia e la maggioranza dei Paesi europei si confrontano con lo sviluppo del turismo procreativo e la domanda d’iscrizione allo stato civile dei bambini nati da madri surrogate in California, in Russia, eccetera. La Corte europea dei diritti dell’uomo tenta di forzare la Francia a trascrivere lo stato civile accertato all’estero in nome di un presunto interesse del bambino. Ma se gli Stati europei cedessero su questo punto incoraggerebbero cinicamente i propri cittadini a viaggiare per far uso di donne all’estero. Legittimerebbero la pratica, e in tal modo la loro legislazione nazionale non resisterebbe a lungo. Sì, occorre punire. Innanzitutto i professionisti che creano il mercato: avvocati, medici, agenti e intermediari. Poi, i clienti (…)

Certe femministe, di fatto molto minoritarie, difendono una presunta libertà delle donne di vendersi. In realtà, ciò equivale a sostenere la libertà di comprare le donne. Per quanto ci riguarda, vogliamo che la legge protegga tutte le donne dicendo che la loro carne non è una mercanzia(…)

Penso che accettino un mercato crudelissimo, spinte dal bisogno, oppure dal marito, come avviene in India. Devono così sacrificare la loro intimità e la loro libertà. Non dimentichiamo che la vita personale di una madre surrogata è strettamente regolata e controllata: la sua vita sessuale, il suo regime dietetico, le sue attività… Durante nove mesi, vivono al servizio di altri, giorno e notte. Queste donne sono vittime di sistemi che non hanno contribuito a creare. Se il mercato della procreazione non fosse costruito da tutti quelli che vi traggono un lucro enorme, ovvero le cliniche, i medici, gli avvocati e le agenzie di reclutamento, a nessuna donna verrebbe mai in mente di guadagnarsi da vivere facendo bambini”.

Un doppio sfruttamento, quindi: da parte dei clienti, committenti e intermediari, e da parte dei mariti o parenti che lucrano sul corpo delle “loro” donne tanto quanto i papponi, gestendole come animali da riproduzione. Come la prostituzione, o forse peggio, perché qui è coinvolto il terzo, la creatura (che in verità è il PRIMO).

“Ma se sulla prostituzione, che è un fenomeno molto antico, è difficile andare oltre a un contenimento se non con pratiche violente e repressive, siamo ancora in tempo per fermare la pratica dell’utero in affitto” dice Luisa Muraro, filosofa e fondatrice della Libreria delle donne di Milano, convinta che nonostante la sovra-rappresentazione mediatica di un pensiero “progressista” mainstream che celebra il diritto ai figli e il mercato della maternità, la maggioranza delle cittadine e dei cittadini europei resti contraria alle pratiche di mercificazione del corpo. “Nella maternità surrogata non passa alcuna libertà femminile. Queste pratiche sono solo fonte di sofferenza per le donne”.

Sembra che resti quasi solo la Chiesa a vedere questa sofferenza: si può pensare di aprire un dialogo tra la Chiesa e il femminismo?

Non si deve avere paura di stare dalla parte dell’etica cristiana, che mette la dignità delle persone umane davanti a tutto, e oppone l’amore, la sororità e la fraternità alle regole del mercato. La Chiesa oggi è quella che più di tutti si sta ponendo contro la logica capitalistica e mercantile”.

www.stopsurrogacynow.com

P.S.: prevengo l’obiezione. La questione a mio parere non riguarda affatto il cosiddetto “utero solidale” (tra sorelle, tra madre e figlia, o anche tra amiche, come è già avvenuto legalmente in Italia), dove tutto avviene nella relazione amorosa -accertata e non improvvisata allo scopo, e senza scambio di denaro- che tiene insieme madre genetica, portatrice e creatura, come un tempo madre, creatura e balia da latte.

Qui una successiva intervista di Avvenire a Luisa Muraro.

 

Aggiornamento 5 novembre: intanto l‘India pone limiti alla pratica dell’utero in affitto, e tutto il giro del business milionario si rivolta. Leggete qui.

