Browsing Tag

marta ottaviani

Donne e Uomini, femminicidio, Femminismo, Politica, questione maschile Marzo 5, 2015

Violenza, oppressione, islamizzazione: l’8 marzo delle sorelle turche

Beren Saat, popolare attrice turca: ha raccontato le violenze subite

Dunque: “State a casa e fate figli, almeno tre, perché il destino che l’Islam riserva alle donne è quello di essere madri” (Recep Tayyip Erdogan, presidente turco). Se siete incinte, non andate per strada a esibire le pance (Akp, partito al governo). Non ridete in pubblico perché è peccaminoso (Bulent Arinc, vicepremier). “Gli studenti maschi seguano le ragazze che indossano minigonne e le facciano sentire a disagio, cosi dovranno vestirsi decentemente” (preside della Kepez Atatürk Anatolian High School di Antalya). E poi c’è il capitolo drammatico delle violenze, che, sintomaticamente, sarebbero aumentate del 400 per cento da quando è al potere il partito islamico Akp. La clamorosa protesta degli uomini in minigonna (#ozgecanicinminietekiy, una minigonna per Ozgecan) ha raccontato al mondo la rabbia per la morte di Ozgecan Aslan, 20 anni, studentessa di psicologia di Mersin picchiata, stuprata, uccisa e bruciata dall’autista di un minibus di cui era rimasta l’ultima passeggera.

Marta Ottaviani scrive di Turchia e Grecia per “La Stampa”, “Avvenire” e “East”. Le chiedo se condizione delle donne turche è davvero drammatica come appare.

“La violenza sulle donne è un fatto atavico e tribale, ma negli ultimi anni ha assunto rilevanza politica. Erdogan c’è entrato a gamba tesa, dando voce alla cultura più retriva. Per esempio, ha cercato di riscrivere la legge sull’aborto, che ha un impianto molto simile a quello della nostra 194, facendolo tornare reato”.

Mi pare che le turche reagiscano vivacemente e compattamente.

“Le più attive sono femministe di Amargi e le associazioni Kader e Mor Cati. All’assassinio di Ozgecan Aslan sono seguite proteste impressionanti, la popolazione ha sentito moltissimo la vicenda. Oltre agli uomini in minigonna, finiti su tutti i media occidentali, c’è stata la grande mobilitazione su Twitter: tantissime donne hanno raccontato le violenze subite. Beren Saat, attrice molto popolare, ha suscitato grande scalpore raccontando di essere stata palpeggiata dal produttore in occasione di uno show tv di grande audience”.

Perché a Erdogan conviene politicamente una fisionomia da anti-Ataturk, il grande modernizzatore della Turchia?

“Non dobbiamo pensare alla Turchia come se fosse solo Istanbul o Ankara. L’Anatolia resta molto arretrata e conservatrice, è lì che Erdogan pesca il più dei suoi consensi. Da quando è presidente ha tutto in mano, con sfumature di onnipotenza delirante: per esempio, le foto da neo-sultano con il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese Abu Mazen tra due ali di soldati bardati come guerrieri ottomani”.

Non è “Il Trono di Spade”, ma il presidente turco Erdogan con Abu Mazen e i guerrieri ottomani

Negli anni Venti l’occidentalista Mustafa Kemal Ataturk abolì il califfato, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, proibì il velo in pubblico, abrogò ogni norma giuridica riconducibile alla legge islamica, legalizzò le bevande alcoliche e depenalizzò l’omosessualità. Una modernizzazione imposta e tumultuosa, ma forse solo apparente. La Turchia profonda non l’ha seguito?

“Anche per la sua posizione geografica la Turchia è sempre stata un Paese borderline, incerto tra le sirene occidentali e l’oriente islamico. Durante l’Impero Ottomano ci furono sultani occidentalizzati e altri più tradizionalisti. Erdogan si è presentato inizialmente come un modernizzatore, ma da tempo la sua politica sembra voler segnare la fine del kemalismo. Proprio ieri ha voluto ricevere il leader della Bosnia a bordo dello yacht che appartenne ad Ataturk, come a voler contrapporre simbolicamente la propria personalità quella di Mustafa Kemal. Da giugno è proibita la pubblicità degli alcolici, anche i claim della birra nazionale sono vietati. Il fatto di non portare il velo non è più una libera scelta, ma sta diventando un segno di opposizione politica. Le barbe e gli abiti islamici tradizionali, che erano fuorilegge, sono ricomparsi nei quartieri periferici di Istanbul. Nessuno osservava il Ramadan: oggi, anche opportunisticamente, se vuoi lavorare per certe aziende o ottenere certi incarichi non puoi esimerti. La condizione attuale delle donne turche si iscrive in questo quadro. Alle grottesche dichiarazioni di Erdogan o di Arinc corrispondono politiche precise. E l’islamizzazione aggrava la condizione femminile, specie nelle zone più arretrate e tribali del Paese “.

