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emancipazione

bambini, Corpo-anima, donne, Femminismo, gender, sessualità Dicembre 13, 2020

Trans-ragazze: la nuova anoressia

Le boomer hanno cercato di sfuggire alla miseria femminile ricercando la parità e l’androginizzazione simbolica. Una sorta di disforia politica. Le anoressiche hanno lavorato direttamente sul corpo. Le ragazze che transizionano portano ad apparente perfezione questo lavoro sul corpo femminile usando le nuove tecniche degli ormoni e della chirurgia. Il corpo femminile come campo di battaglia

bambini, Donne e Uomini, economics, giovani, lavoro Agosto 28, 2013

Il successo non è obbligatorio: primum vivere

Una delle convinzioni da eradicare, a questo giro di boa, insieme a quella che ci sia una “generazione perduta” (vedi qui), è quella che tutte e tutti debbano perseguire il successo, e ovviamente esibirlo.

Ieri leggo un titolo malcelatamente trionfale su Repubblica: “Contrordine ragazze. E’ meglio la famiglia”. Dove si racconta che le giovani millennials britanniche, ovvero le ragazze nate tra l’85 e il 94, lavorano meno delle loro sorelle maggiori dieci anni fa, e se possono fanno i figli presto e se li curano personalmente. Non solo crisi, ma anche il crescente convincimento, rilevato dai sondaggi, che è meglio che un figlio te lo tiri su, anziché mollarlo al nido o a una sequela di baby sitter.

Il fatto è 1. che queste ragazze sono state bambine cresciute nei nidi e con le nanny, e nessuno ha maggiore competenza in materia: vogliono dare ai figli quello che loro non hanno avuto. 2. la pena e la fatica delle loro madri, sbattute tra sogni di carriera e sensi di colpa nei riguardi della famiglia l’hanno vista da vicino, e non hanno alcuna intenzione di ridursi pure loro come stracci. 3. la loro identità, come del resto quella dei loro coetanei maschi, non è più affidata in via esclusiva al lavoro, che viene fortemente smitizzato -e del resto non è facile mitizzare un lavoro precario e volatile- torna a essere, molto semplicemente, un modo per campare, possibilmente con qualche significato. La vita è altrove e il successo -più su, sempre più su- non è un obbligo. E per fare i figli è meglio non aspettare i 45 anni.

Queste piccole e dispettose post-emancipate non stanno dicendo affatto che “è meglio la famiglia” (e il maritino da baciare sulla porta alle 8 del mattino, e il twin-set con le perle, e tutti felici per il ritorno ai bei vecchi tempi). Stanno dicendo: primum vivere (deinde laborare). Stanno cioè indicando non un rassicurante coming back home, ma il pericoloso desiderio di un lavoro più prossimo e più simile alla vita: quindi la necessità di disorganizzarlo e riorganizzarlo secondo tempi e modi più femminili.

Il movimento storico è stato questo: accesso delle donne al lavoro retribuito (di quello non retribuito siamo campionesse da sempre); sogni di gloria, di carriera e di successo secondo i modi degli uomini (e teste sfondate sui glass ceiling, e vite sfracellate); desiderio di un lavoro finalmente bio-compatibile, che comprenda anche il fatto di non dover sbattere fordisticamente il tuo mocciosetto urlante di pochi mesi in mezzo ad altre decine di mocciosetti urlanti di pochi mesi in un’aula con i pupazzoni disegnati sui muri dalle sette del mattino alle sei del pomeriggio.

Tenerne conto quando -e se mai- si ripenseranno i servizi per le giovani madri: la vecchia e usurata idea di conciliazione è da buttare alle ortiche. Va messo in piedi qualcosa di meglio.

 

Donne e Uomini Dicembre 12, 2009

COL SENO DI POI

Abreast

Mi pare una cosa sensata che prima dei 18 anni non ci si possa rifare il seno (salvo malformazioni). E tuttavia l’idea che la cosa sia proibita per legge mi dà una certa inquietudine.

Intanto bisognerebbe sapere quanti interventi di mastoplastica vengono eseguiti su ragazze minorenni -vorrei vederli in faccia, quei chirurghi, e i genitori che autorizzano-: suppongo o almeno spero che non siano molti. Ma paradossalmente questa cosa dei 18 anni fa diventare il maxi-seno un oggetto ancora più desiderabile, un regalo molto gradito per il diciottesimo, insieme alla prima macchinina: magari con il contributo degli amici, che fanno colletta per l’acquisto protesi. Insomma, la cosa risulta in qualche modo normalizzata. E che una ragazza si conquisti una quarta misura a 21 anni anziché a 17 alla fine non cambia le cose, perché non lavora sulla qualità di questo diffusissimo desiderio.