Aggiornamento 6 novembre: segnalo un APPUNTAMENTO su questi temi alle amiche romane e non solo

Il Gruppo del Mercoledì invita Domenica 22 novembre, dalle 10 alle 17 Casa internazionale delle donne, via Francesco di Sales 7, Sala Simonetta Tosi Curare la differenza Tra gender, generazione, relazioni sessuali e famiglie Arcobaleno

L’attualità ci propone un dibattito angusto e ideologico sulla legge per le unioni civili, da decenni in attesa di approvazione in Parlamento.Lo spazio pubblico sembra racchiuso nella polarizzazione semplicistica tra la negazione di ogni possibile cambiamento per ancorarsi a stereotipi rassicuranti e l’utilizzo disinvolto delle bio-tecnologie e del mercato per trovare risposte a desideri anch’essi rassicuranti. L’incontro che proponiamo vuole recuperare lo spazio per una riflessione sulle scelte di vita e di relazione a partire dalla pratica della cura. Diversamente da altre occasioni non abbiamo scritto un nostro testo. Abbiamo preferito formulare delle domande. D. Questo incontro significa che il femminismo va a rimorchio della legge sulle unioni civili? R. Partiamo dall’attualità ma senza seguirla passo passo. Andiamo incontro al reale e alle questioni che, pur non essendo contenute nella legge, la legge sta sollevando. Sul matrimonio e sul legame d’amore; sul modo di intendere questo legame da parte di uomini e di donne; sul desiderio di maternità e di paternità; sul corpo e il rischio della sua sparizione.Vogliamo nominare i desideri, le passioni, le paure che si presentano intorno a questi temi. D. Come vi collocate rispetto alla questione del gender che ha prodotto schieramenti e divisioni anche violenti?R. Intanto a noi interessa discutere in un campo amicale. Con il nostro metodo, che è quello della politica delle donne: partire da sé e dare valore alle relazioni. Così il nostro gruppo si tiene insieme nonostante non la pensiamo allo stesso modo. Quanto al gender, la sua oscillazione con la parola “genere” è sintomo – ci sembra – della confusione e della scarsa cura nel nominare le cose. Eppure, è interesse delle donne e degli uomini non far sparire la differenza dei sessi.D. Non pensate che i diritti e dunque la legge siano lo strumento adeguato a sciogliere molti nodi che riguardano la discriminazione, l’umiliazione di chi fa scelte non in linea con l’eterosessualità?R. I diritti sono indispensabili ma non sciolgono tutti gli interrogativi. Addirittura, quando sono visti come risolutivi, rischiano di rendere seconde le relazioni e di schiacciare il fatto, incontrovertibile, che sia il pensarsi in coppia, sia il volere un bambino, rimandano sempre a vicende d’amore. D. Che significa curare la differenza?R. Significa avere attenzione alle relazioni. Una concezione individualistica che insiste sull’autocostruzione solitaria e solipsistica del soggetto umano non ci convince. Nessuno è del tutto autonomo. D. Non vi sembra che il punto della madre surrogata sia tirato fuori artificiosamente dal momento che la legge non lo cita?R. Ma è diventato un campo di battaglia. Certo, la madre surrogata è il punto più delicato, dal punto di vista femminista, nella costruzione di nuove famiglie. Come rispettare la libertà e l’autonomia di ciascuna donna? Come permettere la realizzazione di desideri senza mettere in gioco la libertà dell’altra? Non c’è il rischio di farne una mera questione di mercato? C’è differenza tra il desiderio di maternità e il desiderio di paternità, senza donne? Perché questo desiderio non sceglie l’adozione? Non riconoscendo nessuna differenza fra desiderio di maternità e desiderio di paternità, ritenendo che l’accesso alla genitorialità biologica sia un diritto universale e neutro, non ricadiamo nella conservazione dell’universo simbolico patriarcale? Vogliamo incontrarci su queste domande, per fare, se è possibile, qualche passo avanti.

 

 

 

bambini, diritti Ottobre 19, 2015

Il dilemma della Stepchild Adoption

Spieghiamolo bene perché forse non è chiaro a tutti.

Stepchild Adoption vuole dire questo: che se uno/a ha un figlio che non è anche figlio del suo/a partner, il/la partner può adottarlo. Questo in Italia è già consentito alle coppie sposate. Non possono farlo invece le coppie omosessuali, a cui non è consentito sposarsi.

