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casa delle donne maltrattate

Donne e Uomini, femminicidio, Femminismo, jihad, questione maschile Gennaio 29, 2015

Marisa Guarneri, Casa delle donne maltrattate: violenza domestica e violenza jihadista sono la stessa cosa

Il sapere delle donne sulla violenza maschile può essere d’aiuto nell’elaborazione di un pensiero sulla violenza del terrorismo jihadista? Mi affido all’esperienza trentennale di Marisa Guarneri, presidente onorario della Casa delle donne maltrattate di Milano. Le parlo dell’emozione, della sensazione di impotenza che mi travolgono quando leggo delle donne cristiane e yazide vendute al mercato di Mosul, ammazzate a centinaia perché non vogliono fare da schiave sessuali ai guerrieri di Isis, delle bambine-bomba, delle migliaia di donne e uomini sterminati da Boko Haram. Emozione che chiede con urgenza di trasformarsi in un pensiero e in una pratica politica. Lei mi dice che l’emozione intuisce in un istante quello che c’è da sapere: “Lì dentro c’è già tutto. Poi devi tirare il filo, dipanare, capire, trovare la strada, le possibili soluzioni”.

Può servire quello che abbiamo pensato sulla violenza maschile e sul femminicidio?

“Parliamo della sottomissione: una costante nelle relazioni violente. Ed è sempre il risultato di un processo. Arrivi gradualmente a sottometterti, un passo alla volta. Lui comincia con il chiederti di non lavorare, e tu rinunci. Poi si lamenta perché vai troppo spesso a trovare tua madre, e tu riduci le visite. Non gli piacciono le tue amiche, ti chiede di non vederle più, e tu tagli i ponti. Comincia a controllarti gli orari, le espressioni del viso. Via via ti pieghi. Restringi i tuoi spazi vitali. Aderisci completamente alla sua volontà. Pensi che sia una buona strategia per tenere calmo il tuo oppressore, per evitare che la violenza esploda. E invece non lo è, perché lui non si accontenta mai. La violenza esploderà perché la minestra è salata, o perché non si trova il telecomando. Lui ha necessità di essere violento perché questa violenza ce l’ha dentro e chiede di uscire. Qualunque occasione sarà buona”.

Parliamo di quelle donne, adesso.

“Ricordi “Leggere Lolita a Teheran”? Lì si vedono bene i passaggi verso la sottomissione, un po’ alla volta, fino all’oppressione totale imposta dal regime teocratico. Le ragazze che si incontrano clandestinamente con la professoressa per poter parlare di letteratura: lì con lei si possono liberare del velo, tornare soggetti. E’ lo stesso processo che descrivevamo prima: il progressivo cedimento al dominio maschile. Fino al completo isolamento, che è una tappa decisiva in queste situazioni. C’è anche il controllo totale del corpo, che non è più libero di esprimersi, di muoversi liberamente nel suo spazio vitale. Ricordo il caso di una donna che viveva con le telecamere piazzate in ogni stanza della casa: lui voleva sorvegliare ogni movimento, ogni pensiero. C’è qualche differenza con quelle donne costrette a soffocare sotto i burqa o i niqab, corpi nascosti e pensieri silenziati? Quelle donne, le iraniane, le afghane, vivevano come noi, vestivano come noi. Un passo dopo l’altro hanno ceduto alla violenza. La partenza è il foulard obbligatorio, l’arrivo sono gli stupri e le uccisioni”.

Perché se lo sono lasciato fare?