Quello che si desidera, infilandosi un seno oversize -che nel corso della vita andrà più volte espiantato e reimpiantato- è corrispondere perfettamente a quelle che si ritengono essere le misure dello sguardo maschile: mai sotto la terza, e sempre con push-up. Non è una conquista di femminilità ma una fuga dal femminile, un adeguamento a un’idea del corpo che non è la nostra, alla quale ci si sottopone con realismo: il mondo è degli uomini, e quanto più gli piaceremo e li compiaceremo, tante più chances di esistere avremo. Non come donne, che danno sempre un po fastidio, ma come zelanti travestite.

Diciamo così: una legge che impedisca di rifarsi il seno prima dei 18 sarebbe simbolicamente vantaggiosa perché rivelerebbe quello che è difficile da capire. E cioè che rifarsi il seno è una tattica emancipatoria, che le rifatte sono delle emancipate -un po’ perverse, ma emancipate-, ovvero donne che si liberano della schiavitù costituita dall’essere nate donne adottando perfino uno sguardo maschile su se stesse.

Un autogol, in definitiva. E poi, ragazze: che uomini sono quelli che vi vogliono solo dalla terza in su? Vi piacerebbero davvero, quelli a cui cercate con ogni mezzo di piacere?

Donne e Uomini Settembre 25, 2009

AHI, CONCITA…

Ieri sera ad Annozero, Concita De Gregorio, direttora dell’Unità: “E dato che sono l’unica donna presente… Essendo donna, mi tocca fare anche questa parte (ovvero parlare del fatto che nell’affaire Tarantini, le donne e la cocaina fanno parte di un unico pacchetto-offerta a scopo di pubbliche relazioni, eccetera).

Come dire: “Finora ho parlato a prescindere dal fatto di essere donna, nonostante il fatto che lo sono, ma essendolo, devo dire che…”. Come dire: in genere non parlo da donna -e da che cosa, allora?- ma essendo in aggiunta anche questo, mi tocca dire… Ma che cos’è quello che si è, prima di fare questa aggiunta? quando si è donne ma non se ne tiene conto?

Come dire: da donna, si può parlare -e fare- non tenendo conto del fatto di esserlo, oppure tenendone conto, a scelta, on-off. Ma quando una donna prescinde dal fatto di essere donna, quando non fa quella parte, accidenti, che cos’è?

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Aprile 21, 2009

SFIGURATE

Il nome non lo faccio, sarebbe una querela certa. Posso solo dirvi che pur avendo ormai fatto una certa abitudine, come tutti, agli sfiguramenti da silicone e materiali affini, quando l’ho vista mi è preso un colpo. Quella ex-bellissima ragazza dell’Est, già moglie di un orribile e famoso s-pregiudicato, il viso delicato già rigonfio di sostanze e oggi ancora più gonfio e tumefatto. Un pallone da baseball, le guance come glutei, la bocca pietrificata in una smorfia inerte. Quei lineamenti convessi che oggi dicono che stai invecchiando, e male. Una, insomma, a cui è capitato qualcosa di brutto: un incidente, una grave malattia, o cose del genere.
Credo che la psicosomatica sostanziamente ci azzecchi, e quando vedo qualcuna –oggi se ne vedono tantissime- che sembra incidentata o malata, sia pure per sua scelta, penso che qualche dolore o qualche incidente ci sia effettivamente stato: ma di che tipo? Quale male, quale disgrazia l’hanno ridotta così, complice un chirurgo cinico e baro? Di quale sofferenza ci sta parlando la sua faccia? Alla ragazza che dicevo, poverina, in effetti il marito ne ha fatte tante: la qual cosa, non c’è dubbio, aiuta. Ma penso che il fatto di base sia un altro. E cioè che le sfigurate siano in realtà delle super-emancipate. Donne che si sono omologate al sesso maschile al punto tale da assumere la questione nella carne.
Le emancipate di solito le pensiamo androgine, scabre, zero orpelli femminili. Ma le sfigurate costituiscono un passo avanti nella fenomenologia dell’emancipazione. Fanno molto meglio perché arrivano perfino a guardarsi con gli occhi degli uomini, scolpendo docilmente nella loro carne, un intervento dopo l’altro, il più dozzinale sogno erotico maschile: iper-seni, bocche sempre pronte a una fellatio, facce da fumettaccio porno… Travestite. Cose tra uomini, e per uomini. La femminilità definitivamente fatta fuori, come un miserevole ingombro.
Il male alla base è questo: l’orrore per se stesse come donne. E’ questa la disgrazia che è capitata. La faccia della sfigurata è quella di una resa definitiva. E se guardandola ci immalinconiamo, è perché in lei è incarnata tutta la tristezza di un mondo in cui il femminile e il suo splendore non esistono più.
(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 18 aprile 2009)