Il ddl Cirinnà propone di allargare alle coppie omosessuali la Stepchild Adoption, mentre conferma che non potranno adottare un bambino che non sia già figlio di uno dei due (questo lo capisco poco, ma va be’).

E’ il punto nevralgico della proposta in discussione, su cui assistiamo a un continuo stop-and-go.

In concreto: Mario e Luigi sono una coppia che sta crescendo il figlio che Mario ha messo al mondo grazie a ovodonazione e maternità surrogata (o, che ha avuto da una precedente relazione eterosessuale, o che ha adottato con una ex-partner). Il bambino quindi ha un legame affettivo sia con il padre biologico sia con il suo partner, legame che la legge oggi non riconosce e non tutela. Se la coppia si separasse o se Mario morisse, il rapporto tra Luigi e il bambino non sarebbe tutelato in alcun modo. La Stepchild Adoption intenderebbe anzitutto tutelare il diritto del bambino alla continuità affettiva, e quindi il diritto a continuare a essere cresciuto da Luigi. Sarebbe una grande crudeltà strapparlo ai suoi affetti, e questo è evidente a tutti.

In Italia i bambini in questa situazione sarebbero almeno 100 mila: una platea cospicua.

Tra gli argomenti degli oppositori, il fatto che la Stepchild Adoption costituirebbe un passo importante in direzione della liceità dell’utero in affitto, pratica che nel nostro Paese resta vietata (mettiamo qui tra parentesi la questione dei bambini nati da donazione di seme maschile, che si declina diversamente).

Sull’utero in affitto mi sono già espressa più volte: che i committenti siano etero o omosessuali, salvo rarissime eccezioni si tratta di una pratica di sfruttamento di donne povere che conducono una gravidanza –e vendono i propri ovociti -unicamente per ragioni di bisogno economico. Soprattutto si tratta di una violazione del diritto del bambino a mantenere un legame con chi l’ha partorito, diritto che la prima generazione di nati da fecondazione assistita ha rivendicato a gran voce.

E’ vero, come sostengono gli oppositori della Stepchild Adoption, che ammetterla significherebbe “sdoganare” ovodonazione e utero in affitto, e quindi normalizzare sfruttamento delle donne e taglio del legame tra il bambino e la/le madre/i?

Probabilmente sì, trattandosi della rimozione di un ostacolo. Non è vero però il contrario: cioè che bocciare la Stepchild Adoption arginerebbe queste pratiche, il ricorso alle quali è sempre più ampio, che la legge consenta o non consenta.

Ma un fatto è certo: impedire la Stepchild Adoption danneggerebbe affettivamente, psicologicamente e non solo i bambini che stanno crescendo in queste famiglie.

Quindi, come vedete, il dilemma è reale.

 

bambini, Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Luglio 21, 2015

Una coppia gay, la loro bambina e la madre surrogata che non la vuole lasciare

Gordon, Manuel e la piccola Carmen

Gordon e Manuel sono una coppia gay. Hanno un bimbo di 23 mesi, Alvaro, nato con ovodonazione e maternità surrogata in India. E una piccola appena nata, Carmen, partorita da una donna thailandese. Carmen è biologicamente figlia di Gordon e di una donatrice sconosciuta. La donna che l’ha partorita non ha alcun legame  genetico con la bambina. Ma ora questa donna rifiuta di firmare le carte che permetterebbero alla famiglia di lasciare il Paese, e la coppia è bloccata a Bangkok, in una località sconosciuta, insieme ai due bambini. Il terrore è che le autorità thailandesi portino via loro la piccola.

La madre surrogata ha cambiato idea sul permesso di espatrio per la bambina quando ha scoperto che sarebbe stata figlia di due uomini. Ha detto che non lo sapeva, e che è molto preoccupata per lei.

Da febbraio in Thailandia la maternità surrogata non è più consentita in seguito ad alcuni casi drammatici (un businessman giapponese che si era procurato in questo modo 16 figli e un bambino down rifiutato dalla coppia che l’aveva “commissionato”). Non è chiaro, quindi, quale potrebbe essere l’esito della vicenda di Carmen: le autorità potrebbero acconsentire all’espatrio della bambina, decidere di affidarla alla madre surrogata o dichiararla adottabile.

Toccare i fondamentali della vita comporta spesso dilemmi irresolubili, se non con decisioni umanamente arbitrarie.

