Browsing Tag

raptus

cronaca, Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Agosto 25, 2014

Quei bravi ragazzi che ammazzano donne

“Un ragazzo d’oro”, “un ragazzo dolce e uno zio premuroso”, “una persona eccezionale”. Che un bel pomeriggio di domenica, in una villa dell’Eur, Roma, aggredisce e decapita una donna (colf) ucraina: di lei, carne da lavoro, carne da macello, viene riferito a malapena il nome, Oksana Martseniuk, oltre al fatto che era “bella, bionda, occhi chiari”, il che ne fa una vittima predestinata. Di lui, Federico Leonelli, un omone di due metri, si spiega anche che era depresso perché gli era morta la compagna. E vai ovunque con il “raptus”, parola totalmente priva di senso che dovrebbe essere abolita dal lessico giornalistico: perché insegna alla gente che chiunque di noi, preferibilmente maschio, può essere “rapito” (questo il significato letterale) da un demone che improvvisamente si impossessa della nostra volontà e ci fa agire diabolicamente.

Il “raptus” è l’altra faccia del “bravo ragazzo“: buona parte degli 8 assassini di donne e di bambini delle ultimissime settimane sono stati definiti “bravi ragazzi”, “padri amorosi”, “persone perbene”. Mostruosamente, gran parte dei media dà pubblicità a questo modello, preciso come un algoritmo, del brav’uomo che di colpo, un pomeriggio d’estate, squarta una donna o affonda una lama nel corpicino di una bimbetta di un anno e mezzo. Con il coro dei vicini e il giornalista corifeo di turno che come in una tragedia greca cantano il “bravo ragazzo” e le sue gesta, come se la vittima in fondo fosse lui. Cercando le sue ragioni e laddove possibile, solidarizzando con lui (“era depresso”, “lei voleva lasciarlo”). E dimenticano le vittime vere, non dicendo quasi nulla di loro se non che erano agnelli perfetti, teneri e biondi, carne indistinta per il sacrificio. E questo nonostante le donne che si occupano da decenni di violenza si siano sgolate a dire che i segni premonitori ci sono sempre, che un femminicidio non nasce mai dal nulla, ma è preceduto da una lunga teoria di violenza, sorda o tenuta muta.

Così anche nel caso di Federico Leonelli salta fuori che il bravo ragazzo era piuttosto fumantino, che aveva una certa ossessione per le armi da taglio, e a quanto pare aveva menato sorella e madre (ma la sorella non dice una parola).

Insomma, un pomeriggio di domenica, in una bella villa all’Eur, un bravo ragazzo ci prova con la “colf ucraina bionda e bella”. La quale inaspettatamente -il rifiuto da parte di una donna, specie se desiderabile, continua a essere un fattore imprevisto, a meno che la donna non intenda essere canonizzata- gli dice di no. Scatenando la furia di lui, furia dell’essere rifiutati che ognuna di noi ha conosciuto, almeno una volta nella vita, benché in forma non fatale visto che siamo qui a raccontarcelo. Dunque, lui le salta addosso e la ammazza. Poi -io il film lo vedo così- il bravo ragazzo comincia freddamente a pensare come liberarsi del fagotto di carne. Più comodo farlo a pezzi. Allora si infila una tuta mimetica e una maschera, perché l’operazione squartamento è piuttosto sporchevole. Impugna una mannaia e comincia dalla testa, come si fa con un pollo. Purtroppo la polizia interrompe il lavoro, chiamata dai vicini di casa allarmati dalle urla della donna. Lui tenta disperatamente la fuga, brandendo la mannaia. Gli uomini delle forze dell’ordine sparano -qui la dinamica andrà chiarita- e l’assassino viene ucciso.

Ecco, per esempio: ma se i direttori dei giornali e delle testate televisive e radiofoniche, che sono quasi tutti uomini, provassero a cambiare prospettiva? Se per esempio partissero da sé, senza delegare alle donne di sbrogliare la matassa, e proprio da quell’esperienza del rifiuto che ognuno di loro avrà sperimentato, e dai sentimenti che hanno provato? Se ci scrivessero un editoriale di proprio pugno, o lo commissionassero al più brillante dei propri opinionisti? Se assumessero fino in fondo la questione maschile?

Perché il no di una donna -o il sì di quella donna a qualcos’altro, anche solo un sì a se stessa e al proprio desiderio-, salvo eccezioni è la costante dei femminicidi. Quei bravi ragazzi, quei goodfellas che picchiano e violentano e perseguitano e uccidono le mogli, le compagne, i figli e le prede occasionali, stanno quasi sempre reagendo a un’esclusione che vivono come intollerabile. Se per una volta cambiassimo algoritmo, se provassimo a scandagliare qui, in questo passaggio comunissimo e delicatissimo –l’esperienza maschile del no femminile-, se cercassimo di capire come in queste circostanze si produce, nei soggetti più deboli, una vera e propria frana psichica, ecco: non faremmo davvero un passo avanti? Non contribuiremmo a salvare la vita di tante donne, vittime designate, prima di essere costretti a parlare di loro in cronaca?

Aggiornamento 27 agosto: intanto l’autopsia di Oksana ha accertato che la decapitazione è avvenuta dopo la morte. Quindi prima è stata brutalmente uccisa a coltellate, quindi è iniziato lo smembramento del suo corpo.

 

Donne e Uomini, femminicidio, media, questione maschile Maggio 28, 2013

Fabiana: la “rabbia sfogata” del povero assassino

Sulla straziante vicenda di Corigliano Calabro, Fabiana Luzzi, 15 anni, accoltellata e bruciata viva da un femminicida di 17, leggo sulla Stampa.it un resoconto esemplare.

