Dunque: “State a casa e fate figli, almeno tre, perché il destino che l’Islam riserva alle donne è quello di essere madri” (Recep Tayyip Erdogan, presidente turco). Se siete incinte, non andate per strada a esibire le pance (Akp, partito al governo). Non ridete in pubblico perché è peccaminoso (Bulent Arinc, vicepremier). “Gli studenti maschi seguano le ragazze che indossano minigonne e le facciano sentire a disagio, cosi dovranno vestirsi decentemente” (preside della Kepez Atatürk Anatolian High School di Antalya). E poi c’è il capitolo drammatico delle violenze, che, sintomaticamente, sarebbero aumentate del 400 per cento da quando è al potere il partito islamico Akp. La clamorosa protesta degli uomini in minigonna (#ozgecanicinminietekiy, una minigonna per Ozgecan) ha raccontato al mondo la rabbia per la morte di Ozgecan Aslan, 20 anni, studentessa di psicologia di Mersin picchiata, stuprata, uccisa e bruciata dall’autista di un minibus di cui era rimasta l’ultima passeggera.
Marta Ottaviani scrive di Turchia e Grecia per “La Stampa”, “Avvenire” e “East”. Le chiedo se condizione delle donne turche è davvero drammatica come appare.
“La violenza sulle donne è un fatto atavico e tribale, ma negli ultimi anni ha assunto rilevanza politica. Erdogan c’è entrato a gamba tesa, dando voce alla cultura più retriva. Per esempio, ha cercato di riscrivere la legge sull’aborto, che ha un impianto molto simile a quello della nostra 194, facendolo tornare reato”.
Mi pare che le turche reagiscano vivacemente e compattamente.
“Le più attive sono femministe di Amargi e le associazioni Kader e Mor Cati. All’assassinio di Ozgecan Aslan sono seguite proteste impressionanti, la popolazione ha sentito moltissimo la vicenda. Oltre agli uomini in minigonna, finiti su tutti i media occidentali, c’è stata la grande mobilitazione su Twitter: tantissime donne hanno raccontato le violenze subite. Beren Saat, attrice molto popolare, ha suscitato grande scalpore raccontando di essere stata palpeggiata dal produttore in occasione di uno show tv di grande audience”.
Perché a Erdogan conviene politicamente una fisionomia da anti-Ataturk, il grande modernizzatore della Turchia?
“Non dobbiamo pensare alla Turchia come se fosse solo Istanbul o Ankara. L’Anatolia resta molto arretrata e conservatrice, è lì che Erdogan pesca il più dei suoi consensi. Da quando è presidente ha tutto in mano, con sfumature di onnipotenza delirante: per esempio, le foto da neo-sultano con il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese Abu Mazen tra due ali di soldati bardati come guerrieri ottomani”.
Negli anni Venti l’occidentalista Mustafa Kemal Ataturk abolì il califfato, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, proibì il velo in pubblico, abrogò ogni norma giuridica riconducibile alla legge islamica, legalizzò le bevande alcoliche e depenalizzò l’omosessualità. Una modernizzazione imposta e tumultuosa, ma forse solo apparente. La Turchia profonda non l’ha seguito?
“Anche per la sua posizione geografica la Turchia è sempre stata un Paese borderline, incerto tra le sirene occidentali e l’oriente islamico. Durante l’Impero Ottomano ci furono sultani occidentalizzati e altri più tradizionalisti. Erdogan si è presentato inizialmente come un modernizzatore, ma da tempo la sua politica sembra voler segnare la fine del kemalismo. Proprio ieri ha voluto ricevere il leader della Bosnia a bordo dello yacht che appartenne ad Ataturk, come a voler contrapporre simbolicamente la propria personalità quella di Mustafa Kemal. Da giugno è proibita la pubblicità degli alcolici, anche i claim della birra nazionale sono vietati. Il fatto di non portare il velo non è più una libera scelta, ma sta diventando un segno di opposizione politica. Le barbe e gli abiti islamici tradizionali, che erano fuorilegge, sono ricomparsi nei quartieri periferici di Istanbul. Nessuno osservava il Ramadan: oggi, anche opportunisticamente, se vuoi lavorare per certe aziende o ottenere certi incarichi non puoi esimerti. La condizione attuale delle donne turche si iscrive in questo quadro. Alle grottesche dichiarazioni di Erdogan o di Arinc corrispondono politiche precise. E l’islamizzazione aggrava la condizione femminile, specie nelle zone più arretrate e tribali del Paese “.
Bizzarro che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne porti il nome di Convenzione di Istanbul.
“Al governo turco non dispiace esibire una certa modernità di facciata”.
La non-ammissione della Turchia in Europa ha dato una mano ai tradizionalisti?
“A Erdogan non è mai importato davvero entrare in Europa: l’Ue semmai gli è servita per liquidare i conti con i militari e con certi giudici scomodi. Anche i cittadini e le cittadine non ci hanno mai del tutto creduto. Certo: ponendo paletti inaggirabili, l’Europa ha finito per sospingere la Turchia verso Oriente”.
A Erdogan sembra sembra importare poco anche della minaccia Isis: i veri nemici restano i curdi, molti foreign fighters passano indisturbati dalle frontiere turche.
“Un paio di settimane fa l’esercito turco si è inoltrato in Siria, a pochi chilometri da Kobane, per prelevare la tomba di uno storico leader ottomano e riportarla in Turchia. Isis non ha disturbato l’operazione. La sensazione è che vi siano canali aperti trale bandiere nere e il governo Erdogan“.
Che 8 marzo sarà, quello delle sorelle turche?
“Un 8 marzo di orgoglio e consapevolezza. Le turche non hanno intenzione di mollare, hanno un’incredibile grinta, senza distinzione tra velate e non velate. In primo piano c’è il tema della violenza, ma anche il lavoro e l’ingerenza della famiglia nelle scelte delle donne sono questioni molto sentite”