Carmen è figlia biologica di Gordon, ma la madre portatrice, a sorpresa, rivendica di voler prendere parte alle decisioni che la riguardano, manifestando l’instaurarsi di un legame con lei nel corso della gestazione. Con ogni probabilità è stata pagata per il suo “lavoro”, ma non le basta. Per la bambina che ha partorito “pretende” un padre e una madre. Ma in effetti, al netto delle sue legittime convinzioni etiche, non avrebbe alcun diritto di separare la bambina dal padre biologico.

Intanto c’è una bimba che sta vivendo le sue prime settimane in un clima drammatico, e un bimbo di 23 mesi insieme a lei.

A chiunque tocchi la parte di Salomone in questa piccola grande tragedia, si aggrappi a questa certezza: i bambini, prima di tutto. Tutti i diritti sono loro. I grandi che a vario titolo li hanno chiamati al mondo -con i loro gameti o con il proprio utero- se ne dovranno fare una ragione.

 

 

bambini, diritti, Donne e Uomini Giugno 29, 2015

I gay, le donne e l’utero in affitto

Travolta da piccola bufera di inizio estate. Qualcuno che mi accusa di essere contro i matrimoni gay e contro le adozioni gay, e quindi omofoba. Il fatto è che io sono a favore dei matrimoni gay e pure delle adozioni gay, più precisamente sono a favore della non-discriminazione in base all’orientamento sessuale. Quindi mi domando da dove nasca questa colossale cretinata.

So bene da dove nasce: da una mia posizione di grande cautela in tema di fecondazione assistita, e in particolare sulle pratiche di donazione –o acquisto- di gameti e sull’utero in affitto. La mia posizione non discrimina affatto fra etero e gay. Vero che quella dei gay è almeno in teoria la platea più interessata all’utero in affitto, quindi la mia posizione di cautela sembra voler interferire con quello che è ritenuto un proprio diritto (anche se il diritto a un figlio non esiste per nessuno, né etero, né gay). Ma il genere e l’orientamento sessuale di chi compra ovociti e affitta uteri per me è del tutto indifferente.

I principi a cui mi radico sono due: il superiore diritto del bambino e della bambina, che sta saldamente in cima alle priorità; e il diritto delle donne a non essere sfruttate per ragioni economiche.

Quanto ai bambini, norme e statuti nazionali e internazionali riconoscono loro il diritto a conoscere il più possibile delle proprie origini. Non sempre, nel caso degli adottandi, questo è realizzabile. Ma nel caso dei nati da provetta certamente sì. La battaglia della prima generazione dei figli della provetta è riuscita a spostare il più dei paesi dall’anonimato a non anonimato del donatore, in modo che i figli possano accedere, se lo vogliono, a informazioni sui loro genitori biologici. Il che naturalmente ha ridotto il numero di donatori e donatrici. In Italia, per esempio, sono pochissimi, e l’affitto di utero non è consentito se non in rari casi autorizzati da sentenze sull’ “utero solidale”, ovvero quando vi sia un comprovato legame affettivo tra chi chiede e chi offre. Ma come si sa non è difficile trovare altrove gameti da comprare e uteri da affittare.

Nel caso dei donatori, basta l’emissione di un po’ di seme, pratica a rischio zero. Nel caso delle donatrici la cosa è decisamente più complessa: stimolazioni ormonali, prelievo di ovociti in anestesia o in sedazione con qualche rischio per la salute. Quindi creazione degli embrioni, impianto in utero –normalmente di un’altra donna-, rischi connessi alla gestazione e al parto, rischi psicologici legati all’esperienza e al distacco dalla creatura (che anch’essa patisce il distacco). Come si vede, la cosa è innegabilmente più complicata. Qui si fonda la naturale asimmetria tra una donna che intenda procreare “da sola” o in un progetto con la propria compagna, e un uomo che intenda procreare da solo o in un progetto con il proprio compagno. La differenza sessuale vale per tutti, etero e gay. Il corpo esiste. Perfino Judith Butler, caposcuola delle contestatissime “gender theory”, poco tempo dopo ha ammesso l’esistenza incontrovertibile di un fondamento materiale, arrivando a dire cose tipo “il corpo è mio e non è mio”. Ma qui non l’ha ascoltata più nessuno.