Bizzarro che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne porti il nome di Convenzione di Istanbul.

“Al governo turco non dispiace esibire una certa modernità di facciata”.

La non-ammissione della Turchia in Europa ha dato una mano ai tradizionalisti?

“A Erdogan non è mai importato davvero entrare in Europa: l’Ue semmai gli è servita per liquidare i conti con i militari e con certi giudici scomodi. Anche i cittadini e le cittadine non ci hanno mai del tutto creduto. Certo: ponendo paletti inaggirabili, l’Europa ha finito per sospingere la Turchia verso Oriente”.

A Erdogan sembra sembra importare poco anche della minaccia Isis: i veri nemici restano i curdi, molti foreign fighters passano indisturbati dalle frontiere turche.

“Un paio di settimane fa l’esercito turco si è inoltrato in Siria, a pochi chilometri da Kobane, per prelevare la tomba di uno storico leader ottomano e riportarla in Turchia. Isis non ha disturbato l’operazione. La sensazione è che vi siano canali aperti trale bandiere nere e il governo Erdogan“.

Che 8 marzo sarà, quello delle sorelle turche?

“Un 8 marzo di orgoglio e consapevolezza. Le turche non hanno intenzione di mollare, hanno un’incredibile grinta, senza distinzione tra velate e non velate. In primo piano c’è il tema della violenza, ma anche il lavoro e l’ingerenza della famiglia nelle scelte delle donne sono questioni molto sentite

 

 

 

 

 

 

