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Donne e Uomini, Femminismo, Politica, questione maschile Maggio 29, 2015

Quote “rosa”: ci siamo sbagliate. Serve altro per cambiare la politica. Il sasso lanciato da Flavia Perina

(vignetta di Gianfalco)

 

Ha picchiato duro la mia amica Flavia Perina, giornalista (ha diretto “Il Secolo d’Italia” e condiretto AdnKronos) ed ex-deputata.

Con un aspro fondo su Il Fatto Quotidiano (Scusate, sulle quote rosa ci siamo sbagliati), si è definitivamente congedata dalla politica delle quote, all’apparenza molto successful: mai tante donne nel governo nazionale e nelle giunte locali, un 40 per cento medio di candidature femminili nelle liste per  le imminenti amministrative. Insieme a tante altre, me compresa -ci ho scritto pure un libro- Flavia ha creduto in quest’azione positiva, ha lottato per quella “massa critica” di donne che avrebbe dovuto finalmente cambiare la politica.

Nel suo fondo ride amaro su quella candidata “che ai gazebo regala pacchi di pasta da mezzo chilo con la sua fotografia sopra“. Su Adelina Putin (Fratelli d’Italia, Veneto) “che fa i volantini con su scritto: finalmente puoi votare Putin“. Sull’ex-centrodestra oggi candidata in Puglia con Michele Emiliano che “strizza l’occhio agli elettori da un manifesto che dice: Alla Regione provaci con una donna“. E sulla veneta che “va oltre con un temerario: In Regione, donne senza gonne“. C’è anche la candidata-nazione: “la mitica salumiera Adelina Cerrone, candidata al Comune di Eboli insieme con un sindaco di destra ma anche alla Regione Campania in una lista che sostiene la sinistra (e assolutamente convinta che sia normale)“.

E conclude: viene spontaneo fare il mea culpa per aver sostenuto le quote rosa con infiniti bla bla bla sulle pari opportunità e la promozione delle donne in politica come fattore di rinnovamento. Perché se lo standard è questo -pacchi di pasta e sissignore al leader- le signore sembrano in grado di competere perfettamente alla pari con i signori, senza bisogno di aiutini speciali, e pure con la marcia in più del potersi sfilare la gonna: una cosa che da noi funziona sempre“.

La questione si propone anche ai piani alti” dice Perina. “In Veneto e in Liguria, per esempio: ci sono due candidate presidenti che se la giocano al top. E poi nel suo videospot “dobbiamo guidare il Veneto” Ale Moretti si accomoda diligentemente in auto dalla parte del passeggero, e la guida la lascia a Matteo Renzi. Chi sta guidando, allora? Una cosa inimmaginabile nel caso di Ada Colau, la nuova sindaca di Barcellona, e per quella di Madrid. O per Merkel, per la leader scozzese Nicola Sturgeon, per Marine Le Pen… Ho lottato molto per le quote: i risultati sono questi? Dov’è la discontinuità con le prassi correnti?”

Ma anche nei Paesi che tu menzioni sono state applicate azioni positive: forse Colau non ci sarebbe senza la forzatura del 50/50 di Zapatero. Quasi ovunque è stato necessario passare dalle quote. Certo, con risultati meno deprimenti.

L’Italia negli ultimi vent’anni ha fatto tali passi indietro che perfino uno strumento a favore delle donne diventa un boomerang, si traduce in “provaci con una donna”. Una specie di eterogenesi dei fini. E poi è chiaro che finché le donne le sceglieranno gli uomini le cose andranno così. Non candidano certo Sturgeon, non vogliono tra i piedi donne assertive, indipendenti e che possano fare loro ombra“.

Rompicoglioni.

“Esatto. Rompicoglioni che cambino il linguaggio, i codici, le agende della politica”.

Sono d’accordo con te: è arrivato il momento di tirare qualche somma. Ma più che sulle idiozie da campagna elettorale terrei lo sguardo su un fatto (ne ho scritto qui e pure qui): la situazione delle donne italiane è molto difficile su tutti i fronti, dall’occupazione ail welfare ai diritti, proprio nel momento del governo più femminile di sempre.

