Forse oggi dovrei scrivere di Polverini, del suo discorso -che alcuni hanno definito addirittura “shakespeariano” – al consiglio regionale del Lazio. Il senso è: “La festa è finita” (e come gabbiamo la Santa? si saranno chiesti molti dei presenti). Ma dato che per la stragrande maggioranza di noi la festa è finita da un bel po’, ammesso e non concesso che sia mai cominciata, vi parlerò, amic*, della gioia del low cost.

Ho comprato un interessante librino, ieri sera, scritto da Bruna Gherner e Luca Giorcelli, già cogestori del blog Survive Milano: “Milano low cost- Guida anticrisi alla città più cara d’Italia” (Bur Rizzoli), me ne sono letta una buona metà stanotte, avidamente, come se fosse un romanzo, ho preso sonno al capitolo “trattorie”. Peccato, devo dire, che la sezione artigiani non sia così cospicua, devi chiamare l’idraulico e ti vengono i sudori freddi, la tiri in lungo facendo la doccia con l’innaffiatoio. Incoraggio i due autori ad approfondire la tematica.

La gioia del low cost non è solo andare a cena fuori senza sbancare, o scovare le arance a 0.50 al chilo. E’ anche e soprattutto la leggerezza di potere almeno in parte vivere a prescindere dalla mediazione ossessiva del denaro, ridurlo per quello che è possibile a una relativa insignificanza, sganciare la qualità della vita dalla quantità di reddito, non sentirsi stranieri nella città in cui si è nati e dove si lotta per poter restare, sospinti sempre più ai margini. E’ poter sperare che perseguire lo stile di vita calibrato sul potenziale di spesa del calciatore medio o del mafioso russo non sia più un sogno per nessuno. Che low cost diventi il contrario di low profile.

Così, invece di vomitare guardando la faccia e la panza di Franco Fiorito, stamattina penso alla bottega che vende vino bio sfuso a max 2.60 al litro, e mi rallegro.

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