Se vi è mai capitato di pensare che l’economia è una scienza triste, lontana non solo dalla produzione e dall’allegria del fare, ma dalla vita reale tout court, dai bisogni, dal desiderio umanissimo di felicità; e se dopo averlo pensato vi siete sentiti impotenti al cospetto di questo Superleviatano e delle sue leggi date come immutabili, rassegnati di fronte questo pensiero triste che paradossalmente ci sta rendendo anche più poveri –tutti, tranne pochissimi-, allora il libro di Ina Praetorius, teologa protestante svizzera, “autrice di saggi, casalinga e madre di una figlia” è scritto per voi.

In “Penelope a Davos” (ed. Quaderni di Via Dogana), Praetorius guarda al disordine di fine-patriarcato, alla crisi irreversibile di una civiltà che ha preso forma dal dominio maschile. Il compito elettrizzante che oggi abbiamo, dice, donne e uomini insieme, è quello di costruire un pensiero post-patriarcale. Di trovare parole, immagini, un simbolico che fa nascere il mondo nuovo. Senza lasciarsi scoraggiare: “un ordine che sia stato costruito è logicamente anche modificabile”.

L’economia è l’epicentro del grande disordine, ed è “urgente e indispensabile… restituire alle donne e agli uomini che se ne occupano la libertà di ripensarla in un modo nuovo”. Sentendosi liberi di pensare che “il mercato, quando si costituisce erroneamente quale prima istanza dell’economia, è destinato a fallire, e lo si desume dal fatto che in un’economia di mercato globale migliaia di persone muoiono quotidianamente di fame”. Vale in particolare per un mercato in cui lo scambio avido è ormai solo tra denaro e altro denaro, senza alcun rapporto con i bisogni umani reali.

La soluzione non sta in leggi che vincolino queste transazioni, ma nel fatto di non pensare più al mondo come mercato per ricominciare a vederlo come l’ambiente domestico, la casa, l’oikos –radice del termine economia- di 6 miliardi e mezzo di umani, tutti ugualmente bisognosi e interdipendenti. Si tratta di rimettere le cose al loro posto, tornando a vedere il mercato come istanza secondaria, e  bisogni e relazioni come primari. Anche a costo di sembrare ingenua e naïve, dice Praetorius: “aggettivo che viene dal latino nativus, relativo alla nascita”. Ma è proprio a partire dalla nascita, dalle relazioni, dalla vulnerabilità, da un’idea di libertà che non è indipendenza assoluta ma “partecipare al gioco del mondo con nuove pratiche” (Hannah Arendt), che lei intende ripensare le cose.

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