Lanificio Leo, Soveria Mannelli, Catanzaro. I telai sono fermi

Ci siamo venduti Gucci, Pucci, Bulgari, Pomellato, Cova, Pernigotti e una marea di altri marchi (forse al lungimirante e strategico assessore milanese al commercio Franco D’Alfonso non spiacerebbe anche che ci vendessimo D&G, e poi magari Armani, Prada e via liquidando).

Intanto quello che resta qui della nostra genialità e della nostra bellezza sta soffrendo molto, quando non agonizzando. Mi sono dimenticata di chiedere al signor Giuseppe Leo, erede di un lanificio tradizionale con 150 anni di storia a Soveria Mannelli, Catanzaro, che cosa direbbe -poniamo- a degli acquirenti cinesi se si dichiarassero interessati alla sua azienda. A occhio mi pare che li congederebbe, non prima di avergli offerto un ottimo caffè.

Però i suoi antichi telai sono quasi fermi, lavorano solo part-time, i suoi magnifici stampi ottocenteschi, per decorare tovaglie e altra biancheria con disegni “a ruggine”, stanno lì a prendere polvere. Ci siamo fatti un giro in quella desolazione, tra le matasse di lana che aspettano di diventare maglieria o coperte, tra i fili colorati e sospesi come in un’installazione pop. Ci lavoravano in 22 e ora sono in una decina, “ha da passa’ a nuttata”, ma accidenti, non passa mai. “Tenete duro” gli dico. “Stringete i denti, signor Leo!”.

Telerie Leo

Non ci sono solo i grandi marchi, e ogni volta è un colpo al cuore, non c’è solo il nostro pregiato agroalimentare, ormai tra gli ultimi settori a richiamare investimenti stranieri. C’è anche uno straordinario brulicare di qualità, di bontà e di bellezza -ne ho vista tanto, negli ultimi giorni, alle pendici della meravigliosa Sila- che attende di essere essere salvato per salvare noi. C’è un artigianato eccellente, che dà vita a prodotti unici, irripetibili, no global per natura (non c’è un pezzo uguale all’altro) e che adeguatamente supportato creerebbe lavoro e potrebbe dare luogo a un indotto turistico ed eno-gastronomico (il meraviglioso rosato fresco del Savuto! quanti di voi lo conoscono?) E invece ogni giorno che passa qualcosa sparisce.

Passavo l’altro giorno sulle rive del Crati, il fiume che attraversa la bella Cosenza, proprio sotto la frescura centenaria della Villa (il Parco cittadino) dove mi ero trattenuta a leggere i giornali al riparo dal sole feroce della controra. Ho quasi pianto vedendo l‘officina chiusa di Mancuso e Ferro, e  appeso al muro di cinta qualche resto delle loro meravigliose marmette decorate, i pavimenti più belli e preziosi di tutto il Sud.

Pavimento di Mancuso e Ferro, Cosenza. Azienda chiusa

Non si può accettare di perdere tutto questo!

Save Italian Beauty! Salviamola noi!

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