Quanto alle donatrici e alle madri surrogate: solo in un numero decisamente minore di casi si tratta di una libera scelta. Scelta difficilmente comprensibile per il più delle donne, ma possibile. Nella grande maggioranza dei casi, invece, si tratta di mettere a disposizione parti del proprio corpo –e della propria psiche- per ragioni di bisogno economico. Da questa “cessione” può certamente derivare molta felicità al “richiedente”, ma se  le donne in questione, spesso cittadine di Paesi poveri, potessero evitare l’esperienza, non è azzardato ipotizzare che la eviterebbero volentieri. Dobbiamo restare indifferenti di fronte a questo sfruttamento?

Essere consapevoli di queste criticità non equivale a essere pro-life, integralisti cattolici o militanti del Family Day . Voler considerare in primis i diritti dei minori, e insieme la condizione di queste donne, rese minori dalla povertà e dal bisogno, non può essere letto come omofobia. La filosofa Sylviane Agacinski è super-laica, e così l’eurodeputato dei Verdi José Bové, il saggista anticristiano Michel Onfray, e tutte le militanti femministe europee, americane, australiane, indiane, africane che in Francia hanno sottoscritto un duro appello contro l’utero in affitto  recentemente pubblicato dal quotidiano Libération, che non è certo Avvenire.

Segue furioso dibattito. Cerchiamo di darci tutti una calmata, e proviamo a ragionare in una logica di riduzione del danno per il maggior numero. A cominciare dai più piccoli e indifesi: principio non negoziabile. E sempre diffidando di conformismi, neoconformismi e pensieri unici.

Il corpo esiste. Ed esistono anche la testa e il cuore.

p.s: sarebbe bello poter fuoruscire dalla logica dei diritti contrapposti, l’un contro l’altro armato.

 

 

 

bambini, Corpo-anima, diritti, TEMPI MODERNI Marzo 30, 2015

The Body affitta un body per avere un figlio a 51 anni

La ex-stra-top Elle Macpherson (The Body), 51 anni, vorrebbe un terzo figlio. Per via naturale, com’è ovvio, non ce la farebbe mai, perciò avrebbe deciso per una madre surrogata. The Body affitterebbe un altro body in cui fare impiantare i suoi ovuli (congelati anni fa) fecondati con il seme del terzo  marito Jeffrey Soffer, anche lui già ampiamente padre insieme ad altre donne.

Di figli, volendo, ce ne sarebbero già abbastanza. Ma Elle e Jeffrey ne vorrebbero uno tutto loro, e avrebbero già individuato l’utero, quello di una donna di trent’anni. Non so come escano certe notizie: forse è un modo per avere i riflettori, o forse il close-insider è la candidata-utero che vuole arrotondare e ha spifferato tutto alla rivista Woman’s Day, che ha diffuso la notizia.

Per i paladini e le paladine delle “libertà” femminili –sempre pronte-i  a difendere in il diritto di ciascuna di vendere o affittare il proprio corpo, con particolare riferimento agli annessi sessuali: perché i diritti sono inviolabili, mentre vagina, utero etc sono violabilissimi– dico che se The Body maiuscolo e the body minuscolo trovano un accordo, e se la legge lo consente (in Italia no), si potrebbe anche dire che sono affari loro.E dico anche che mi piacerebbe vederli sostenere, con uguale accanimento, il diritto di avere figli entro la scadenza biologica, contro tutto e contro tutti (le aziende che non ti assumono o ti licenziano, le banche che non ti danno il mutuo casa, etc.).

Quanto a me penso che una coppia di cinquantenni già plurigenitori, in buona salute e pieni di soldi dovrebbero ringraziare Dio ogni giorno, fare del bene per condividere la propria buona sorte, e magari baloccarsi con il pensiero di un bambino tutto loro, e poi guardarsi negli occhi e dirsi: “Ma no, lasciamo stare…” e aspettare e sperare nei bambini dei propri figli.

E a quella ragazza così bisognosa, al punto di affrontare gravidanze per conto terzi, offrire il proprio aiuto senza pretendere niente in cambio.

Non metterebbero al mondo un bambino, ma ho la sensazione che darebbero alla luce qualcosa di più grande: un’umanità più adulta, capace di accettare il limite.