Una nuova sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 sulla fecondazione assistita, smontata pezzo a pezzo: in quest’ultimo caso si è stabilito che una coppia portatrice di gravi malattie genetiche può chiedere di preselezionare gli embrioni sani destinati a essere impiantati.

La legge 40 lo vietava: secondo i giudici della Consulta in violazione  degli articoli 3 (uguaglianza) e 32 della Costituzione (diritto alla salute), oltre che del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Le linee guida del Ministero per la Salute dovranno adeguarsi perché ogni ospedale pubblico o privato garantisca la diagnosi pre-impianto anche alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche.

La legge 194 sull’aborto consente già l’interruzione terapeutica di gravidanza “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Secondo la legge 194, quindi, l’aborto terapeutico può essere richiesto non per eliminare un feto malato –quindi non per ragioni eugenetiche- ma perché la prosecuzione della gravidanza pregiudicherebbe la salute della madre. La logica della nuova sentenza sulla legge 40 è la stessa: il principio tutelato è il diritto alla salute (dei genitori). E a parità di principio, in una logica di riduzione del danno non impiantare un embrione “malato” e senz’altro preferibile a un aborto terapeutico.

Resta aperto il problema della sorte degli embrioni “malati”, o più precisamente portatori di una patologia genetica. Secondo la sentenza della Consulta, infatti, “la malformazione dell’embrione non ne giustifica, solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani”. Quindi al momento gli embrioni “malati” non potranno essere distrutti ma dovranno essere crioconservati, in attesa che la legge stabilisca quale dovrà essere il loro destino.

Si tratta, come alcuni sostengono, di un passo in direzione dell’eugenetica?

La risposta non può essere un secco “no”. Applicare le tecnologie riproduttive per far nascere figli sani realizza un’umanissima e comprensibilissima aspettativa della singola coppia (la santità non è prescrivibile per legge) attraverso l’eliminazione degli embrioni portatori di caratteri disgenici. Si tratta quindi di un caso di cosiddetta eugenetica negativa. Cosa ben diversa, però, dall’eugenismo, ovvero da politiche eugenetiche pubbliche

Decisiva sarà la dettagliata elencazione delle patologie genetiche per le quali è consentita la preselezione degli embrioni. Tenendo tuttavia conto di un fatto: nessuna coppia fertile (in particolare, nessuna donna) si sottoporrebbe a dolorose procedure di fecondazione assistita se la patologia di cui è portatrice non fosse davvero grave.

 

 

 

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