“In seguito alla sottomissione e all’isolamento subentrano tensione e paura. Non sai mai quando e perché si scatenerà la violenza. Vivi in uno stato di attesa ansiosa, dominata dal terrore. Nella nostra Casa ho visto donne ospiti saltare  sulla sedia appena sentivano sbattere una porta. Ci si chiede perché le donne maltrattate non se ne vadano: perché il terrore le paralizza, le energie sono bloccate dall’ansia, la forza che servirebbe per difendersi è perduta. Il terrorismo è una moltiplicazione esponenziale di questo terrore. Quando ci furono gli stupri etnici in Bosnia gli effetti simbolici furono devastanti anche per il nostro lavoro. Lì era saltato ogni limite, il tuo buon vicino di casa era diventato il tuo stupratore. Il concetto di inviolabilità del corpo, centrale per le nostre pratiche, non aveva più alcuna efficacia. Quello che capitava lì ci faceva tornare indietro, toglieva forza anche a noi. La parola d’ordine dell’inviolabilità del corpo femminile non teneva più. Quando in una coppia saltano i limiti, quando dalla violenza psicologica si passa a quella verbale e poi quella fisica, noi parliamo di superamento della soglia: oltre quella soglia può capitare di tutto, la donna corre il massimo pericolo e va allontanata. Ecco, quello che stiamo vedendo ora, le donne uccise perché non vogliono fare da schiave sessuali, le bambine-bomba in quell’età cruciale di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, indicano precisamente questo: il superamento della soglia. D’ora in avanti non ci saranno più limiti, può capitare di tutto. La logica violenta dei terroristi di Isis che uccidono le yazide è la stessa che osserviamo nei casi di femminicidio: tu non mi riconosci, e io ti ammazzo. Identica”.

Che cosa si deve fare?

Rompere il silenzio. Esprimere le proprie emozioni di fronte a questi crimini, e da lì tirare il filo del pensiero. Rendere visibile ciò che sta accadendo. Capire che non c’è soluzione di continuità tra la violenza dei femminicidi e quella dei terroristi. E’ la stessa violenza, è lo stesso corpo femminile. Il paradigma della violenza domestica è applicabile a quello che capita alle donne in guerra: la differenza è che nella guerra la violenza sessista è più grande, confusa, mascherata. La violenza sulle donne non è un prodotto collaterale o un incidente di percorso: è tra gli obiettivi”.

Un obiettivo perché?

“Perché un uomo assapora pienamente il potere quando sente di avere un controllo assoluto del corpo e del pensiero femminile”.

Perché ne parliamo così poco?

“Perché non c’è pensiero, non si sa bene che cosa dire. Si tratta invece di voler vedere, e per vedere devi avere una chiave che funzioni, gli occhiali giusti. La mia chiave è questa, ciò che so sulla violenza domestica. Tu mi sta costringendo a vedere: io ho questi occhiali per vedere. Dobbiamo produrre un simbolico a partire dal pensiero di cui già disponiamo”.

A volte mi pare che ci comportiamo come quei bravi cittadini tedeschi che abitavano a cento metri dai campi di Auschwitz o Dachau ma non si accorgevano di nulla.

“Viviamo a poche ore d’aereo da quelle donne, ma siamo intrappolate nella nostra afasia. E’ la stessa afasia di certe che arrivano da noi e non riescono nemmeno a dire quello che hanno subìto. E allora si esprimono disegnando, trovano un altro modo, un altro simbolico. Mi ricordo una ragazzina che davanti a sua madre ci fece capire che cosa le capitava quando lei usciva a fare la spesa. Non posso dimenticare la faccia di quella madre, quando si è resa conto”.

 

 

 

Donne e Uomini, esperienze, Politica Marzo 27, 2012

La trappola della violenza

Grande ripresa di dibattito sul tema della violenza sessista e del femminicidio -oggi un ampio editoriale di Adriano Sofri su Repubblica-.

Giusto, perché il fenomeno è in crescita esponenziale. Come per contagio. Come se ogni caso riportato dalle cronache fosse fonte di ispirazione per altri maledetti assassini, tanto che si ha perfino paura a parlarne.

La novità è che finalmente il femminicidio -punta dell’iceberg della questione maschile– è assunta da uomini che ne discutono pubblicamente. La fase dei pionieri che si avventuravano autocoscienzialmente in questo territorio è finalmente finita. Dobbiamo essere grate a uomini come Stefano Ciccone, Marco Deriu, Alberto Leiss e altri per avere rotto il muro di silenzio.

Ne parliamo moltissimo anche noi donne, con ripresa di iniziativa: domani, per esempio, a Milano, Libreria delle Donne, via Pietro Calvi 29, ore 18.30, Marisa Guarneri e Manuela Ulivi della Casa delle donne Maltrattate discuteranno di Pratica politica e accoglienza.

