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pierluigi bersani

Politica, TEMPI MODERNI Giugno 21, 2011

Tagliare subito i costi assurdi della politica

Nel suo primo discorso da sindaco, ieri Giuliano Pisapia ha parlato di seri problemi di bilancio, e della necessità di sobrietà e rigore. Ma anche tra le varie promesse di Pontida c’è quella della riduzione dei costi della politica. Che nel nostro sultanato sono mostruosamente lievitati, mentre noi tutti tiriamo la cinghia. Leggere qui, ne ha parlato qualche giorno fa Sergio Rizzo sul Corriere:

http://www.corriere.it/politica/11_giugno_18/costi-politica-rizzo_ceae1716-9975-11e0-872e-8f6615df4e68.shtml?fr=box_primopiano

C’è anche la questione dei vitalizi, rendite a vita per parlamentari e assessori regionali. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha chiesto al segretario del Pd Bersani di “dimezzare i parlamentari ed eliminare i vitalizi per i consiglieri regionali e i parlamentari”. Bersani sembrerebbe oggi orientato ad assumere la questione: i rappresentanti del popolo hanno diritto a un vitalizio quando hanno passato almeno 5 anni in Parlamento. Con il minimo dei versamenti, appunto 5 anni, gli ex parlamentari hanno diritto, a partire dai 65 anni di età, a un assegno vitalizio di 2.500 euro al mese.

Ma solo qualche mese fa, settembre 2010, una proposta di taglio presentata dal deputato dell’Idv Antonio Borghesi è stata respinta dalla Camera in modo bulgaro. “Le persone normali” ha detto Borghesi “devono lavorare 40 anni per avere diritto alla pensione. Ai parlamentari bastano cinque anni. Per abolire questo privilegio, io avevo previsto che i contributi di Camera e Senato potessero finire agli enti previdenziali di appartenenza. La Camera ha respinto la proposta a grandissima maggioranza”. Su 525 presenti, 22 hanno votato a favore del disegno di legge e 498 contro.

C’è sempre tempo per cambiare idea. Vale anche per i parlamentari del Pd.

qui come hanno votato i parlamentari: http://parlamento.openpolis.it/votazione/index/id/33629/sf_highlight/vitalizio

 

Donne e Uomini, Politica Febbraio 2, 2011

TUTTI FEMMINISTI

Bersani, Di Pietro, Vendola. E’ tutta una gara di leader politici per prendere parte alla manifestazione del 13 gennaio in difesa della dignità delle donne. Bene. Oggi essere un po’ femministi è anche trendy…

Ma forse c’è un modo più diretto per essere attivamente solidali: spalancare le porte dei loro partiti -e le liste, se non non vale- a donne di valore, magari mature, magari nemmeno gnocchissime, ed eventualmente perfino decise a fare e pensare di testa loro. Rimuovere ogni ostacolo alla femminilizzazione della politica. Magari qualcosina da farsi perdonare ce l’hanno pure loro…

Donne e Uomini, Politica Dicembre 6, 2010

CARO SEGRETARIO BERSANI…


Caro Segretario Bersani,

come si è visto dalle rivelazioni di Wikileaks, perfino Silvio Berlusconi -non so quanto piacere le abbia fatto- pensa che lei sia una persona corretta e intelligente. Come premier probabilmente lei saprebbe dare prova non solo di correttezza, ma anche di efficacia. Vediamo però anche capitare un’altra cosa: quella che qualcuno ha definito un’Opa sul Pd da parte di Nichi Vendola, e che a quanto pare sta funzionando.

Il Pd di Milano è ancora sotto schiaffo dopo la sconfitta alle primarie. Ora tocca a Torino, a Bologna, a Napoli. Anche lì Nichi scatenato con i suoi “Comizi d’amore”. Il quotidiano Europa ne parla come di un “Pierino che spacca i vetri giusto per vedere l’effetto che fa, utilizzando il refolo della popolarità alla caccia di consensi per sé e per la battaglia romana ostile al Pd e non per la causa generale, quella del buon governo delle metropoli e della rivincita del centrosinistra”.

