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economics, Politica Luglio 29, 2015

Se la crescita non cresce

Secondo il Fondo monetario internazionale c’è la possibilità che il tasso di disoccupazione in Italia torni ai livelli pre-crisi solo tra 20 anni. Il problema, dice Christine Lagarde, è sempre quello: un basso livello di crescita. Il Ministero dell’Economia replica che la stima del FMI per l’Italia non tiene conto delle riforme strutturali già introdotte (per esempio la riforma del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro) né di quelle in corso (per esempio l’efficientamento della pubblica amministrazione). E ok.

Ma io credo che quasi nessuno di noi ormai capisca più bene che cosa si intenda quando si parla di crescita.

Certo: un po’ di lavoro in più, certo, e magari un po’ di tasse in meno comporterebbero un po’ di consumi in più. Fin qui ci si arriva: se ci danno un po’ di fiato forse finalmente cambieremo la lavatrice.

Ma basta osservare il comportamento dei nostri ragazzi, nati e cresciuti nell’iperconsumo, gelati dalla crisi e impegnati in una lotta individuale di liberazione dai bisogni indotti dall’impero delle merci –clandestini a bordo, li ho chiamati, come Leo Di Caprio-Jack Dawson in “Titanic”- per rendersi conto del fatto che i livelli di consumo e di crescita ritenuti ottimali dal Fmi non li raggiungeremo mai più.

Jeremy Rifkin dirige la Foundation on Economics Trends di Washington ed è consulente di molti governi europei. Che a quanto pare non gli danno troppo retta quando lui dice che siamo a una svolta epocale e che l’era dell’iperconsumo è proprio finita. La gente vuole stare leggera, liberarsi delle cose superflue e dei bisogni indotti perché ha capito che consumare costa molto e rende poco.

Il modello pre-crisi non è in stop tecnico: è proprio esploso. La crisi è questa esplosione.

Perché allora, mi chiedo, si continua a darsi come obiettivo quello di “tornare ai livelli pre-crisi”?

Perché, nel fare e rifare i conti, ci si ostina a non tenere conto di quello che è irreversibilmente cambiato –la produttività del lavoro, la propensione ai consumi, e anche i criteri di sostenibilità ambientale-, e tenendo insieme con realismo questi fattori, non si concepisce un modello più ragionevole, più equo e perfino più felice?

E perché Christine Lagarde non approfitta del fatto di essere donna, e non prova a metterci un po’ di sapienza femminile?

 

 

Corpo-anima, economics Novembre 7, 2011

Crescita: e di che cosa?

Che cos’è precisamente questa crescita che si continua a invocare? A noi umani ordinari a volte pare che si stia parlando soprattutto di crescita dei consumi. E che cos’altro cresce, quando crescono i consumi: cresciamo noi? evolviamo come esseri umani? decresce la nostra infelicità? cresce la bellezza, la bontà, il benessere, l’allegria? cresce la qualità delle relazioni umane? o invece crescono solo i soldi, i profitti di pochi?

Questa parola, crescita, a tratti suona come un ordine, come una minaccia. Tornare ai livelli di crescita, rilanciare la crescita. O crescita, o morte. Noi non-economisti non dovremmo permetterci di parlare di queste cose. Non è richiesto che diciamo la nostra. Dobbiamo limitarci a crescere e fare crescere, spingendo come ossessi in quell’unica direzione. Fare in modo che, anche diminuendo o non aumentando le entrate, non si riducano, e anzi crescano le uscite. Dobbiamo farlo per il bene del paese.

Oddio, non che sia semplice. Ci viene chiesta una cosa piuttosto complicata. Chi fa la spesa mi capisce, sempre a cercare occasioni, offerte speciali, outlet, discount, anche a scapito della qualità. Ma nel caso ti sarà data una mano. Aumenteranno la benzina e il gasolio, per cominciare. E quando aumenta la benzina e il gasolio in genere aumenta anche tutto il resto. Cosicché quello che riuscirai a risparmiare da una parte, diminuendo la quantità di cose che compri, lo spenderai subito dall’altra, perché queste cose costeranno di più. E allora crescita diventa il sinonimo della nostra lotta quotidiana.