“…. Il ragazzo, che ha indicato ai militari in luogo della tragedia, ha spiegato d’essere andato a prendere Fabiana all’uscita di scuola col suo scooter venerdì mattina poco dopo le 13.30, per chiarire l’ennesima lite legata a gelosie da adolescenti. Lei non voleva salire, ma alla fine s’è convinta di fronte alle sue insistenze. Un gesto di buon cuore che le è costato la vita. Si sarebbero poi appartati in località Chiubbica di Corigliano, cominciando a discutere. Ma presto il dialogo si sarebbe acceso, coi due che si sarebbero rinfacciati delle piccole infedeltà. Il presunto omicida ha raccontato che Fabiana lo avrebbe offeso, accendendo la sua rabbia sfogata (1).   Dopo averla colpita con un coltello, sarebbe poi salito sullo scooter, ormai in stato confusionale (2),   lasciandola tra l’erba alta e i rovi della campagna alla periferia della cittadina. In questo frangente un’amica di Fabiana l’avrebbe incontrato e lui, forse per crearsi un alibi (3)   le avrebbe chiesto se avesse visto la quindicenne. Ma la compagna le ha risposto osservando che era andata via da scuola assieme a lui. Ormai completamente incapace di muoversi con raziocinio, il giovane, almeno così hanno ricostruito gli inquirenti, avrebbe deciso di tornare in contrada Chiubbica per chiudere definitivamente il dramma con un epilogo agghiacciante. Così, per strada, si sarebbe fermato a prendere un po’ di benzina. (4)   Quando s’è trovato nuovamente di fronte a Fabiana, la ragazzina era agonizzante ma ancora viva“.

1. “Fabiana lo avrebbe offeso, accendendo la sua rabbia sfogata”. Insomma, a un certo punto lei lo ha provocato, accendendo la sua “rabbia sfogata”. Non era lei, ragazza “di buon cuore” ad essere stata provocata, costretta a un appuntamento che non avrebbe voluto. La rabbia semmai era di lui, che aveva dovuto lottare di fronte all’iniziale rifiuto della ragazza. E in quanto tale subito “sfogata”, come una scarica irresistibile e immediata. Rabbia e sfogo fanno un tutt’uno.

2. Dopo averla colpita con un coltello, sarebbe poi salito sullo scooter, ormai in stato confusionale: quindi il femminicida, dopo lo “sfogo” (una ventina di coltellate, che richiedono un certo tempo e una certa lotta), rimonta sconvolto in moto e si allontana, lasciandola ad agonizzare tra i rovi.

3. Un’amica di Fabiana l’avrebbe incontrato e lui, forse per crearsi un alibi, le avrebbe chiesto se avesse visto la quindicenne. Insomma: il femminicida è sconvolto, ma non al punto tale di non tentare immediatamente di precostituirsi un alibi, il che comporta un certo grado di lucidità, anche se la ragazza che “ama” (mi scuso per il termine) sta morendo in un prato. Incontra un’amica di Fabiana e controllando perfettamente le sue emozioni le chiede notizie di lei, elaborando all’impronta un piano e mettendolo in atto subito.

4. Ormai completamente incapace di muoversi con raziocinio, il femminicida va in cerca di benzina. Vediamo: il femminicida pensa che la ragazza sta morendo nel prato dove l’ha colpita con venti coltellate, anzi probabilmente è già morta. Dopo aver fatto finta con l’amica di non sapere dove fosse Fabiana, pensa a far sparire il suo corpo, e la cosa più logica da fare è bruciarlo. E il modo più semplice per bruciarlo è cospargerlo di benzina e dargli fuoco. Quindi è con il massimo del raziocinio che, si suppone, va a cercare una tanica, quindi si avvia dal benzinaio, la riempie, paga, rimette in moto lo scooter, torna nel campo dove immagina di trovare Fabiana morta. Peccato che lei è ancora viva, e che lotta con le poche forze che le sono rimaste per evitare la fine che fa in tempo a intuire. Ma lui ha deciso che Fabiana deve essere morta, e procede lucidamente e senza alcun moto di pietà nel mettere in atto il suo disegno orribile.

Il testo giornalistico -non firmato- che ho analizzato è esemplare perché rivela un pensiero inconscio diffuso e molto attivo: l’idea che quando una donna viene ammazzata da un uomo, una spiegazione logica deve sempre esserci (per esempio, una provocazione, a innescare la miccia del discontrollo maschile, presentato come un dato di natura, e in quanto tale immodificabile); e che quando un uomo uccide una donna, compie il suo gesto preda di un’estasi demoniaca, di una confusione malefica, il famoso “raptus”, un impossessamento diabolico che, a quanto pare, può durare anche un’oretta o due, e ammette comunque pause raziocinanti durante le quali il “rapito” può preconfezionare un abbozzo di alibi, e procurarsi tutto quello che serve per portare a termine l’impresa delittuosa, salvo tornare preda del “raptus” alla vista della vittima ancora agonizzante.

C’è insomma una volontà inconscia di giustificazione e quasi di perdono del femminicida che non si verifica in nessun altro caso di brutale omicidio. In ultima analisi, l’attribuzione alla donna di una colpa atavica: quella, forse, di imprigionare l’uomo nel desiderio, di attentare al suo ordine rammentandogli la sua dipendenza e la sua bisognosità. Il rischio di essere chiamate a pagare questa colpa è sempre molto alto.

Un altro testo esemplare lo trovate analizzato qui.

p.s. preciso che in entrambi i casi si tratta di analisi di testi, non di profili dell’assassino, per realizzare i quali non ho titoli.