“Il punto è che nelle istituzioni sono entrate quasi esclusivamente donne che non hanno mai creduto nelle battaglie del femminismo: il rettore della Sapienza che entra a far parte della giuria di Miss Università, una cosa assurda. Ma non ho visto commenti di deputate o ministre. Solo tre o cinque anni fa sarebbe saltato il banco. E’ anche il portato del rinnovamento generazionale: cosa buona e giusta, ma al principio estetico -per le donne il tema bella presenza è inaggirabile e onnipervasivo- ha tagliato fuori un’intera generazione di donne magari meno appealing per ragioni di età, ma preparate e assertive. Che per esempio sul tema dell’occupazione femminile avrebbero voluto e saputo combattere”.

Quindi? Che fare?

Si deve ammettere che questo modello non va. Fare autocritica. Negli Stati Uniti vedremo probabilmente due donne sfidarsi in campo democratico, e forse alle presidenziali. Qui siamo a questo punto”.

Non diresti piuttosto: abbiamo visto che le quote non bastano? Di qui dobbiamo partire per andare oltre? Dobbiamo lavorarci sopra? Perché poi la politica maschile non vede l’ora di sbarazzarsi anche di questo minimo vitale… Ci sono ancora giunte monosex, in giro.

“Non so. Quello che è certo, le quote non sono state un fattore di rinnovamento della politica e di progresso per la cittadinanza femminile”.

Poi c’è da capire come può fare una ad entrare in politica se non per cooptazione, parentela o supplenza di mariti, padri o fratelli incandidabili.

“In Italia mancano modelli riproducibili. L’autocandidatura è possibile solo se sei già forte sul tuo territorio, se hai già alle spalle un consenso coltivato per decenni. La bassa qualità delle elette dipende anche dal fatto che le donne di valore, consapevoli dei meccanismi di selezione, non perdono tempo con la politica e preferiscono investire il loro patrimonio di talento in altro”.

Forse il modello potrebbe essere questo: una donna che si fa avanti da sé con le sue ambizioni di governo e in forza della sua differenza femminile, con il sostegno di un’ampia rete di donne.

Ci vorrebbe una donna forte e assertiva, che vuole governare, capace di attivare sentimenti profondi nelle altre, di contrastare scetticismi e sfiducia e di aprire la strada. Davvero credo sia l’unica possibilità. In ogni caso resto convinta che si debba uscire dal modello normalizzante delle quote, in cui il tuo essere donna diventa funzionale al potere maschile. Le quote sono state solo la normalizzazione di un problema aperto. Che resta aperto, perché non si è risolto niente”.

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Marzo 10, 2014

#Italicum: 40 posti alle donne, 60 agli uomini? Ma la Costituzione dice altro

Le deputate “ribelli” del Pdl

Al momento non si è trovato alcun accordo (il Pdl non ne vuole sentire parlare, nonostante la mobilitazione di molte sue parlamentari). Ma se alla fine si trovasse, la questione della cosiddetta “parità di genere” come avevamo anticipato potrebbe risolversi con una mediazione. La mediazione dovrebbe essere questa: 40/60 anziché 50/50. Quindi una “quota”, anziché il riconoscimento del principio della pari rappresentanza. Alle donne spetterebbe in questo caso il 40 per cento dei capilista e (forse) il 40 per cento delle posizioni in lista (non è affatto chiaro).

Anche in questo caso, tuttavia, se si richiedesse il voto segreto quasi certamente l’emendamento cadrebbe sotto il fuoco dei franchi tiratori bipartisan.

Ma facciamo l’ipotesi più ottimistica: voto palese e approvazione del 40/60. La formulazione dell’emendamento, com’è evidente, non sarebbe certamente “alle donne andrà il 40 per cento e agli uomini il 60”. Probabilmente si scriverebbe qualcosa tipo: “a nessun genere si potrà attribuire più del 60 per cento dei capilista (e delle candidature in lista)”. Ma la sostanza resta quella. E nonostante la foglia di fico di una formulazione sessualmente corretta, la sostanza sarebbe una legge dello Stato (e una legge molto importante) che sancisce un principio a una prima lettura incostituzionale.

La Costituzione infatti al riguardo è molto chiara. L’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E all’art. 51 si legge: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Se sarà 40/60 –sempre che si trovi un accordo in questo senso, sempre che l’accordo venga votato in modo palese, con qualche chance di passare, sempre che si indichino sanzioni, tipo la non ammissibilità delle liste là dove il principio fosse violato, altrimenti sarebbe inutile- un ricorso per anticostituzionalità non può essere escluso.

