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economics, lavoro, Politica, WOMENOMICS Marzo 22, 2014

Il Popolo e gli Dei: come si riparte dopo la Grande Crisi

Il popolo e gli dei. Così la Grande Crisi ha separato gli italiani”.

Secco e apocalittico, il titolo del nuovo saggio (Laterza) di Giuseppe De Rita, presidente del Censis, acuto e appassionato osservatore delle trasformazioni della società italiana, e Antonio Galdo, giornalista, scrittore e direttore del sito web Nonsprecare.it, sembra ipostatizzare una lontananza irriducibile tra i gironi infernali dei sudditi e un’élite quasi divina, le cui ragioni coincidono in larga parte con le cieche leggi dei mercati finanziari.

In realtà la riflessione non si ferma alla diagnosi –perché “resistere non basta, e certamente non rende felici”-, ma sulla scorta di un cauto ottimismo va in cerca di quegli indizi, di quei desideri e di quei flebili segnali che indicano uno sviluppo possibile e delineano i contorni di “un nuovo sogno collettivo”. Anche in politica.

Cominciamo proprio di qui: se è vero che la “plutonomia” e gli algoritmi della finanza possono più dei parlamenti e dei governi nazionali, se J.P. Morgan, come gli autori raccontano, vede le Costituzioni democratiche come un ostacolo da rimuovere, vale ancora la pena di battersi per una buona politica?

L’antipolitica non ha ragione?

De Rita Più che buona politica serve politica. Punto. Una politica che sappia interpretare la società con i suoi bisogni e con le sue aspettative. Fatta di autorevolezza, competenza, professionalità, di regole e trasparenza nell’uso delle risorse.

Galdo Di fronte ai politici che fanno la fila per una comparsata in tv, mi domando: ma dove trovano il tempo per pensare, per capire quello che devono fare e per dare una risposta ai loro elettori?

 

Ma come si fa a riprendersi quella sovranità usurpata dal mercato finanziario?

D.R. Il potere cieco dei mercati ha creato più ingiustizie, separando il popolo e gli dei. Gli italiani in particolare sono vittime di un furto di sovranità. E questo genera invidia, rabbia sociale, malcontento: una miscela esplosiva per il Paese.

G. Servirà tempo per tornare a essere cittadini e non più sudditi, ma è una scommessa appassionante, specie per le nuove generazioni. Tocca ai giovani produrre una scossa. E per farlo qualcuno dovrà stare in campo, e non solo alla finestra o all’estero per fuggire dall’Italia senza futuro. Il destino di questi ragazzi è veramente singolare: hanno lasciato l’Italia in massa, spesso seguendo i consigli dei loro genitori che prima hanno impoverito il Paese e poi hanno suggerito ai figli di andarsene, mentre loro ci continuano a viverci bene.

 

Perché la conflittualità sociale non sa più esprimersi nelle forme che abbiamo conosciuto?

D.R. Abbiamo ridotto i partiti a tribù ad personam, senz’anima, senza identità, senza energia vitale. La rappresentanza sociale, dal sindacato alle associazioni degli industriali, si è staccata dalla realtà, magari per rincorrere qualche ambizione di carriera politica. Tornare sulle cose, sui problemi e sui luoghi del vissuto quotidiano è il primo modo per ricostruire le connessioni tra il popolo e gli dei, tra la società e la sua classe dirigente.

G. Lo sforzo collettivo per superare la Grande Crisi può favorire la riconciliazione tra gli italiani e le classi dirigenti. Siamo entrati in una fase nuova, molto interessante. C’è un ricambio generazionale, con la spericolata vittoria di Matteo Renzi. Le incognite sono tante, ma una cosa è certa: nulla sarà più come prima. E anche Renzi, insieme al suo futuro rivale del centro-destra, magari un suo coetaneo, capirà quello che diceva Aristotele: “Non c’è nuovo senza vecchio e non c’è vecchio senza nuovo”.

 

Solo il 41 per cento degli italiani crede che l’UE sia un bene: come convincere gli elettori a partecipare al prossimo voto europeo? Esistono le condizioni perché l’Europa cambi rotta sulle politiche di austerità?

D.R. Io credo nell’Europa dagli anni Cinquanta, e non sono mai stato un euroscettico. Oggi serve realismo e non utopia a buon mercato, che genererebbe solo ulteriore frustrazione. Agli elettori proverei semplicemente a dire la verità: abbiamo fatto molti errori nel processo di costruzione dell’Unione. Partiamo dai problemi che sono sul tavolo, dall’unione bancaria al coordinamento delle politiche economiche, e fissiamo traguardi possibili. Poi potremo parlare di piena integrazione e di Stati Uniti d’Europa.

