Titolo un po’ fortino, lo so. E poi non è del tutto vero.
Dell’aborto mi importa, e precisamente mi importa questo, in una logica di riduzione del danno. Nell’ordine: 1. che ricorrere all’aborto sia sempre meno necessario 2. che quando è necessario ricorrervi, sia possibile farlo in condizioni di minore sofferenza fisica e psichica possibili, e quindi con tutte le garanzie igienico sanitarie, e senza aggravare la pena psicologica 3. che sia queste condizioni si realizzino (e oggi, purtroppo, non si realizzano).
Ciò detto: non intendo essere ricondotta dal contrattacco a parlare dei minimi vitali, violenza sessista e aborto. Non voglio essere costretta in difensiva. Non ci casco. Intendo delegare, nella massima fiducia, ogni discorso sulla violenza sessista e sull’aborto a donne che se ne occupano con competenza da molto tempo, sempre pronta ad accorrere per sorreggerle e supportarle in caso lo richiedessero. Nel caso della violenza per esempio: prontissima a lottare perché i centri antiviolenza e le case delle donne abbiano finanziamenti adeguati e continuativi (no ai finanziamenti a pioggia, no ai progettifici di chi si improvvisa per intercettare fondi o per cavalcare il tema).
Ma non mi piace che tutte siamo inchiodate lì, che continuiamo a parlare di questo, in una sorta di autovittimizzazione secondaria, e che perdiamo di vista l’orizzonte grande. Perché potremo risolvere i problemi, anche quelli della violenza e quello dell’aborto, solo tenendo lo sguardo alto, puntato su quell’orizzonte. Il che ci consentirà di arrivare a occupare posizioni che ci consentano di decidere le priorità, la destinazione delle risorse, e così via.
E allora torniamo a parlare di rappresentanza, torniamo a parlare di organizzazione del lavoro, creiamo le condizioni perché le nostre pratiche siano massimamente efficaci, perché ci sia possibile parlare la nostra lingua politica, e basta con la formazione permanente! ci siamo già formate a sufficienza.
Non è più il momento dei cahier des doleances. E’ quello dei risultati.