Archivio Settembre 13, 2008

GIRO DI BOA

aCibo e bellezza a parte, noi europei del Sud il “complesso del Nord” l’abbiamo sempre patito. Che politica, che welfare, e che parità! Noi, invece, con tutte le nostre magagne… In fatto di emancipazione e di uguaglianza tra i sessi gli anglosassoni sono stati i primi: donne=uomini, nessuna differenza. Ma adesso stanno cambiando idea. Noi al Sud, in ritardo di almeno vent’anni, tutti presi a dotare ogni ente pubblico, dai municipi alle assemblee di condominio, di organismi pari-opportunitari. Lassù invece si cambia rotta. Storico giro di boa. E se il modello parità-emancipazione entra in crisi proprio lì, dove è stato inventato, allora è solo questione di tempo, è fregato all over the world.
Una recente ricerca della Cambridge University rivela un deciso cambio di umore degli inglesi verso l’uguaglianza di genere: se nel 1994 il 50 per cento delle donne e il 51 per cento degli uomini ritenevano che la vita familiare non soffrisse del fatto che le donne lavoravano fuori casa, nel 2002 lo crede solo il 46 per cento delle donne e il 42 per cento degli uomini.
Tra allora e oggi un decennio di spaventose fatiche femminili, di azzardi ed equilibrismi: il famoso doppio ruolo. Figli tirati su in qualche modo, uomini che in casa non muovono un dito, ménage familiari a dura prova: ne valeva la pena? Davvero donne e uomini sono intercambiabili? Cala anche il numero di cittadini convinti del fatto che per le donne l’unica strada di realizzazione sia la carriera. Il tipo career woman-super mom è sotto attacco.
Negli Stati Uniti, dove l’emancipazione è stata una fede, il cambiamento è anche più vistoso: la percentuale di americani convinti che le donne possano lavorare 8 ore senza che la famiglia vada a rotoli precipita dal 51 al 38 per cento. In controtendenza la Germania, dove la simpatia per le politiche ugualitarie invece è in ascesa: nel ’94 solo il 24 per cento dei tedeschi pensava che la moglie-mamma al lavoro non avrebbe sfasciato la famiglia, nel 2002 la percentuale sale al 37 per cento. E con ogni probabilità in tutto il Sud-Europa il trend è questo.
Spiega la sociologa Jacqueline Scott, che ha coordinato la ricerca di Cambridge: “I tre paesi stanno probabilmente vivendo stadi diversi del ‘ciclo di simpatia’ per l’uguaglianza di genere. I tedeschi hanno abbandonato i ruoli tradizionali più tardi (come noi italiani, ndr), di conseguenza non si sono ancora imbattuti nella reazione anti-working mother. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti, invece, dove le politiche pari-opportunitarie sono più antiche, la gente comincia a cambiare idea”.
Tendenze e controtendenze rilevabili anche nel nostro “piccolo” italiano: se la spinta maggioritaria è per la parità, per la piena occupazione femminile e per un welfare di impostazione tradizionalmente “fordista” (servizi rigidi per mamme che lavorano 8 ore), cresce il numero di quelle che hanno sempre tenuto duro sulla differenza di genere, o che l’hanno riscoperta; che promuovono una diversa concezione del lavoro, all’insegna della flessibilità, della creatività e dell’invenzione di spazi e tempi più congeniali; che hanno un’idea più complessa e articolata di welfare e mettono al centro il lavoro di cura e d’amore. Un “ritardo”, il nostro, che oggi potrebbe diventare una risorsa.
Quel che è certo, dalla ricerca di Cambridge non si può dedurre opportunisticamente che le donne vogliano “tornare a casa”. L’ideologia del “coming back home” non parla dei desideri delle donne, ma solo degli auspici dei tradizionalisti. Lo confermano altri passaggi della ricerca, in apparente contraddizione con l’insofferenza anti-paritaria rilevata prima. Solo il 41 per cento degli intervistati e il 31 per cento delle intervistate, infatti, è d’accordo con l’affermazione “tocca all’uomo portare a casa lo stipendio, mentre la donna sta a casa a guardare i bambini”. Nel 1987 i favorevoli erano rispettivamente il 72 e il 63 per cento.
Le donne vogliono lavorare. E’ impensabile che rinuncino al lavoro. Ma vogliono potersi organizzare a modo loro: è più facile rispedirle in cucina che assecondare la loro volontà di cambiamento. Quello che vogliono riportare a casa è l’enorme quantità di energie spese ogni giorno nell’adeguarsi a modelli maschili di organizzazione dello spazio e del tempo, della vita e del lavoro.
Nessuna economia nazionale, del resto, potrebbe fare a meno di loro. In Italia +100 mila donne al lavoro, come ha valutato Maurizio Ferrera, autore di “Il fattore D”, farebbero un + 0.28 di Pil. Dice Jo Causon del Chartered Management Institute, associazione dei manager britannici: “Per la nostra economia è impensabile non avere donne al lavoro. Oggi sono il 45 per cento degli occupati. In un momento di crisi come questo non possiamo permetterci di rinunciare alle loro capacità. Il 79 per cento delle aziende ha il problema di reclutare talenti e il 75 per cento si danna per riuscire a trattenerli. Si deve trovare il modo per corrispondere alla richiesta di flessibilità che proviene dalle donne. E anche dagli uomini”.
Nel cassetto del governo inglese tre nuovi provvedimenti: orario flessibile per chi ha figli fino ai 16 anni, prolungamento del congedo di maternità da 9 a 12 mesi e possibilità per la madre di trasferire al padre gli ultimi 6 mesi di congedo. “Flessibilità” sembra essere la chiave universale, per quanto in ritardo. Ma quello che ci vorrebbe è una vera rivoluzione nel modo di pensare e organizzare il lavoro e la vita. Kat Banyard, a capo della Fawcett Society, antico istituto delle suffragette inglesi, parla di necessità di una “trasformazione radicale”, contro la cultura del “tempo pieno”.
Il lavoro è senza dubbio il pensiero che la politica del prossimo decennio ha da pensare. E’ lì, nel punto di snodo tra lavoro e vita, che vedremo i cambiamenti più straordinari, promossi in primis dalle donne. E forse per una volta saremo noi europee del Sud, che per circostanze sfavorevoli e anche per cultura non ci siamo mai fatte prendere del tutto dall’emancipazione, dalla parità e dalla carriera, tenendo duro sulla differenza femminile, ad avere qualcosa da insegnare, qualche spunto e qualche ricetta (anche di cucina, why not?) da offrire alle amareggiate sorelle del Nord.