Possibile che non ci sia qualcos’altro, che potrebbe e dovrebbe crescere, qualcos’altro da mettere al centro? Possibile che se non crescono i consumi tutto andrà inevitabilmente a rotoli? Qui gli economisti potrebbero aiutarci a capire: esiste un altro modo di fare andare le cose, un’alternativa a questo modello? Perché questa idea di economia, che fa pur sempre parte dei costrutti umani e non delle leggi di natura non può essere eventualmente decostruita? Perché i bisogni umani fondamentali –quei quattro bisogni, sempre quelli, da sempre: il cibo e l’acqua, le relazioni e l’amore, l’aria da respirare, un tetto sotto il quale ripararsi- non possono e non devono stare al centro di quella che chiamiamo economia, e che si comporta come un’ideologia?

E perché quando si pongono domande come queste ci si sente un po’ in colpa, come se si violasse un tabù?

Corpo-anima, economics, WOMENOMICS Gennaio 11, 2011

CONSUMATI DAI CONSUMI

Non è che stamattina io mi sia iscritta al Movimento per la Decrescita Felice, né che io creda che il Fil (Felicità interna Lorda) possa essere totalmente indipendente dal Pil. Ci mancherebbe. Ma quando leggo che la ripresa dei consumi in Italia (+1,6%) arriverà solo nel 2012, dopo un modesto 0,4% del 2010 e un calo nel biennio 2008-2009 a livelli di dieci anni fa -e però se non si muove il mercato del lavoro, e al momento non ci sono segnali confortanti, Gesù, vediamo come andrà il referendum a Torino, hai voglia a fare proiezioni…-, ecco, quando leggo questo, mi viene da fare un distinguo.

Non è detto che la decrescita sia necessariamente felice, ma anche la crescita dei consumi può non esserlo affatto. Intanto dipende da quali consumi. Ci sono consumi che ti danno una botta apparente di felicità, sul momento, a cui segue un rovinoso down, tipo cocaina: consumati dai consumi. Insomma, voglio dire che c’è consumo e consumo. E mi pare a occhio di poter dire questo: che meno un consumo è facilmente consumabile, quanto più un oggetto di consumo dura, insomma, e maggiori garanzie di “felicità” ci dà. L’usa-e-getta del godimento immediato, senza il differimento del desiderio, a cui una certa idea dei consumi ci ha abituato -e di cui l’economia dice di avere bisogno- è spesso infelice, ha in sé l’idea della deperibilità e della morte: l’animale umano ha bisogno di un minimo di stabilità e dell’attesa desiderante. Quindi, da un certo punto di vista, meno consuma e più è felice.

La qualità, la quantità e la stabilità delle relazioni: questo sì, che promette felicità.

Insomma: qualche pensiero sparso, stamattina, per non farci ingannare dal tromp-l’oeil di un 2012 allegramente ri-consumistico e perciò felice. Credo che questi tempi, alla Sex and the City, non torneranno più. Nemmeno in Sex and the City, che quando lo rivedi ti pare così antico… Usiamo il 2011 come un surplace per capire che cosa davvero vogliamo consumare. E quindi che cosa vogliamo davvero produrre.

economics, TEMPI MODERNI Dicembre 10, 2009

IDRAULICI E BOLLETTE

100 € a elemento (+ mano d'opera): è quello che mi hanno chiesto!

100 € a elemento (+ mano d'opera): è quello che mi hanno chiesto!

Come avrete visto, da gennaio aumento del 2.8 per cento nelle bollette del gas. Per l’elettricità ancora nessun rincaro, ma è questione di tempo. Quindi ricomincia l’ascesa dei prezzi, proprio nel momento in cui la crisi arriverà a far sentire pienamente i suoi effetti sull’occupazione. Questo lo scenario del nuovo anno. Il che ci costringerà quanto meno a un downshifting radicale -diciamolo in inglese, che fa meno male-: ulteriore contrazione dei consumi, taglio dell’inutile, ritorno all’essenziale da molti punti di vista.

Proprio sabato scorso, prima che si sapesse del nuovo caro bollette, su Io donna, riflettevo alla buona su questi temi. Vi ripropongo i miei pensieri da casalinga che scrive.