C’è anche la possibilità di un veto per incostituzionalità da parte del Presidente della Repubblica: ma a giudicare dal suo discorso dell’8 marzo, che ha evitato l’argomento Italicum, un intervento presidenziale appare improbabile.

In sostanza, c’è ancora tanto, tantissimo lavoro da fare. Vediamo oggi come va.

Qui il video realizzato dalla Rete delle Reti: Dovete Ascoltare!

Aggiornamento ore 21: come previsto, tutti gli emendamenti bocciati con voto segreto. Franchi tiratori anche nel Pd

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Ottobre 1, 2011

Il doppio sguardo che ci salverà

Come dicevamo ieri, in esclusiva per Io donna Added Value ha sondato gli umori e le opinioni di italiane e italiani sul tema della rappresentanza femminile, intervistando un campione rappresentativo di 1000 cittadine/i. Rivelando a sorpresa un Paese prontissimo alla svolta “naturale” rappresentata da un massiccio ingresso delle donne nelle istituzioni rappresentative, determinato a sostenere una “massa critica” femminile che possa cambiare tempi, modi e agende della politica.

Un Paese ben più pronto della sua classe politica, che invece resiste strenuamente al “turn over”:  50/50, appunto: questa è la strada indicata dalla maggioranza degli intervistati, uomini e donne, sul modello di alcune nuove giunte. Oltre a quella di Giuliano Pisapia, la giunta Zedda a Cagliari (dove siamo addirittura a 6 donne su 10) e la giunta Fassino a Torino, appena sotto il 50. Non quote, quindi, ma una proporzione “naturale” che indica l’auspicio di un doppio sguardo sul bene comune, e il desiderio che la differenza femminile si eserciti a beneficio di tutti anche nei luoghi della politica.

Raccoglie invece pochi consensi l’idea di percentuali inferiori, il 30 o il 40, intese come riserve dedicate a una “minoranza” che poi minoranza non è affatto.

Gli italiani, uomini compresi, si fidano a tal punto delle donne che sarebbero anche entusiasticamente pronti alla “super-alternativa” costituita da una premier.

Ma vediamo il sondaggio nel dettaglio.

I gravi problemi del nostro Paese non dipenderanno anche dal fatto che nelle stanze dei bottoni ci sono poche donne? E’ così per la maggioranza degli intervistati: “abbastanza” (43 per cento) o addirittura “molto” (14 per cento). Solo il 9 per cento ritiene che non vi sia relazione tra le due circostanze.

Le donne saprebbero governare come gli uomini secondo il 61 per cento del campione, o addirittura meglio (29 per cento: percentuale che sale al 43 tra le intervistate).

Che cosa ostacola, allora, la rappresentanza femminile? Il maschilismo dei partiti secondo il 42 per cento, mentre il 30 per cento segnala il peso degli impegni familiari sulle donne. Ma incidono anche la sfiducia nella politica (15 per cento) e il disinteresse al potere (11 per cento).

Che le donne non abbiano accesso alla politica è un vero guaio, perché tutti, maschi e femmine, sono convinti che saprebbero portarvi attenzione alle problematiche familiari (76 per cento), un maggiore di responsabilità (68 per cento), un legame più forte con la vita reale (65 per cento). E ancora: impegno e determinazione, uno sguardo diverso sul mondo, concretezza, minore propensione al rischio, affidabilità e onestà.

Vale per donne di centrodestra quanto per quelle di centrosinistra: solo il 30 per cento ritiene che vi siano significative differenze, mentre quasi 9 intervistati su 10, evidentemente stanchi di risse e contrapposizioni frontali, pensano che almeno su alcuni temi le elette dovrebbero collaborare trasversalmente, come qualche volta è già capitato.

E veniamo al 50/50: alla domanda “lei sarebbe favorevole o contrario all’applicazione di questo principio all’interno degli organismi politici e istituzionali, elettivi e no?”, quasi 8 italiani su dieci (percentuale che sale a 9 tra le intervistate), si dichiara d’accordo. Lo straordinario consenso si alza ulteriormente fra gli under 35.

50/50 è la proporzione giusta, esattamente quella della vita, mentre solo 18 intervistati su cento preferirebbero “quote” del 30 o del 40.