G. Viva l’Europa possibile, con aspettative ragionevoli e con la necessità di un grande sforzo politico per l’Italia: essere un Paese credibile per costruire le alleanze necessarie e contenere l’egemonia tedesca. L’Europa che serve è quella che ridimensiona i dogmi dell’austerità e attiva le leve per lo sviluppo e la crescita economica.

 

Ritiene auspicabile e praticabile l’istituzione di un reddito di cittadinanza o di esistenza?

D.R. Se ne parla da troppo tempo per poterla considerarla una proposta praticabile. Mi sembra più uno slogan da campagna elettorale.

G. La modernizzazione dell’Italia passa anche per un welfare più equilibrato, dove sia cancellato il principio del “tutto a tutti” e dove le risorse siano destinate agli esclusi e non solo agli inclusi.

 

Nel saggio si sottolineano la vitalità della piccola media impresa, il ruolo preziosissimo della famiglia, il forte legame con il territorio: ma con l’abolizione delle province, l’indebolimento delle regioni, il depauperamento dei comuni la politica sembra andare in direzione di un neo-centralismo.

D.R. Il federalismo finora è stato un fallimento, con un aumento delle tasse e della corruzione e una caduta della qualità dei servizi. Ma si deve evitare l’errore di desertificare il territorio, con l’idea che l’Italia possa essere un paese governato solo da Roma.

G. Quanto alla famiglia, è in corso una vera rivoluzione negli stili di vita, a guida femminile. Vero che la crisi spinge a ridurre i consumi, ma anche che 3 famiglie italiane su 4 hanno ridotto gli sprechi nella spesa, dall’alimentare all’abbigliamento. Tutto sta cambiando velocemente: pensiamo alla nuova mobilità, e alla consapevolezza che la riqualificazione del territorio e del patrimonio culturale possono generare lavoro, benessere e nuovo sviluppo.

 

Quali sono le riforme che vanno messe prioritariamente in campo e che rimetterebbero subito in circolo fiducia, con effetti virtuosi?

 D.R. Sono molto perplesso di fronte al coro “servono le riforme”:  sempre le stesse parole, spesso prive di reali contenuti. Quali riforme? Se pensiamo a scuola e università, per esempio, ne abbiamo fatte anche troppe. Semmai servono semplificazione, una buona manutenzione della macchina pubblica, il ridimensionamento della burocrazia. Un lavoro quotidiano, anche minuto, ma faticoso e costante.

G. Apriamo le porte dei ministeri a una nuova generazione di dirigenti, capaci e con una sana ambizione di vita pubblica. Facciamolo subito, con un pacchetto di assunzioni trasparenti e veloci. In Italia la burocrazia è in mano a un gruppo di persone che blinda i ministeri, dove nessuno decide e nessuno agisce. Salvo il burocrate che vuole tagliare la gambe a qualcuno o aiutare l’amico.

 

Le donne sono uno tra i principali soggetti della ripresa possibile: 10 mila nuove imprese a guida femminile in un anno. Che cosa si può fare per sostenere questo desiderio e questo slancio?

 D.R. La nuova imprenditoria femminile è uno dei segnali più promettenti, parte di un nuovo ciclo di sviluppo che va sostenuto, per esempio con incentivi e finanziamenti per chi guarda ai mercati internazionali. I settori più vitali della nuova imprenditoria femminile vanno dal turismo di qualità all’enogastronomia, dall’industria del benessere all’agricoltura biologica, e poi l’artigianato, dal tradizionale al digitale: ambiti per i quali c’è domanda, in Italia e all’estero, e che creano lavoro. Le donne dimostrano di avere lo sguardo giusto.

G.  Le donne marcheranno il cambiamento dell’Italia, e non solo in economia. Anche questo è un segnale di cauto ma significativo ottimismo. In America sono ormai molte le donne ai livelli più alti: Mary T. Barra, ceo di Gm, Janet Yellen, numero uno della Federal Reserve. E forse, tra non molto, la signora Hillary Clinton alla Casa Bianca. Un vento che non può non spirare anche in Italia.

 

Infine, la formazione: quali canali si potrebbero attivare tra le nostre eccellenze e i giovani, per un passaggio efficace di esperienza e competenza?

 G. Basterebbe copiare un sistema che funziona, come quello tedesco: in Germania il tasso di disoccupazione è al 7 per cento contro il nostro 40. La metà dei ragazzi frequenta un corso di formazione professionale, e in maggioranza trovano un lavoro nel giro di 3 mesi. Ben altra cosa rispetto agli sprechi e all’inefficienza della formazione nelle nostre regioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, economics, Politica Aprile 11, 2013

La politica che verrà

 

Alex Langer: “Continuate in ciò che era giusto”.