Dato che tutti –o meglio, tutte: siamo realisti- facciamo la spesa, anche voi a conti fatti avrete visto che quanto si spende per mangiare è il meno. Stando un po’ attenti, scegliendo i negozi a buon mercato, tenendo d’occhio il prezzo al chilo o al litro, approfittando delle offerte, evitando le fragole a dicembre e i broccoli ad agosto, saltando qualche anello della catena, comprando quando si può direttamente dal produttore, imparando a cucinare meglio, e più sano, con meno, e così via -tutte accortezze che conosciamo benissimo- il budget può essere contenuto con soddisfazione. La rabbia che poi ti viene quando scopri che quei cento euro che hai sapientemente risparmiato ti partono per gli inspiegabili eccessi di una bolletta, o per dare una grattata alla lavatrice intasata dal calcare. Qui non si fatica per il pane, e nemmeno per il companatico, ma per tutto il resto, in molti casi inessenziale.
Interessanti i dibattiti sul caro pasta -0.75 o 0.83 al chilo?- che hanno occupato parte cospicua delle pagine dei giornali prima che l’affaire escort richiedesse tutta la nostra devota attenzione. Ma capirete bene che, data anche la pasta a un euro al chilo, non saranno quei 50 euro in più l’anno a rovinarci. E’ sul resto, che c’è da lavorare: sulle bollette, sempre spaventose, in troppi casi tra le più care d’Europa; sul caro-artigiani, assolutamente ingiustificabile; sulle spese di condominio, che ci costringono a un affitto salato anche quando siamo proprietari di casa. E via dicendo.
E’ il contorno dell’essenziale –la minestra quotidiana- che va ripensato. La buona volontà del non far correre l’acqua a vuoto non basta, quando l’acqua è gestita come non come una risorsa inalienabile ma come un bene di mercato: e anche qui, in controtendenza rispetto al resto d’Europa.
Di sicuro c’è parecchio da pensare e da fare, sul tema del rapporto tra essenziale e inessenziale, tra ciò che riteniamo irrinunciabile e quello di cui, a pensarci bene, potremmo fare a meno, o quasi. Ripensare al proprio essenziale è un’ottima pratica, e anziché impoverire, come si potrebbe credere, rende incredibilmente più agili e più ricchi. Ma pensate anche a quante belle cose avrebbe da fare la politica, se fosse degna del bel nome di politica!

P.S.  Aggiunta dell’ultim’ora: io il mio Tfr l’ho tenuto in azienda. Meno male, visto la fine che faranno fare ai fondi!

TEMPI MODERNI Dicembre 4, 2008

EX-CONSUMISTI?

Oggi vorrei sapere da voi che cosa provate quando vi sentite dire -da chi produce, dai commercianti, dal governo-: spendete, comprate, consumate! Se credete in questa strategia, e se la praticate (pur nei limiti della busta paga). E che genere di Natale state allestendo? queste feste sono una prova generale, non credete? una premonizione significativa del modo in cui vivremo.

Su che cosa state tagliando, se state tagliando -immagino di sì- e su quali consumi invece tenete duro? La luce? Il riscaldamento? La palestra? La qualità e la quantità del cibo? I viaggi? Le vacanze? L’elettronica? L’abbigliamento? Le spese per la casa? I consumi culturali? Come vi difendete dagli abusi, dai prezzi che restano spesso elevati, dalle richieste folli degli artigiani (idraulico, falegname, elettricista) che continuano caparbiamente a voler vivere in un iperuranio milionario? Che cosa fate dei risparmi, sempre che riusciate a risparmiare? E che cosa state dicendo ai bambini? (non vi hanno mai visti fare tanti conti…)

Vi siete fatti un’idea su che cosa ci aspetta, nel bene e nel male, fuori da questo storico tunnel? Se e come cambieranno i consumi e tutto quello che ci gira intorno, quali saranno i segni indelebili, negativi e positivi, che questa crisi traccerà sulla nostra -occidentale- way of life, e via dicendo. Forza, ditemi tutto, non vedo l’ora di sapere.

P.S. E se avete dei trucchi da suggerire, in cambio tutta la nostra gratitudine! Trucchi, ed energia. Grazie.