Ampia e generale approvazione anche per un’azione positiva già in atto, quella che introduce il 30 per cento di donne nei board delle società quotate in borsa: norma bipartisan approvata di recente e che piace al 76 per cento degli intervistati. Giusto un po’ meno agli uomini, che comunque si esprimono largamente a favore (67 per cento): un ulteriore segno di fiducia nella competenza femminile.

Ma se si votasse oggi, e se una nuova legge elettorale consentisse di esprimere la propria preferenza anche alle elezioni politiche, quanti voterebbero donna?

Quasi la metà del campione (47 per cento: percentuale che sale ben al 67 per cento tra le donne). Mentre solo il 18 per cento dichiara che sceglierebbe un uomo, contro un cospicuo 35 per cento che al momento non sa. Pronti a indicare un nome femminile soprattutto i/le più giovani.

Ma il dato più significativo è che quasi 7 cittadine su 10 oggi risponderebbero positivamente a una campagna “vota donna”. In passato non ha funzionato come si sperava: ma l’impegno politico delle donne, testimoniato anche dalle piazze del 13 febbraio, oggi probabilmente si esprimerebbe anche nelle urne. Ragione in più per buttare a mare il tremendo Porcellum e per restituire alle elettrici e agli elettori il diritto, usurpato dai partiti, a scegliere da chi vogliono essere rappresentati.

E da chi? Da donne dei partiti o della società civile? Meglio professioniste della politica o outsider?  Le elettrici si dividono equamente (45 e 43 per cento), mentre gli uomini si sentono meglio garantiti dalle già-politiche. Preferibilmente quaranta-cinquantenni: è questa l’età, quella della maturità e dell’esperienza -non quella del sex-appeal- ritenuta più giusta da 7 intervistati su 10. Che in percentuale ancora più alta (83 per cento, 93 tra le donne) vedrebbero con favore, e finalmente, una premier: alternativa chiara, apprezzata soprattutto dai giovani adulti. Nel caso, chi? Qui si registra un certo smarrimento.

Ben 7 su 10 non indicano nessuna, come se non sapessero molto delle nostre politiche, o fossero in attesa di un volto nuovo. Qualche rara indicazione solo per Anna Finocchiaro del Pd (8 per cento), per la radicale Emma Bonino e per la presidente del Pd Rosy Bindi, (entrambe 5 per cento), inseguite dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, dalla Ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna e da Daniela Santanché del Pdl (tutte al 2 per cento). Anna Finocchiaro, seguita da Bindi e Bonino, risulta anche in assoluto la politica più ammirata (dal 15 per cento), prima di Rosy Bindi ed Emma Bonino alla pari (8 per cento).

Italiane e italiani sembrano percepire meglio il protagonismo politico delle “straniere”: la premier tedesca Angela Merkel (40 per cento), la Segretaria di Stato americana Hillary Clinton (31 per cento) e la leader birmana Aung San Suu Kyi (12): forse, fra tutte, la portatrice di una più forte “differenza”.

 

Alla giornalista Ritanna Armeni e alla sua collega parlamentare Fli Flavia Perina abbiamo chiesto di commentare i i risultati del sondaggio

             

 

 

 

 

 

 

 

Ritanna Armeni      Mi pare che dal sondaggio emerga una forte spinta neo-emancipazionista. Come a dire: sappiamo che la differenza femminile esiste, ora vogliamo finalmente vederla in azione. La cosa interessante è che 7 uomini su 10, una netta maggioranza, si dichiarano favorevoli a una premier donna e al 50/50. Un entusiasmo sostanzialmente pari a quello femminile. E’ una cosa che colpisce molto. Significa che le capacità e le competenze femminili non sono più in discussione, che il Paese è davvero cambiato nel profondo. Sono solo gli uomini della politica a non voler cambiare. La casta è in assoluta difensiva. Si difendono posti, logiche, linguaggio, e un massiccio ingresso delle donne costituirebbe una formidabile minaccia. C’è anche un’incultura che impedisce di leggere la realtà e i cambiamenti già avvenuti e registrati dalla società. L’altra cosa che noto è l’apprezzamento per la saggezza e l’autorevolezza femminile: quelle che gli intervistati, uomini e donne, vorrebbero in politica sono le quaranta-cinquantenni, nel pieno della maturità. Di Anna Finocchiaro, che raccoglie il maggior numero di consensi, sono apprezzate la compostezza e quel tratto di autorità che si sposa a una bellezza sobria, con i capelli grigi. Un antimodello rispetto a quelli correnti. Insomma: il tema della rappresentanza femminile è all’ordine del giorno, è la vera leva del cambiamento, e non può più essere eluso. Il sondaggio lo evidenzia con percentuali molto alte, che non lasciano dubbi.

