Vittorio Ciccolini, penalista veronese, stalker e femminicida

Terribile giornata di violenza sessista, ieri.

A Genova una donna è stata gravemente ustionata con l’acido da un uomo all’interno dell’ospedale dove lavorava. Rischia di perdere un occhio.

Ad Avola Antonella Russo è stata uccisa a fucilate dal marito, padre dei suoi 3 figli, dal quale viveva separata. L’uomo si è poi suicidato. La donna viveva da tempo a casa della madre, lui la perseguitava.

Ma è soprattutto il femminicidio di Lucia Bellucci, 31 anni, a Verona, che pare costituire una prima tragica risposta al decreto antiviolenza recentemente varato dal governo Letta, e delle cui criticità avevamo parlato qui.

Vittorio Ciccolini, 45 anni, assassino confesso, è un noto penalista del foro veneto. Lei lo aveva lasciato da un anno, lui non si dava pace. C’era stata una denuncia per stalking. Dopo una cena a due –gravissimo errore, anche la donna di Avola era stata convinta dal marito a una “passeggiata”: non farlo, mai!- lui l’ha strangolata e pugnalata al cuore. Il corpo è stato ritrovato nella Bmw di Ciccolini, parcheggiata nel garage della madre.

Il caso veronese è esemplare perché l’avvocato  femminicida era perfettamente consapevole, mentre perseguitava la sua ex, di adottare un comportamento penalmente rilevante. Ed era certamente più informato di tutti noi dell’aggravio di pena disposto dal decreto. Tutto questo non è bastato a fermarlo e a interrompere la classicissima escalation dallo stalking al femminicidio.

E che cosa avrebbe potuto fermarlo? Verosimilmente solo due cose, in alternativa: che la ex avesse ceduto alle sue pressioni tornando con lui; che un terapeuta lo avesse accompagnato nell’accettazione e nell’elaborazione del lutto costituito dall’abbandono.

Un uomo che uccide la donna che lo lascia è come un neonato di 80 chili che agisce le sue fantasie distruttive contro la madre che minaccia di togliergli il seno e abbandonarlo a morte sicura. Un uomo che uccide la donna che lo lascia si sente destinato a morire, separato dal corpo di lei che lui percepisce come un tutt’uno con il proprio corpo, senza soluzione di continuità (ecco infatti spesso, dopo l’omicidio, il suicidio, a raffigurare questa inseparabilità). Un uomo che uccide la donna che lo lascia non ha mai portato a termine quel processo di individuazione-separazione dalla madre che si dovrebbe compiere entro i primi tre anni di vita, permanendo in una fusionalità patologica.

Lo stalking funziona come una droga per attenuare la sofferenza. Finché alla fine non basta più.

E’ difficile che uno stalker smetta da solo. Non è difficile che l’esito dello stalking sia il femminicidio. Come dicevamo qualche giorno fa, solo un percorso terapeutico obbligatorio, eventualmente alternativo alle pene detentive, può disinnescare la bomba. Ma di tutto questo nel decreto Letta non c’è traccia.

Molte fra noi si occupano di questi temi da decenni. E’ davvero incredibile che il governo Letta di tutta questa sapienza non si sia voluto giovare.

 

 

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