Nichi è un uomo intelligente e anche un brand televisionabile: il che in un Paese messo com’è messo oggi il nostro non è cosa da poco. I suoi detrattori dicono che è un generale senza armate, che dietro di lui c’è poco o nulla, che il fanatismo di cui è oggetto sta ancora tutto nel recinto del berlusconismo, un culto contro l’altro. Ma al momento funziona, è oggettivo. E questo non è un momento come un altro. Questo è un momento in cui ci non si può distrarre, o mettere la testa nella sabbia.

Diamo per acquisito che il Pd voglia vincere: lo dico perché il centrosinistra è afflitto da una vocazione alla sconfitta, una specie di vezzo rovinoso, una malattia infantile che non guarisce mai. Qui a Milano, per esempio, pesano le scelte di una noiosissima gauche caviar, borghesia ingenerosa e intellettualmente minuta, capricciosamente determinata a conservare la propria identità-contro. Gente che il problema di trovarsi un lavoro o di pagare un affitto non ce l’ha, che per metà anno vive fuori città, che parla “della Letizia” come di una che non sa governare così come non sa vestire, che mai rinuncerebbe all’oggetto del proprio lamento del sabato sera. E che pertanto di vincere non ha affatto urgenza.

Facciamo invece che il Pd sia così strano da voler vincere, a cominciare dalle imminenti primarie nazionali. Be’, il problema Nichi c’è. E insieme al problema Nichi, c’è anche quello di molti dirigenti del Pd convinti che lei, Segretario, non sarebbe il candidato più adatto ad arginare lo tsunami. Proprio per il fatto che con il Paese messo com’è, dopo un quasi-ventennio come quello che cominciamo a lasciarci alle spalle, anche il migliore dei programmi è neve al sole se non trova un interprete capace di “bucare” e di scuotere dalla passività e dall’ignavia, in grado di contrastare Nichi sul suo stesso terreno, a partire dal fatto di rappresentare un’autentica novità. Se ne dovrà tenere conto. Oggi la squadra e i buoni programmi possono poco a fronte dell’idea di un leader salvifico, categoria che, come dice il rapporto Censis, comincia per fortuna a mostrare segni di cedimento, fra le donne e fra i giovani soprattutto. Ma non vi è il tempo di aspettare che ceda del tutto.

Proprio in forza dell’intelligenza e della correttezza che anche i suoi nemici le riconoscono, lei forse potrebbe accettare perfino l’amarezza di dover cedere il passo, nell’individuazione di una premiership, a qualcuno che avrebbe più chance di farcela. E se si trattasse di Rosy Bindi, come io auspico, vi sarebbe anche un aspetto di galanteria “cortese”, nel suo senso più nobile: vi sarebbe cioè anche l’assunzione piena di quello che oggi si presenta come un problema grande della nostra politica, ma che la politica fatica a valutare in tutta la sua primarietà. Il fatto cioè che un paese di donne e di uomini è governato solo da uomini. Quel fattore D la cui sottovalutazione, secondo molti analisti, spiega grande parte della fatica mortale che affligge questo nostro Paese, ormai incapace perfino di desiderare.

Rosy Bindi è molto più che un’anti-Nichi. Lei stessa non vorrebbe interpretarsi in questo modo. Ma incarna in modo quasi perfetto quelle caratteristiche di responsabilità, affidabilità e sobrietà che grande parte del Paese invoca (be’, poi è anche una donna molto spiritosa!) E’ la nemica di Berlusconi, uomo di grande intuito che ha espresso la sua paura facendo di Bindi oggetto costante dei suoi lazzi nevrotici, e indicandola in questo modo come la minaccia principale. E’ una donna, novità delle novità, probabilmente tentata dal legame con le altre per un efficace lavoro ri-costituente, ma anche frenata da una fedeltà al partito che le impedirebbe uno strappo autopropositivo. Le donne non sono narcise come gli uomini. E quanto a Narcisi: guardi, qui a Milano stiamo assistendo a uno spettacolo davvero deprimente.