Flavia Perina       Mi ha molto colpito la laconicità delle risposte alla domanda sulle donne politiche nazionali: ben il 61 per cento dichiara di non averne in mente una in particolare. Come se non conoscessero la nostra rappresentanza femminile. Eppure donne come Rosy Bindi, Mara Carfagna e Daniela Santanché godono di una notevole visibilità. Ma è come se non se ne percepisse il profilo politico, come se si pensasse che sono poco incisive, scarsamente rilevanti. Che contano poco, insomma. C’è una notevole discrasia tra il fatto che l’83 per cento degli intervistati si dice favorevole a un premier donna, evidentemente percepita come l’alternativa assoluta all’attuale premiership, e l’incapacità di darle un volto. Io credo che a fronte di una domanda così forte di protagonismo politico femminile i partiti sbaglino a non investire sulle donne. E poi: alla domanda se si preferirebbe votare una donna già in politica o una rappresentante della società civile, vince di misura la politica. Parlando di uomini, forse la risposta non sarebbe stata la stessa. Insomma, è come se le donne politiche fossero percepite come fuori dalla casta, immuni dal contagio, e di loro ci si potesse ancora fidare. E infine, altro dato interessante: tra le donne di centrodestra e di centrosinistra non vengono percepite differenze sostanziali. Evidentemente l’appartenere all’uno o all’altro degli schieramenti è ritenuto secondario rispetto all’essere donne, e alla possibilità di trovare un’intesa su temi e priorità.   

 

 

 

Donne e Uomini, esperienze, Politica Luglio 20, 2011

Letizia sulla via di Damasco

L’altro giorno il Consiglio comunale di Milano ha approvato un ordine del giorno che impegna il Comune a garantire la presenza del 50 per cento di donne della società civile nei consigli d’amministrazione delle società controllate. Prima firmataria, Letizia Moratti, da sempre contraria alle quote e misogina tanto quanto Alemanno, con una sola donna nella sua giunta. “Il  prototipo della cosiddetta  “donna con le palle”, tanto cara all’iconografia di una destra pronta a fabbricare mostri, pur di non fare i conti con la differenza femminile“, scrive oggi il mio amico Ivan Berni su Repubblica.

Ricorderete anche la vicenda Expo, la lettera inviata in aprile al Bureau parigino da Lorella Zanardo e da me , per segnalare che i 42 nomi indicati per i 9 tavoli tematici, con Letizia Moratti Commissario Straordinario, erano tutti di uomini, con successiva pubblica rampogna da parte del segretario Loscertales.

Il sindaco Pisapia ha detto che Moratti copia il suo programma. E che comunque l’approvazione di un simile Odg non mette affatto in difficoltà la giunta. Non so che cosa stia macchinando Letizia. Certo, la sua misoginia le è costata cara, la sua incapacità di entrare in relazione con le donne della città ha comportato un prezzo salato. Forse sta solo dando una rinfrescata alla sua immagine affaticata da questa assurda resistenza al femminile, il suo e quello delle altre.

A me piace pensare che abbia capito, e che ci stia provando davvero. Una folgorazione sulla via di Damasco. Anche perché gli uomini, per cui lei è stata una pari -o uno strumento- finché tutto è andato bene, l’hanno rapidamente scaricata al minimo cambio di vento. Umberto Bossi, chic come sempre, aveva dichiarato: “L’avevo detto al Silvio che le donne non si portano in politica, ma da un’altra parte“.

L’ho incontrata per un dibattito tv un paio di giorni prima della sua sconfitta. Era stanca, stranita, sembrava sedata. Nella sua disperazione ho intravisto una ricerca di un contatto empatico con me, gli indizi di una tardiva consapevolezza. Può essere.

Prima o poi, alla prima “musata”, capita a tutte quelle che per sentirsi libere e forti cercano di dimenticare e di far dimenticare di essere nate donne.