India. Manifestazioni contro la violenza sessuale

Era una bambina di 12 anni l’indiana stuprata da un branco di 6 uomini e poi bruciata viva a Madhyagram, nei pressi di Calcutta. Ed era incinta. Il primo stupro il 25 ottobre, il secondo il giorno successivo, dopo che la bambina era andata a denunciare la violenza. Il 23 dicembre due degli stupratori si sono introdotti a casa sua e le hanno dato fuoco. La bambina è morta dopo qualche giorno di agonia. Sei uomini sono stati arrestati e a Calcutta sono esplose le proteste.

Da qualche mese in India, in seguito allo stupro e all’uccisione della 23enne Jyoti Singh Pandey, la violenza sessuale è punita con la pena di morte. Il movimento delle donne indiane aveva messo in guardia contro la decisione di introdurre la pena capitale per gli stupratori: molte meno donne avrebbero avuto il coraggio di denunciare, e le stuprate avrebbero rischiato l’eliminazione fisica: esattamente quello che è capitato a Calcutta. Rileggete quello che ci aveva detto a riguardo l’intellettuale femminista Urvashi Butalia.

La politica dell’inasprimento di pena non funziona per i reati sessuali: invocare  la pena di morte è una comprensibile risposta emotiva, ma di nessuna efficacia. Al contrario, può aumentare i rischi per le vittime.

Fatte le debite proporzioni, gli aumenti di pena e la non revocabilità della querela introdotti nel nostro Paese dal recente decreto antifemminicidio non costituiscono un passo avanti: anche da noi la definitività può scoraggiare le denunce.

Le cose da fare sono ben altre.

 

 

 

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