Interrompo le vacanze per qualche considerazione sul decreto anti-femminicidio:

1. Un provvedimento legislativo era necessario, benché qualunque norma di legge vada a toccare la materia viva delle relazioni sia per definizione insoddisfacente. La vita reale nella sua complessità eccede sempre qualunque norma. Ma l’attenzione del legislatore serviva.

2. L’inasprimento delle pene non può essere inteso come un deterrente, ma ha una forte portata simbolica: serve a dire che la violenza sulle donne è giudicata un reato grave. Le attenuanti per i motivi d’onore, non dimentichiamolo, nel nostro Paese erano in vigore fino a pochi decenni fa.

3. La querela irrevocabile -una volta che hai denunciato non puoi più ritirare- è un punto assai critico. Se da un lato sventa il rischio che la donna ritiri la querela in seguito alle minacce del suo persecutore, dall’altro limita la libertà della donna, intendendola come oggetto da tutelare contro la sua libera soggettività. La libertà della donna è il migliore presidio contro il rischio di essere vittima di abusi, e non va limitata. Va ammessa la possibilità, in un percorso relazionale per quanto accidentato, che la donna decida liberamente di cambiare strategia. Anche questa “minorizzazione” delle donne ha una forte portata simbolica. Oltre ad aumentare il rischio che la donna rinunci a denunciare, spaventata dalla definitività.

4. Manca del tutto, mi pare, nel decreto, una proposta terapeutica per stalker, molestatori e violenti, eventualmente alternativa o da affiancarsi alla carcerazione o alle misure cautelari non detentive. Di un “fra-uomini” sul tema della violenza, che in alcune situazioni ha già dato risultati. Non si deve dimenticare il contesto in cui la gran parte dei femminicidi matura: l’abbandono da parte della donna, l’incapacità di gestire ed elaborare il lutto da parte del “ripudiato”, la sua solitudine e la mancanza, appunto, di un “fra-uomini” che lo accompagni nel percorso di accettazione e rompa la catena ossessiva rabbia-rifiuto-stalking, fino all’aggressione definitiva. La violenza sessista è una questione maschile, e come tale va affrontata.

5. Non ci sono soldi per nulla, vero: ma se i centri antiviolenza con la loro grandissima esperienza e l’elaborazione di pratiche sul campo non saranno adeguatamente supportati nel loro lavoro -che va dall’accoglienza delle donne alla formazione delle forze dell’ordine- i rischi che il decreto si fermi al “simbolico” sono piuttosto elevati.

6. Bene il permesso di soggiorno umanitario per le donne “straniere” vittime di violenza. Ma se le procure non smetteranno di archiviare -succede per esempio a Milano- oltre la metà dei procedimenti per maltrattamenti in famiglia e per stalking, lasciando la donna che ha denunciato a metà di un pericolosissimo guado, c’è il rischio che saranno le italiane a doversi rifugiare altrove per essere adeguatamente protette.

 

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