La grande condivisione del mio ultimo post, quello su Vandana Shiva e Davide Serra (rimbalzato al momento su oltre 7000 pagine di social network, tra Facebook e Twitter) sinceramente mi ha un po’ sorpreso. Si vede che i tempi sono finalmente maturi, mi sono detta. Alcune delle cose che ho scritto lì arrivano dritte dal mio ultimo libro “Un gioco da ragazze”, che ho scritto nel 2011. Sono già state profondamente dibattute e, tra l’altro, fanno parte del patrimonio vivo del pensiero della differenza femminile. Ma forse il momento giusto per dirle è questo, con un terribile 2012 alle spalle e nel corso di un 2013 ancora più faticoso.

Mi riferisco a un’altra idea di economia e in definitiva a un’altra idea di mondo. Penso all’amico Alexander Langer che, generalmente inascoltato, più di vent’anni fa diceva cose come queste:

Il piccolo potere è il potere del “consumatore”… Qualcuno dovrà pur cominciare, e indicare e vivere un privilegio diverso da quello della ricchezza e dei consumi: il privilegio di non dipendere troppo dalla dotazione materiale e finanziaria”.

Una scelta di espansione … è una scelta di riarmo. Una scelta di contrazione è una scelta di disarmo”.

Esiste un “impatto generazionale di tutto ciò che noi facciamo, sia a livello macrosociale che micro sociale”.

Si tratta di “perdersi per ritrovarsi… Se non si trovano nel presente (per esempio nel rapporto di amore) sufficienti ragioni per volere un futuro, non vi potrà essere nessuna astratta ragione, nessun rapporto del Club of Rome o delle Nazioni Unite”.

Ecco, oggi sta succedendo precisamente questo, ci stiamo faticosamente perdendo per ritrovarci, siamo in cammino, e ho fiducia che un bel pezzo l’abbiamo fatto, perdendo molti pezzi per strada, e forse anche tante zavorre inutili. A quanto vedo, oggi siamo in tanti a condividere il desiderio di vivere in un modo diverso, di vedere in azione un’altra politica, un’altra economia, di partecipare all’edificazione di un’altra civiltà. Questo è il modo in cui intendiamo ritrovarci.

Ho immaginato un prossimo scenario politico che potrebbe vedere contrapporsi chi, come Davide Serra e i suoi amici, pensa a questo mondo come l’unico possibile, eventualmente con qualche Tobin Tax a temperarne gli eccessi. E chi invece, come Vandana, come Alex, e come tanti altri, e in particolare altre, testimoniano già la praticabilità e l’urgenza di una vita più semplicemente e immediatamente giusta e felice per il maggior numero possibile dei viventi, in cui non siano più le logiche della finanza e l’interesse dei pochissimi a tenere il mondo in ostaggio.

Poi chiamamola destra e sinistra, oppure vecchio e nuovo -le età anagrafiche, come si vede, non c’entrano, e anzi possono ingannare-, oppure politica giusta e politica ingiusta, o non chiamiamola affatto. Quello che conta è non perdere la fiducia.

Forse è la prima volta che guardando la faccia di Alex ho voglia di sorridere e non mi arrabbio con lui.

“Continuate in ciò che era giusto”, ha lasciato detto. Oggi ci stiamo provando finalmente in tant*.

 

 

 

Donne e Uomini, economics, Politica, WOMENOMICS Settembre 4, 2012

Tutte al Mercato con Angela

angela merkel al supermarket

Magari l’ha detto perché si trovava in Baviera, aveva bevuto un paio di birre, e un po’ di populismo ci stava. O perché in fondo lo pensa pure lei, e non ce l’ha più fatta a tacere. O perché è una donna, e si è ricordata di esserlo, e non sono state certo le donne a inventarsi il neoliberismo e la speculazione finanziaria ammazzapopoli.

Certo che sentire Angela Merkel, non Naomi Klein, non una di Occupy Wall Street, dire che “i mercati sono contro la gente”, che hanno autorizzato pochi ad arricchirsi a spese di quasi tutti (99 a 1, insomma), che bisogna portare anche lì “lo spirito dell’economia solidale“, che i paesi deboli meritano la nostra solidarietà, che è per liberarci tutti dal potere dei mercati che “la Germania deve premere per le riforme, anche se a volte siamo severi”, be’, sentirle dire tutto questo fa una certa impressione.

In verità qualcosa del genere le era già scappato, lo scorso ottobre al congresso della Csu a Norimberga (bisogna porre un limite ai mercati, «affinché non possano rovinare le persone») e a novembre a quello della Cdu a Lipsia («l’economia e la finanza devono essere al servizio delle persone e non il contrario»), ma a quanto pare questa non è una settimana come le altre, e le conseguenze potrebbero essere di un certo rilievo.

Forse Merkel pensa che sia il momento giusto per fare intravedere dell’altro, per introdurre omeopaticamente nelle logiche dei governi una quota di no-globalism, forse è solo che la Germania andrà al voto, forse è che anche lei non crede più del tutto alla Necroeconomia.