esperienze, personaggi, Politica Giugno 18, 2013

Marta sui Turchi: cronache da Istanbul

Marta Ottaviani ha lavorato sodo in queste ultime settimane a Istanbul. Giorno e notte, e con la boccia del Gaviscon anti-lacrimogeni in borsa, per poter raccontare in diretta le manifestazioni di Taksim e Gezi Parki con un frenetico lavoro di tweet e con le sue corrispondenze per La Stampa e altre testate.
Marta vive a Istanbul da 8 anni: “Mi volevo occupare di esteri” dice. “Ma non c’era nessuna redazione che mi offrisse un contratto. La Turchia era scoperta, nessuno parlava il turco e quindi ho deciso di puntare su quel Paese, di cui non si è mai parlato abbastanza e in modo corretto. Ce n’è un gran bisogno”.
Be’, credo che in questi giorni ne abbia parlato parecchio. La interpello nella sua doppia veste di corrispondente-residente a Istanbul.
Qual è la situazione in città in queste ore?
“In questo momento il centro di Istanbul è completamente militarizzato. Piazza Taksim e Gezi Parki sono sgombri. Calma apparente. Ma i giornali online danno notizie di arresti in corso connessi con le manifestazioni dei giorni scorsi. Al momento le identità degli arrestati non sono state rese note”.
Il primo ministro Erdogan ha affermato di non riconoscere il Parlamento europeo.
“E’ una cosa che ha detto più volte. Ha anche affermato che il Parlamento Europeo non può trattare la Turchia come se fosse uno stato membro, quando invece è solo Paese candidato all’ingresso”.
Ma lo è ancora? A Erdogan interessa entrare a fare parte della Ue? E ai cittadini turchi?
“A me pare che a lui importi ben poco, specie da quando ha visto che anche grazie alla mancanza di opposizione il suo potere stava diventando pressoché illimitato. Molti lo accusano di aver usato la Ue come cavallo di Troia per indebolire i militari e passare a uno stile di governo sempre più autoritario. Quanto ai Turchi: l’Europa interessa, ma non ci hanno mai creduto più di tanto. E soprattutto in questi giorni si sono sentiti traditi da Bruxelles”.
Non tutti sanno qual è il ruolo dei militari in Turchia…
“Sono stati i difensori dello stato laico fondato da Mustafa Kemal Ataturk. La Costituzione li autorizza a intervenire. Detto questo, i militari  hanno commesso molti errori, fra cui quello di non aver consentito lo sviluppo di partiti e movimenti di sinistra in grado di entrare in Parlamento. Il risultato è un’assemblea poco rappresentativa, a cui mancano anime necessarie per una piena democrazia”.
Che cosa prevedi per le prossime ore?
“Temo che per il momento la questione Gezi Parki sia chiusa. Ma come ho sentito dire tante volte dagli occupanti, loro sentono di avere vinto e su questo concordo. Sono stati repressi brutalmente ma oggi, grazie alle loro lotte, nessuno al mondo potrà più sostenere che Erdogan sia un modello di democrazia, come molti invece credevano. Le proteste di questi giorni hanno creato un precedente pericoloso per il premier. Adesso Erdogan sa che sono in molti pronti a scendere in piazza per gridare no alla sua politica”.
In questi anni hai visto le libertà restringersi?
“Ci vorrebbe un libro per rispondere… Su alcuni fronti ci sono stati cambiamenti positivi: per esempio i curdi e le persone religiose godono di maggiori libertà, mentre con il governo dei militari dovevano essere molto vigili. Su altri fronti le restrizioni sono state numerose. In primo luogo sulla libertà d’informazione. Molti giornalisti sono letteralmente spariti dai video e dai giornali dove lavoravano. Ci sono anche restrizioni nella vita quotidiana di tutti, mi riferisco ai recenti divieti di vendita di alcolici. Restano poi irrisolte alcune grandi questioni del Paese, in primo luogo quella del genocidio degli armeni e dei rapporti con Erevan, capitale di quella regione: si è parlato molto ma non si è fatto nulla. Voglio anche ricordare che nel Paese sono in corso centinaia di  processi che vedono imputati anche molti giornalisti, accusati di essere terroristi e di voler rovesciare il governo. Un modo per eliminare critici e oppositori”.
E sul fronte delle libertà femminili?
“Questione complessa. Sulla carta il premier è a favore di una maggiore emancipazione. La sua battaglia per la liberalizzazione del velo islamico sarebbe allo scopo di permettere alle donne l’ingresso in università. D’altro canto le violenze domestiche restano un’emergenza drammatica. E nei mesi scorsi si è cercato di modificare la legge sull’aborto: la lotta delle donne ha sventato il tentativo di Erdogan, che si è dovuto limitare all’invito a fare almeno tre figli”.
Quali sono le questioni veramente in gioco nel conflitto di questi giorni?
“La questione è principalmente una: quella della democrazia. Erdogan è stato eletto democraticamente  tre volte, ma dal 2011, ovvero da quando  da quando sa che i militari possono ben poco, il suo regime è sempre più autoritario”.
Vorrei da te qualche immagine che può raccontarci la Turchia di questi giorni.
“Una volta durante una diretta radio ho parlato “Kurdistan”, e un uomo che mi stava ascoltando mi ha corretto: il Kurdistan non esiste. Quanto ai giovani di Gezi Parki, me l’hanno detto con estrema chiarezza: vogliamo una democrazia vera, né Erdogan né i militari. E poi un ricordo. Quella volta, anni fa, che ero molto preoccupata per la salute di mio padre. Vedendomi rattristata, il titolare di un negozio vicino al dormitorio dove vivevo (per un anno e mezzo ho vissuto in dormitori per studenti) me ne ha chiesto il motivo. Gli ho spiegato il perché, e lui mi ha detto pregherò per tuo padre in moschea. Ancora oggi, quando mi vede, la prima domanda che mi fa è sulla salute di mio padre. E sono passati 6 anni. La Turchia è anche questo”.
Che cosa ti aspettavi dal governo italiano?
“Molto di più, sinceramente, e non da oggi. Idem dall’Europa. C’erano già molti segnali del crescente autoritarismo di Erdogan“.
Le piazze di Istanbul somigliano più a quelle degli indignados o alle primavere arabe?
“A quelle degli indignados, direi. Ma credo che quello che si è visto a #occupygezi sia qualcosa di unico nel suo genere. C’è una parte di società civile turca che è tornata finalmente a vivere dopo anni di silenzio. Il semplice fatto di paoterlo raccontare è stata un’esperienza straordinaria”.