Cosa buona, con un grosso rischio. Che questo tema, sentitissimo e urgentissimo -alla violenza palese corrisponde un enorme sommerso che le cronache non registrano ma che distrugge la vita di moltissime donne- si “mangi” tutte le nostre energie, in un momento in cui dovremo riservarne molte ad altre questioni. Prima fra tutte, quella di non permettere più che il nostro Paese continui a essere governato solo da uomini, che queste quote consuetudinarie e non scritte, tra l’85 e il 100 per cento a favore di un solo sesso, continuino a sbarrarci la strada (c’è anche un altro rischio, più sottile: che parlare di noi stesse come vittime di violenza sia dis-empowering, ci indebolisca e ci induca a ridurre le pretese, accontentandoci di un minimo vitale).

Non mancano decisi segnali di cambiamento: ho visto che la lista Marco Doria, candidato sindaco del centrosinistra a Genova, conta 23 donne su 32 candidati. Per questo mi complimento con lui e lo abbraccio. Ma se per le amministrative qualche breccia si apre, sulle politiche del 2013 c’è molto da lavorare perché nulla sarà regalato, e ci sarà da interloquire con la vecchia politica misogina.

Nessuno dei temi all’attenzione delle donne, dalla violenza all’organizzazione della vita e del lavoro, si avvierà a soluzione finché le agende politiche saranno decise da una stragrande maggioranza di uomini. Ai quali fa anche comodo che ci leviamo di torno e torniamo a parlare di violenza e mentre loro, tanto per dirne una, sembrano aver perfino chiuso la pratica della legge elettorale da riformare.

Attenzione alle trappole, amiche.

 

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze, lavoro Maggio 21, 2011

IL LAVORO CONTINUA

Lunedì si apre l’ultima settimana di campagna elettorale, e a Milano sono stati indetti due importanti appuntamenti che con la campagna non hanno a che vedere -elezioni o non elezioni, il lavoro sociale continua. Ve li segnalo entrambi:

Casa delle Donne Maltrattate e Associazione Maschile Plurale invitano all’incontro pubblico

Uomini e donne. Darsi occasioni di verità
Per un lavoro diverso sulla violenza

Milano, 23 maggio 2011
Camera del lavoro – Sala Buozzi
Corso Porta Vittoria, 43 – ore 17.00

LDurante questo appuntamento vogliamo raccontare un anno di incontri e di un nuovo intreccio di
discorso avvenuto a Milano tra donne e uomini attivi contro la violenza maschile sulle donne.
Questa esperienza è iniziata dal nostro desiderio e dalla reciproca fiducia di potere parlare e pensare
insieme, tra alcuni uomini e donne: a partire da sé e dai percorsi di accoglienza e di relazione tra
donne alla Casa delle donne maltrattate di Milano, e dal lavoro su sé stessi e sulla maschilità dell’associazione
nazionale Maschile Plurale. Ci siamo detti che già questa è una novità.
E poi abbiamo aperto il nostro tavolo ad altre donne e uomini che avessero un’attività, un ruolo nell’ambito
del contrasto alla violenza sulle donne in diversi contesti (giudici, sindacalisti, sociologi, formatori,
insegnanti…), ma che abbiamo invitato sempre per via di relazioni personali.
Così i nostri racconti ci hanno messo in gioco, ci hanno esposti gli uni alle altre, ci hanno portato a
rispecchiarci nelle diverse facce della violenza. Abbiamo imparato quanto conta la capacità di ascoltare
e integrare il punto di vista dell’altro con il proprio per comprendere la complessità, le ambivalenze e
le difficoltà delle relazioni tra uomini e donne, e per trovare un punto di partenza più saldo e consapevole
da cui cominciare a smontare il linguaggio e la logica della violenza.
Oggi sappiamo infatti che dietro la violenza sulle donne c’è anche una questione maschile e un’incapacità
di abitare e interpretare altrimenti le relazioni tra uomini e donne, negli spazi affettivi, di lavoro
e politici.
Per questo è importante che l’impegno quotidiano contro la violenza dia spazio al lavoro pubblico
di ricostruzione di una civiltà delle relazioni tra uomini e donne.
Riteniamo che esperienze di questo genere, basate sulla costruzione di un racconto corale e a più
voci, fondato sull’onestà e sull’ascolto reciproco, possano riprodursi e diffondersi, favorendo una crescita
della consapevolezza nei contesti in cui abitiamo e operiamo.
L’esito ultimo di un percorso di questo genere può essere un salto politico:
– nello svelamento delle profonde radici relazionali e culturali della violenza maschile sulle donne,
oggi occultate fino ad una sostanziale legittimazione di questa violenza;
– nel farne discorso pubblico che chieda la partecipazione di donne e uomini, in diversi contesti e in
tante città, per suscitare nuove risorse culturali, sociali, psicologiche, esistenziali di fronte alla violenza;
– nel chiedere con autorevolezza le scelte politiche conseguenti, fuori da ogni implicazione securitaria
o di tutela paternalistica delle donne come succede oggi, nel segno delle relazioni nonviolente tra i
sessi.
Marisa Guarneri, Alessio Miceli, Manuela Ulivi, Marco Deriu, Gigliola Menazzi, Mariagrazia
Gualtieri, Maurizio Giannangeli, Gabriella Ferraro Bologna, Caterina Folli, Renato Alfieri, Annamaria
Gatto, Nerina Benuzzi, Aldo Bonomi.
CASA DELLE DONNE
MALTRATTATE DI MILANO