Io comunque sono contenta di quello che ha detto, mi pare una novità promettente, mi aspetto azioni politiche conseguenti, e spero che l’amica teologa e casalinga svizzera Ina Praetorius -ma nata in Germania, a Karlsruhe- sappia cogliere l’attimo, le invii una copia del suo “Penelope a Davos”, che vada personalmente a trovarla per dirle che «un ordine che sia stato costruito […] è logicamente anche modificabile», e vale anche per il neoliberismo.

Se ci va la accompagno.

economics, Politica Luglio 23, 2012

In cantina, sotto le bombe

Ti alzi la mattina e senti suonare l’allarme, e fai a malapena in tempo a scappare in cantina prima che le bombe ti cadano sulla testa: il differenziale tra Btp decennale italiano e Bund tedesco a 528 punti, lo spread tra i Bonos spagnoli e i Bund al record di 635 punti; Piazza Affari a -2,33 per cento. A Francoforte il Dax perde l’1,26 per cento e a Parigi il Cac 40 lascia sul terreno l’1,60 per cento, Madrid è a -3,25 per cento.

Guardo l’intervista a un commerciante spagnolo: “Il fatto” dice “è che noi non la capiamo, questa crisi. Non sappiamo che cosa si deve fare. Ci dicono: credete agli economisti. Ma come facciamo a crederci? Se gli economisti sapessero fare il loro lavoro avrebbero avvisato i governi per tempo. Sono loro ad averci portato in questo baratro. Come possiamo credere che saranno loro a tirarcene fuori?”.

Quello che ci chiediamo, mentre stiamo giù in cantina, è che cosa NOI possiamo e dobbiamo fare. Che cosa ciascun* di noi può e deve fare e che non sia una mera scarica motoria. Se ha senso affidarsi alle soluzioni di quell’economia che ha fallito, alle cure di quello stesso medico che ci ha fatto ammalare.

In che direzione dobbiamo spingere? Dove dobbiamo andare? Qual è la sponda alla quale approdare? Perché ci lasciano senza altro orizzonte se non quello di una “ripresa della crescita”? Che cosa dovrebbe riprendere a crescere?

Che cosa io, tu, noi, voi dovremmo e potremmo fare, in una giornata come questa?

AMARE GLI ALTRI, economics, esperienze Giugno 16, 2012

99 a 1: all’osso, solo egoismo

Leggo sul “Sole 24ore” un articolo di Alfonso Berardinelli che comincia così: “Di tutte le parole che possiamo scrivere con la maiuscola sarebbe bene diffidare: contengono quasi sempre un pericolo di retorica e pretendono un rispetto che la loro astrattezza illusionistica non merita. Essere, Stato, Mercato, Rivoluzione, Patria, Partito eccetera: in ognuno di questi temi è nascosta qualche trappola”.

Lui dedica la sua digressione alla Poesia. Io invece, tra le parole maiuscole che lui indica, prenderei per esempio Partito e Mercato. Di una certa attualità, mi pare. Per provare fare, intorno a questi due muri che non si lasciano scalfire, un ragionamento che chiamerei “riduzione all’atomo”.

I partiti non cambiano, non si innovano, frenano il cambiamento. Come ogni istituzione di potere (cosa ben diversa dalla politica), non hanno alcun interesse a muovere e a cambiare. Il potere è un trattenimento, un ingorgo di energia. Ogni minima variazione può comportare smottamenti e perdite.

Questi partiti sono fatti di uomini che in gran parte dei casi, come si vede bene, pur di salvare se stessi mettono a repentaglio la vita del partito. E di conseguenza la vita della nostra democrazia, che sulla dialettica tra partiti si è sempre basata. Può essere che impareremo a farne a meno, ma al momento l’alternativa è ben poco chiara.

Questi uomini sono i veri antipolitici. Ridotto all’atomo, il problema dei partiti è solo egoismo personale.

Si può ragionare allo stesso modo sul Mercato, sull’Economia, sulla Finanza. Su quel Moloch invisibile e invincibile che sta sbranando le nostre vite. All’atomo, nient’altro che questo: l’egoismo di alcune migliaia di persone del pianeta. Straricchi che diventano sempre più ricchi, al soldo del Denaro, divorando e distruggendo risorse e affamando il resto del mondo.

Secondo l’ultimo Global Wealth Report, mentre alcuni stati sono sull’orlo del default, il patrimonio degli investitori privati è salito quest’anno a 122,8 bilioni di dollari. Più o meno il doppio del Pil dell’ultimo anno di tutte quante le nazioni della Terra messe insieme.

Nient’altro che egoismo, quindi. Nient’altro che miseria spirituale produttrice di infelicità. Poche migliaia di persone che ne affamano miliardi.

A me pare che, messe in questo modo, le cose assumano un altro aspetto. E che ciò aiuti a sentirsi molto meno impotenti.