CASALINGHE FORSENNATE

Ragazze vestite come casalinghe anni Cinquanta che preparano torte per strada; tè delle cinque in stile burlesque, happening a metà tra l’artistico e il politico: in tutto il Regno Unito, da Londra a Brigthton, fiorisce il movimento delle giovani “domestic artist”. Le virtù femminili tradizionali brandite come strumenti di ribellione. Spiega Jazz D Holly, 24 anni, presidente delle Shoreditch Sisters: “Detesto l’idea di essere la copia di un uomo. E’ una cosa che sta gravemente danneggiando l’autostima di noi donne”. Figlia di Joe Strummer dei Clash, il mitico gruppo punk, Holly spiega  di avere avuto un’infanzia molto caotica. Per lei trasgressione non è bere e drogarsi, ma fare la maglia e cucinare, attività sovversive ed  “empowering”.

(pubblicato su “io donna” – “Corriere della Sera” il 13 settembre 2008)

Archivio Giugno 4, 2008

Hillary: un non-sogno finito

Erica Jong dice che questo dovrebbe essere un giorno di lutto per tutte le donne. In parte si deve darle ragione. Con la sconfitta di Hillary muore una speranza che in realtà non è mai del tutto nata, un sogno che le donne non hanno abbastanza sognato. La sua candidatura non è mai stata sostenuta da un forte movimento femminile. Hillary ha ballato da sola, e molte cose non le sono state perdonate. L’essere la moglie di un presidente, per cominciare. Ma soprattutto la qualità “maschile” della sua straordinaria ambizione, tutta una vita giocata su questo tavolo.
Simbolicamente con Hillary muore l’emancipazione, affonda definitivamente la nave che ci ha portate tutte fin qui, e che merita senz’altro bandiere listate a lutto, ma che è pronta per essere smantellata, perché non ci potrà condurre un solo miglio più in là.
Da oggi la domanda sul potere delle donne, sulle sue regole e sulla sua morfologia, diventa ineludibile. La ricerca si fa più stretta, improrogabile, consapevole. Si tratta di sapere e voler vedere che cosa nasce, in questo giorno di “lutto”. E io credo che da questa disillusione definitiva possa anche nascere più libertà femminile.