Se fosse il partito ad indicarla, e a richiederle quest’assunzione di responsabilità, probabilmente la sua legittima ambizione potrebbe correre libera, giovandosi di una doppia autorizzazione: quella della politica maschile e quella dello sguardo femminile. E non solo femminile: pur senza sondaggi alla mano –quelli li faccia lei- sono convinta che una candidatura di Rosy alla premiership sarebbe accolta con molto interesse anche dagli uomini e godrebbe dell’attenzione di molti giovani, interesserebbe i cattolici ma anche i laici, perché sarebbe un segnale di svolta immediatamente leggibile.

Segretario Bersani, io sono solo una cittadina che va a votare, e che si è molto impegnata nelle primarie milanesi. Non sono neanche iscritta al Pd, né edotta più di tanto sul gioco delle correnti, che seguo molto di malavoglia, come tutti. Ma mi sono data da sola l’autorizzazione a interpellarla direttamente e a proporle un pensiero da considerare tra i tanti, perché credo femminilmente nel fatto che la relazione possa produrre spostamenti in tempi sorprendentemente rapidi. E questi sono tempi vorticosi, da fondo dell’imbuto.

Sono tempi difficili, ma come dice Sant’Ambrogio, che qui festeggeremo domani: “Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi”.

Con molta stima.

Politica Novembre 16, 2010

CASINO PRIMARIE

Grosso casino, queste benedette primarie.

Io non sono del Pd, non ho mai votato alle primarie, non ci ho mai creduto, ma stavolta sì, e ho potuto osservarne il congegno da vicino, a Milano, e capire fino in fondo perché non mi convincono.

Intanto credevo che le primarie avessero il vantaggio di far crescere la partecipazione e la mobilitazione in vista del voto, anche se il fatto che tutti possano votare (anche gente dello schieramento opposto, intendo, influenzando i risultati) mi è sempre sembrata un’autentica follia. Ora mi devo ricredere anche sul processo di partecipazione democratica: questo potrà anche essere in parte vero all’interno dei singoli partiti, ma la città è rimasta sostanzialmente indifferente, e lo si è visto dalla partecipazione al voto.

Seconda osservazione: le primarie nei partiti rischiano di diventare il momento del redde rationem. Il momento in cui il gruppo dirigente viene messo di fronte al plotone di esecuzione, e parte il fuoco amico. Al centralismo democratico si sostituisce un anarchismo vendicativo. Sono territorio di scorribande nemiche, come ha detto qualcuno, mi pare Enrico Letta, e pur in assenza di garanzie formali (vota chiunque, mollando 2 euro) producono risultati sostanziali (nel caso di Milano, il candidato sindaco del csx). E non è affatto detto che dalle primarie esca sempre il candidato più giusto per affrontare le sfide politiche che si hanno di fronte.

Inoltre le primarie anziché partecipazione sembrano promuovere il culto delle personalità, in modo speculare a Berlusconi. Diventano  un palcoscenico per narcisi, personalità mediatiche -il povero Bersani ha ben poche chance-, colpi di teatro, ole. Mettono nell’ombra i programmi, a meno che non siano cose (mi scuso, sto esagerando) tipo: “Più gnocca per tutti” o “Tutti gratis a Sharm el Sheik” o killer ads, tipo il celebre “abolirò l’Ici”. In breve, producono un’infantilizzazione della politica e il culto del capo. Pensiamo all’effetto Vendola, non solo in Puglia ma anche a Milano (con tutta la stima che ho per Vendola, lo giuro).

Mi pare di vedere che ora nel Pd se ne discute serratamente, in vista delle primarie nazionali. Ed è un bel guaio: difficile abolirle tout court, anche appellandosi agli statuti, difficile anche rischiare di farsi spazzare via dai meccanismi che dicevo, fuoco nemico e anche amico.

L’amica Marilisa D’Amico, docente di Diritto Costituzionale alla Statale di Milano, mi dice che le primarie sono molto efficaci quando c’è da mettere insieme liste elettorali bloccate: la partecipazione dal basso nella composizione delle liste evita abusi ed eccessi di partitismo. Ma così come sono usate, in particolare quandi si tratta di primarie di coalizione, il rischio è solo che evidenzino e slatentizzino patologie, con esiti potenzialmente letali.

Insomma, come dicevo, un gran casino.

Contibuiamo al dibattito. Magari ci viene qualche buona idea. Anche questo, soprattutto questo, è esercizio democratico.