L’altro appuntamento, un’oretta più tardi e non lontano da lì (si può cercare di partecipare a entrambi):

A MILANO

Abbiamo lanciato una scommessa:

che qui possa nascere un luogo pubblico

in cui il lavoro che cambia prende la parola.

Un’agorà del lavoro

Che cos’è l’Agorà del lavoro?

Una piazza concreta e simbolica, un luogo fertile e radicato nella città di Milano, uno stabile terreno di incontro, a cadenza mensile, dove il lavoro che cambia diventa protagonista.

Qui si intrecceranno storie e soggettività di diverse generazioni,  non per dar vita a un inutile confronto tra teorie e pratiche, ma per creare un tessuto effervescente da cui possano scaturire iniziative politiche nuove.

Non ci interessa creare un’improbabile comunità omogenea che appiattisca le differenze, bensì far nascere relazioni che diano valore alle esperienze personali e più forza per negoziare.

Vogliamo ribellarci alle iniquità e alle insensatezze di un mercato del lavoro oggi sempre più lontano dai nostri bisogni e desideri.

Agorà nasce dalla volontà di gruppi ma anche di persone singole, provenienti da background differenti, di ricomporre la frammentarietà dei movimenti e delle diverse realtà per diventare un punto di riferimento in un primo momento cittadino, in futuro nazionale, con un’imprescindibile attenzione al mondo del web.

E a tutte le possibili forme di comunicazione che possiamo inventare con il nostro potenziale creativo.

La scommessa è proprio quella di trovare nuove parole, più aderenti alla vita, e nuove risposte. L’Agorà sarà dunque un luogo dove tutte e tutti si sentiranno autorizzate/i a esprimersi e a dare il proprio contributo senza timore di critiche o censure. Se il progetto funzionerà, ognuna/o  ritornerà nei contesti in cui si trova con più idee, più voglia di esserci, più capacità di contrattare.

Le promotrici e i promotori dell’Agorà

Luisa Abbà, Donatella Barberis, Pinuccia Barbieri, Maria Benvenuti, Sergio Bologna, Maria Grazia Campari, Pat Carra, Vanna Chiarabini, Lia Cigarini, Elena Corsi, Elena Dal Pra, Andrea Fumagalli, Giovanna Galletti, Marisa Guarneri, Alberto Leiss, Sveva Magaraggia, Chiara Martucci, Sofia Masiello, Giordana Masotto, Giorgia Morera, Cristina Morini, Silvia Motta, Adriana Nannicini, Daniela Pellegrini, Giovanna Pezzuoli, Marina Piazza, Luisa Pogliana, Anna Maria Ponzellini, Nadia Riva, Anna Soru, Lorenza Zanuso, Anna Zavaritt.

Per  maggiori informazioni: clicca

http://www.libreriadelledonne.it/Stanze/Lavoro/Documenti/ImmaginaMilanoSINGOLE.pdf

e painuz@tin.it

Disgraziatamente per me, io non potrò partecipare a nessuno dei due.

Andate e raccontateci!