Certe volte ascolto parlare degli uomini di Chiesa, e sento nelle loro parole una volontà che coincide con la mia. E’ successo di recente, in una edificante conversazione con il Patriarca di Venezia Angelo Scola: in lui ho trovato un uomo che ascolta. E due giorni fa, nel corso dell’incontro tra il cardinale Tettamanzi, uomo molto spiritoso, e i giornalisti milanesi: quell’invitarci all’attenzione a ciò che va, alle notizie positive, alla buona novella, a quello che io tante volte qui ho chiamato “fare pubblicità al bene”. Tante cose politiche -come il richiamo ai fondamentali dell’esistenza, all’apertura all’altro, a un’economia più umana, a un profitto regolato- in cui mi sento perfettamente rappresentata, e con me tante donne con cui rifletto politicamente. Tanto che mi viene l’astrusa fantasia di una Santa Alleanza: tra la Chiesa e le donne. E gli uomini di buona volontà.
Sfoglio rapidamente le pagine di un quotidiano qualsiasi, in un giorno qualunque. Rapido colpo d’occhio ai titoli: “basta”, “uccisa”, “nemico”, “irresponsabili”, “senza freni”, “problema”, “rischia”, “fucili”, “manipolati”, “smembrare”, “odio”, “agguato”, “rivalità”, “addio”, “killer”, “morti”, “muore”, “coltello”, “guai”, “insoddisfatti”… Provate a rovesciare i termini nei loro contrari: “ancora”, “viva”, “amico”, “responsabili”, “moderati”, “opportunità”. E ancora “amore”, “nasce”, “soddisfatti”.
L’effetto che fa è addirittura fisico. Prima serie: diaframma contratto, respiro corto, irrigidimento muscolare, spalle alzate in difensiva. Seconda serie: pupille che si dilatano, pressione che scende, respirazione addominale, rilassamento, fiducia.
Leggo qualche settimana fa in “Est/Ovest”, rubrica firmata su queste pagine da Franco Venturini, che il Senato romeno ha approvato all’unanimità una norma che impone a tg una quota di buone notizie. Provvedimento assurdo, certo, e per almeno due ragioni: non si deve imporre mai nulla, in particolare quando si tratta di informazione; non è sensato guardare al mondo come divisibile tra bene e male. In realtà, e il collega Venturini lo sa molto meglio di me, l’applicazione di una quota di “buone notizie” –in gergo “colore”, “costume”, “rosa”, “gossip”- è pratica corrente nei mezzi di informazione. Compito di alleggerimento che spesso viene affidato alle cose di donne, o più semplicemente all’esibizione del corpo femminile, intero o in quarti.
Nei giornali pensati da-e-per uomini ma sempre più letti e-ahimè- ancora troppo poco scritti da donne, che il femminile venga individuato come correttivo ha una sua plausibilità. Ma ci si deve intendere: non è che le donne vogliano o portino solo “buone notizie”. Le donne –e penso ormai anche un gran numero di uomini- vogliono semmai poter vedere il bene che c’è in ogni cosa che capita, buona o cattiva che sia. Per dirla in modo un po’ più complicato, vogliono vedere le cose dal punto di vista di ciò che nasce. Dalla parte della nascita, come diceva Hanna Arendt. Non c’è mai una notizia solo e assolutamente cattiva. Bene e male sono inestricabili. Si tratta di torcere la notizia verso il bene che inevitabilmente contiene, di spremerne tutto il bene e la speranza. Di portarla via alla morte. Di saper resistere al male, e al suo fascino.
(puublicato su “Io donna”-“Corriere della Sera” il 23 agosto 2008)
Ho scritto un libro, l’anno scorso, e mi pare la cosa sia abbastanza riuscita. Un libro riesce, mi sembra, quando arriva a formulare almeno una buona domanda. Una buona domanda è sempre qualcosa di vivo, che urge, chiede di essere ascoltato, e ti lavora silenziosamente dentro. La domanda qui alla fine è stata: che cos’è una donna? “Come si fa a diventarlo?”: a un dibattito una ragazza l’ha messa in questo modo.
Una donna, per esempio, è una che ogni mattina fa ordine, rimette a posto il mondo, lo fa risplendere di nuovo. Asseconda l’armonia, partecipa al suo disegno. Fa molta più fatica a farlo, sommersa com’è dalle cattive notizie: sapete, secondo un modo molto vecchio di vedere le cose, le uniche news sono le bad news. Una donna invece è una che cerca buone notizie, notizie in cui si annuncia qualche nascita, notizie che ti fanno sorridere e respirare.
Non si tratta di selezionare solo cose buone. Non ci sono mai cose assolutamente buone e cose assolutamente cattive. Si tratta di prendere quello che capita e scovare il suo buono, il suo punto di nascita. E di lì cominciare a ritessere, a fare ordine, con allegria.
Quando si parla di giornalismo, ci si concentra troppo su cose tipo: su carta o online? dove sta il futuro della notizia? Il futuro della notizia, io credo, sta nel torcerla ogni volta in direzione del bene. Di cercare sempre il bandolo che ti consente di farlo. Di resistere al fascino del male.