Diana De Marchi, consigliera comunale Pd a Milano e presidente della Commissione PPOO, si è recentemente schierata a favore dell’utero in affitto. Lo ha fatto insieme al collega Angelo Turco con un ordine del giorno che chiede la trascrizione all’anagrafe come padri delle coppie di uomini -così come vengono iscritte le coppie di madri- in nome di una supposta “parità”. Il sindaco Sala ha infatti bloccato da tempo le trascrizioni dei nati “da” coppie di uomini, in attesa di precise disposizioni da parte del Ministero dell’Interno.

Nel caso di coppie di uomini va considerato il fatto che è stato commesso un reato: il ricorso a utero in affitto è punito dalla legge (n. 40, art.12, comma 6). Le coppie di madri non commettono alcun reato: e in una parte non insignificante di casi una è la madre biologica, ovvero la titolare dell’ovocita, e l’altra la gestante. Vi sono quindi effettivamente due madri, una madre genetica e colei che partorisce. In ogni caso, la madre c’è, e la relazione madre-bambino-a è preservata. Nel caso dei due uomini, invece, vi è solo un padre biologico. La madre scompare. L’altro è semplicemente il partner del padre.

Va sottolineato che l’utero in affitto è perseguito come reato in tutto il mondo tranne che in 18 nazioni (su circa 200): l’Italia non costituisce affatto un’eccezione “antimoderna”, come molti sono stati indotti a credere da una propaganda martellante.

Una recente sentenza “tombale” della Corte Costituzionale, oltre a ribadire in coerenza con la legge 40 che l’utero in affitto viola la dignità della donna e pregiudica gravemente le relazioni umane, ha sottolineato il diritto del minore alla verità sulle proprie origini, aggiungendo che ciò costituisce un interesse pubblico e non solo del minore. Trascrivere come secondo padre il partner del padre biologico sarebbe quindi dichiarare un falso che viola il diritto del minore –e l’interesse della collettività- alla verità sulle origini.

Recentemente la Procura di Roma si è mossa contro il Comune di Roma che ha trascritto all’anagrafe una coppia di padri, e azioni analoghe sono in corso in altri comuni italiani. Bene fa quindi il sindaco Beppe Sala a sospendere queste trascrizioni in attesa di precise direttive dal Ministero. Che Milano abbia assunto questa posizione è molto significativo anche a livello nazionale.

Secondo la Corte Costituzionale il diritto del minore alla continuità affettiva –ovvero a mantenere relazioni con il partner del padre, che lo sta crescendo insieme a lui- potrebbe essere garantito dal ricorso all’adozione in casi particolari. Non serve negare la realtà delle origini per fare spazio alla realtà dell’amore tra un adulto e un bambino. Quindi il “secondo padre” non andrebbe trascritto come tale all’anagrafe, ma potrebbe intraprendere l’iter adottivo, strada percorsa abitualmente da chi cresce un bambino senza esserne genitore biologico.

Se si scoprisse che una donna ha dichiarato padre biologico di suo figlio un uomo che invece non lo è, verrebbe perseguita per aver dichiarato il falso e avere violato il diritto del bambino alla verità sulle proprie origini. Non vi è ragione per la quale debba essere invece possibile a una coppia di uomini la lampante bugia del “secondo padre”, né biologico né adottivo (padre “del terzo tipo”). L’art.3 della Costituzione ci prescrive uguali di fronte alla legge.

Diana De Marchi, in quanto donna politica, farebbe bene a leggere la sentenza della Corte Costituzionale e a tenerla nel debito conto. E in quanto responsabile delle PPOO del Comune di Milano dovrebbe considerare il fatto che nessun gruppo o associazione di donne nella nostra città –né, che mi risulti, nel resto del Paese- si è mai espresso a favore dell’utero in affitto, mentre invece molti gruppi e associazioni, connessi a una rete mondiale, stanno lottando da tempo per l’abolizione universale.

Il concetto di rappresentanza è certamente problematico, ma De Marchi dovrebbe valutare l’assoluta incoerenza tra la sua personale posizione, che dopo lungo tentennamento oggi ha espresso ed è diventata atto politico, e quella della maggioranza delle cittadine, a cominciare da gruppi e associazioni che animano il movimento delle donne. Oltre alla legge vigente e al pronunciamento della Corte Costituzionale, De Marchi non sembra tenere in alcun conto di non avere dalla sua la grande maggioranza delle donne milanesi.

Anche in questo caso assistiamo al consueto switch: le cosiddette pari opportunità oggi guardano più al mondo GBT che a quello delle donne, esattamente come nelle accademie i Gender Studies nati dal sapere delle donne stanno diventando a tutti gli effetti Queer Studies, come se le donne fossero diventate un soggetto “invecchiato” e anche elettoralisticamente molto meno sexy del mondo arcobaleno.

Vi è certamente da considerare che le donne politiche si ritrovano quasi sempre in difficoltà a dover sbrogliare il nodo della doppia fedeltà: eletta e sostenuta da molte donne, De Marchi fa tuttavia parte di una corrente del Pd (Rete Dem)  il cui leader Sergio Lo Giudice è ricorso due volte all’utero in affitto. La sua posizione è complicata, ma la legge è la legge e la verità dei corpi è verità dei corpi.

Oltre al fatto assurdo e inspiegabile –eventualmente ce lo spiegherà Diana De Marchi- che la sinistra italiana è l’unica sinistra in Europa a non considerare l’utero in affitto come ignobile sfruttamento. Tutte le altre sinistre, dalla Svezia alla Francia alla Spagna, sono espressamente contro la Gpa.

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